Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2181 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. II, 31/01/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELL’ASTRONOMIA 21, presso lo studio dell’avvocato

PICCIALUTI GIORGIO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CASSARINO GIORGIO;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO AREA SVILUPPO INDUSTRIALE RAGUSA ASI, in persona del

Presidente pro tempore M.G., P.IVA (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA U. BARTOLOMEI 23, presso lo

studio dell’avvocato BRUNCO DIEGO, rappresentato e difeso

dall’avvocato RICCOTI LA ROCCA GIOVANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 606/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 01/07/2004;

udita La relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato PICCIAILUTI Giorgio, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato RICCOTTI LA ROCCA Giovanni, difensore del resistente

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio A.S.l. di Ragusa. con citazione 1.3.1999, proponeva opposizione al d.i. per L. 26.609.722 concesso dal Pretore di Ragusa, a G.V. per parcelle di legali che lo avevano difeso in tre procedimenti penali, conclusisi con l’assoluzione, quale presidente dello stesso Consorzio.

Assumeva la mancanza di idonea prova scritta, essendo le parcelle prova di un rapporto obbligatorio tra il G. ed il suo legale, senza specificazione delle fonti normative della pretesa creditoria.

Il G. resisteva indicando le fonti normative e giurisprudenziali.

Con sentenza 158/2002 il Tribunale di Ragusa, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocava il d.i. e compensava le spese.

Appellava il G., resisteva il Consorzio e la Corte di appello di Catania, con sentenza 606/2004 rigettava l’appello, con condanna alle spese, osservando che, anche a voler ritenere che il diritto alla rifusione delle spese fosse fondato sul disposto della L.R. Sicilia n. 145 del 1980, art. 39, come interpretato dal L.R. Sicilia n. 30 del 2000, art. 24, tale normativa prevede il rimborso delle spese sostenute, quindi di ciò che il pubblico amministratore abbia già pagato ed il G., attore in senso sostanziale, non aveva provato di aver pagato alcunchè, anzi la produzione delle missive con richiesta di pagamento e non delle fatture con relativa attestazione di pagamento, faceva dedurre che quest’ultimo non era avvenuto.

Ricorre G. con due motivi, unitamente trattati, resiste il Consorzio, che ha anche presentalo memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c. e col secondo violazione dell’art. 112 c.p.c., ultra petita.

La Corte di appello, riconoscendo il diritto alla rifusione delle spese ma rigettando l’appello per la mancata prova del pagamento, ha motivato argomentando con un rilievo che mai ha fatto parte neppure come eccezione del giudizio nei due gradi, avendo il Consorzio solo eccepito la carenza di norme.

Le censure sono infondate.

Premesso che la normativa regionale richiamata prevede il rimborso delle spese sostenute, la Corte di appello ha dedotto che nessuna prova di esborsi era stata fornita dal G., che non aveva prodotto fatture quietanzate ma solo richieste di pagamento che confermavano che lo stesso non era avvenuto.

Di fronte a tale motivazione la prima censura su vizi di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c. omette di considerare che, a seguito della proposizione della opposizione a d.i., l’opposto, attore in senso sostanziale, deve fornire la prova del credito, mentre, nella specie, ha solo fornito la prova di un suo debito.

Peraltro, la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4, in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte cd. in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli clementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nè può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la parlicolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede a giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, nè nel loro complesso nè nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidenti dell’impugnata sentenza sulle questioni de quibus, bensì a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a qua e più rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, ciò che non soddisfa affatto alla prescrizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto si traduce nella prospettazione d’un’istanza di revisione il cui oggetto è estraneo all’ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimità, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni.

Quanto alla pretesa ultrapetizione, a prescindere dalla circostanza che il vizio denunziato presuppone che si riportino gli esalti termini delle domande ed eccezioni proposte, la pacifica circostanza che il Consorzio abbia sempre negato resistenza di norme legittimanti la richiesta, non può non intendersi come contestazione circa la pretesa di chiedere un rimborso di somme delle quali non si da prova dell’avvenuto pagamento.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2600, di cui 2400 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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