Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2181 del 25/01/2022
Cassazione civile sez. VI, 25/01/2022, (ud. 03/11/2021, dep. 25/01/2022), n.2181
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19244-2019 proposto da:
D.C.S.P., rappresentato e difeso da se medesimo,
nonché i sigg. D.C.S.L.,
D.C.S.M., D.C.S.G., nonché M.A. quale
coerede di MA.PA., MA.AD. quale coerede di
Ma.Pa., FLAVIA MAZZOTTA quale coerede di Ma.Pa., nonché
Ma.Ra., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TESSALONICA
47, presso lo studio dell’avvocato GUALTIERI CLAUDIO, rappresentati
e difesi dall’avvocato DE CUMIS PIERNICOLA SICILIANI;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI CATANZARO, in persona del legale rappresentante pro
tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA
della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati
FARRELLI GIACOMO, MOLICA SAVERIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 327/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO
CALABRIA, depositata il 17/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 03/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI
MARCO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Nel 1978 P.E., P.M., P.A. e P.I. convennero dinanzi al Tribunale di Catanzaro il Comune della medesima città.
Esposero di essere proprietarie di un terreno edificabile sito nel territorio del Comune di Catanzaro, contrada “(OMISSIS)”; che una porzione di questo terreno, estesa per 4.000 metri quadrati, era stata occupata d’urgenza sei anni prima dall’amministrazione comunale per costruire una scuola; che l’edificio era stato realizzato con conseguente irreversibile trasformazione del terreno e perdita della proprietà; che era trascorso il quinquennio dall’emissione del decreto prefettizio di occupazione, senza che fosse stato emesso alcun decreto di espropriazione.
Conclusero pertanto chiedendo la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno.
1.1. Nel corso del giudizio tutte e quattro le originarie attrici vennero a mancare, e le loro domande sono oggi coltivate – tralasciando le successioni intermedie – dagli eredi Ma.Ra., M.A., Ma.Ad., Ma.Fl., d.C.S.P., d.C.S.L., d.C.S.M. e d.C.S.G..
E’ doveroso rilevare che il possesso della qualità di eredi delle originarie attrici in capo agli odierni ricorrente non è oggetto di contestazione.
2. Il Tribunale di Catanzaro con sentenza 14.10.1981 qualificò la pretesa attorea come domanda di risarcimento del danno aquiliano; ritenne irrilevante ai fini del risarcimento del danno la circostanza che lo strumento urbanistico destinasse quell’area all’edilizia scolastica, e condannò il Comune a pagare alle attrici, a titolo di risarcimento, la somma di lire 157.960.000, oltre interessi dal 30.9.1976.
La sentenza venne impugnata da tutte le parti.
3. Con sentenza 17 dicembre 1982 n. 265 la Corte d’appello di Catanzaro rigettò il gravame proposto dall’amministrazione comunale e dichiarò inammissibile quello proposto dalle danneggiate.
Nonostante ciò, ritenne comunque di dovere rideterminare la stima del danno, elevandolo a lire 173.756.000 per tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta alla sentenza di primo grado. In tal senso venne modificato il dispositivo della sentenza d’appello con ordinanza di correzione di errore materiale depositata il 30.4.1983.
La suddetta sentenza d’appello fu impugnata per cassazione dal Comune di Catanzaro sia nella parte originaria, sia nella parte corretta.
4. Con sentenza 4 dicembre 1985 n. 6070 (erroneamente indicata nel ricorso con la data dell’udienza, 22 aprile 1985) questa Corte cassò con rinvio la decisione d’appello.
Ritenne che la Corte d’appello, nel determinare il valore dei singoli lotti del terreno irreversibilmente trasformato dalla pubblica amministrazione, non spieg se in quel valore dovessero ritenersi incluse od escluse le necessarie spese per le opere di urbanizzazione, che le proprietarie avrebbero pur sempre dovuto affrontare, se avessero voluto destinare il loro fondo all’edificazione.
Il motivo di ricorso concernente la legittimità della correzione del preteso errore materiale venne conseguentemente dichiarato assorbite
5. La causa venne riassunta dai danneggiati dinanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria.
Questa, con sentenza 17 maggio 2018 n. 327, ridusse il risarcimento dovuto ai danneggiati rispetto alla liquidazione compiuta dal Tribunale. La Corte d’appello, in particolare, detrasse dal credito risarcitorio come stimato dal Tribunale il presumibile importo degli oneri di urbanizzazione che le proprietarie avrebbero dovuto comunque pagare se, mancando l’espropriazione, avessero deciso di edificare immobili sul proprio fondo.
Stimò pertanto il danno come segue:
a) determinò in Euro 86.878 in moneta del 1983 il danno patito dalle attrici;
b) determinò in Euro 23.450 il costo presumibile degli oneri di urbanizzazione, “nella dislocazione temporale di njerimento”;
c) detrasse dall’importo (a) l’importo (b), liquidando il danno risarcibile nella misura di Euro 63.428, oltre interessi legali dal 30.9.1976.
Infine, la Corte d’appello compensò fra le parti sia le spese del giudizio di rinvio, sia quelle del giudizio pregresso di legittimità.
6. La seconda sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai danneggiati, con ricorso fondato su un solo motivo ed illustrato da memoria.
Il Comune di Catanzaro ha resistito con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 1223,2043 e 2056 c.c..
I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello ha liquidato il risarcimento ad essi dovuto senza procedere alla necessaria rivalutazione monetaria, ancorché la stima del danno sia avvenuta a distanza di oltre trent’anni dal fatto illecito.
1.1. Il motivo è fondato.
La domanda oggetto del presente giudizio venne qualificata nel 1981 dal Tribunale di Catanzaro come domanda di risarcimento del danno aquiliano. Su tale qualificazione si è formato il giudicato interno.
Il risarcimento del danno da fatto illecito, quale è la c.d. occupazione acquisitiva, forma oggetto di una obbligazione di valore.
Le obbligazioni di valore come il risarcimento del danno hanno la funzione di ripristinare il patrimonio del danneggiato nella misura in cui si sarebbe trovato, se l’illecito fosse mancato.
A tal fine è dovere del giudice che procede alla liquidazione del danno o determinare il risarcimento in moneta attuale; oppure rivalutare alla data della decisione la stima del danno espressa in moneta riferita ad un’epoca precedente.
Tali operazioni vanno compiute anche d’ufficio, anche in sede d’appello, e sinanche in sede di rinvio (ex permultis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 6711 del 10/03/2021, Rv. 660829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13225 del 27/06/2016, Rv. 640418 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 6931 del 08/04/2016, Rv. 639452 – 01; nonché, con specifico riferimento al risarcimento del danno da occupazione illegittima, Sez. 1 -, Ordinanza n. 7466 del 19/03/2020, Rv. 657490 – 01; Sez. 1 -, Sentenza n. 12961 del 24/05/2018, Rv. 648566 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 15604 del 09/07/2014, Rv. 631809 – 01).
1.2. Nel caso di specie, invece, è accaduto che:
-) all’esito del primo giudizio di appello la Corte d’appello stimò in lire 173.756.000 il danno: tale importo va riferito alla data del 30.4.1983, in cui venne depositata l’ordinanza di correzione di errore materiale della prima sentenza d’appello, con la quale si condannò il Comune a pagare il danno rivalutato;
-) la sentenza venne vittoriosamente impugnata per cassazione dal debitore, il quale si dolse della sovrastima del danno;
-) all’esito del giudizio di rinvio il giudice dell’appello “bis” rideterminò l’ammontare del danno sottraendo dall’importo stabilito trentacinque anni prima il costo delle opere di urbanizzazione.
1.3. Così facendo la Corte d’appello ha effettivamente violato l’art. 1223 c.c., in quanto nel procedere ad una nuova aestimatio del danno avrebbe dovuto rivalutare d’ufficio il credito risarcitorio, tanto più che a pagina 3 della sentenza impugnata, penultimo capoverso, si legge che in sede di rinvio i danneggiati chiesero espressamente la rivalutazione del loro credito, domanda consentita in sede di rinvio (v. Sez. 1 -, Ordinanza n. 6711 del 10/03/2021, Rv. 660829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 18490 del 25/08/2006, Rv. 593583 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5606 del 17/04/2001, Rv. 545959 – 01).
2. La ritenuta fondatezza del ricorso non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata. Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito, nei termini che seguono.
2.1. La misura del danno in conto capitale è stata stimata dalla Corte d’appello in Euro 63.428.
Tale valore è stato ottenuto dalla Corte d’appello, come accennato, convertendo in Euro la aestimatio del danno compiuta all’esito del primo giudizio di appello (30.4.1983), e detraendo da essa il costo delle opere di urbanizzazione, anch’esso espresso in moneta “della dislocaione temporale di riferimento”, e poi convertito in Euro.
Rileva incidenter tantum il Collegio come la Corte d’appello abbia erroneamente effettuato la conversione del credito risarcitorio in Euro. Ha, infatti, diviso l’importo in lire per 2.000, invece che per 1.936,27 (tasso ufficiale di conversione stabilito dall’art. 1 del Regolamento (CE) n. 2866/98 del Consiglio del 31 dicembre 1998), così finendo per sottostimare il danno.
Tuttavia, poiché nessuna delle parti ha impugnato la stima del danno in conto capitale, la questione è preclusa nella presente sede.
2.2. Il suddetto capitale di Euro 63.428 deve dunque essere rivalutato in base all’indice del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati (FOI) calcolato dall’ISTAT, e relativo al 30.4.1983.
L’indice FOI relativo ad aprile 1983 è pari a 3,201, e dunque il credito degli attori, rivalutato alla data odierna, è pari ad Euro 63.428-3,201, ovvero Euro 203.033,03.
2.3. La rideterminazione del credito risarcitorio in conto capitale impone a questa Corte di provvedere, ex officio, anche sulla correlata determinazione del danno da mora, od interessi compensativi che dir si voglia.
Il ritardato adempimento di una obbligazione di valore, infatti, determina per il creditore un pregiudizio consistente nella perduta possibilità di investire le somme dovutegli, e ricavarne un lucro finanziario: pregiudizio che, per costante giurisprudenza di questa Corte, costituisce una “necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutcqione monetaria”, del credito risarcitorio (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 24468 del 04/11/2020, Rv. 659951 – 02).
Da ciò discende, sul piano processuale, che i c.d. interessi compensativi sul credito risarcitorio vanno attribuiti anche d’ufficio, anche in assenza di domanda ed anche in grado di appello, senza che ciò costituisca ultrapetizione (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 18243 del 17/09/2015, Rv. 636751 – 01).
2.4. Il computo degli interessi compensativi dovuti al creditore di una obbligazione di valore deve avvenire in base a due variabili:
a) il saggio;
b) la base di calcolo.
2.5. Per quanto attiene il saggio, nel caso di specie esso è già stato determinato dal giudice di primo grado in misura pari a quella legale, con statuizione non impugnata.
2.6. Per quanto attiene la base di calcolo, essa è pari al credito espresso in moneta dell’epoca del fatto illecito per il primo anno, e in moneta rivalutata de anno in annum per ciascuno degli anni successivi (Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480 – 01).
Sostanzialmente equivalente a tale criterio è l’altro, consistente nell’applicare il saggio degli interessi compensativi su una base di calcolo pari alla semisomma tra il credito espresso in moneta originaria, e il credito rivalutato (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 7466 del 19/03/2020, Rv. 657490 – 01).
2.7. Ritiene il Collegio, per semplicità di calcolo, di adottare tale ultimo sistema.
La base di calcolo per il computo della mora sarà dunque pari alla semisomma di Euro 63.428 (credito in moneta del 1983) più Euro 203.033,03 (credito in moneta del 2021), ovvero Euro 133.230,52.
L’applicazione del saggio legale degli interessi vigente ratione temporis, dal 30.4.1983 ad oggi (3.11.2021) con periodicità annuale su Euro 133.230,52 dà per risultato la somma di Euro 199.374,16.
2.7. Il credito risarcitorio complessivo spettante ai ricorrenti è dunque pari ad Euro 203.033,03 (capitale rivalutato) più Euro 199.374,16 (interessi compensativi calcolati come detto), ovvero Euro 402.407,19. Tale credito andrà ripartito tra gli odierni ricorrenti in misura corrispondente alla quota ad essi spettante delle eredità ricevute, per legge o testamento, dalle originarie creditrici P.A., P.E., P.I. e P.M..
2.8. Per effetto della liquidazione compiuta con la presente ordinanza, il credito dei ricorrenti è divenuto una obbligazione di valuta.
Sull’intero credito come sopra liquidato, pertanto (Euro 402.407,19), a partire dalla data di deliberazione della presente ordinanza (3.11.2021) decorreranno gli interessi legali ex art. 1282 c.c..
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
3.1. La decisione della causa nel merito impone in questa sede la liquidazione delle spese dei due giudizi di appello e del precorso giudizio di legittimità.
A tal riguardo ritiene tuttavia la Corte che le spese del giudizio di appello concluso dalla sentenza della Corte d’appello di Catanzaro 17.12.1982, e le spese del giudizio di legittimità concluso dalla sentenza di questa Corte 4.12.1985 n. 6070 debbano essere compensate, in considerazione della sostanziale soccombenza reciproca. Se, infatti, il Comune di Catanzaro è risultato soccombente all’esito della lite, nondimeno l’Amministrazione fu nel giusto allorché si dolse in sede di legittimità della sovrastima del danno compiuta dalla prima sentenza d’appello.
Le spese del giudizio di rinvio seguiranno, per contro, la soccombenza, ex art. 91 c.p.c..
P.Q.M.
(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Comune di Catanzaro al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di Euro 402.407,19, da ripartirsi tra essi secondo quanto indicato al p. 2.7 della motivazione che precede, oltre interessi legali dalla data della presente ordinanza;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del primo giudizio di appello;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del primo giudizio di legittimità;
(-) condanna il Comune di Catanzaro alla rifusione in favore dirdei ricorrenti in solido delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 13.600, di cui 200 per spese vive, oltre contributo unificato, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) condanna il Comune di Catanzaro alla rifusione in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di rinvio, che si liquidano nella somma di Euro 15.000, di cui 200 per spese vive, oltre contributo unificato, spese di consulenza di parte, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2; pone a carico del Comune di Catanzaro le spese della c.t.u. svolta nel giudizio di rinvio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022