Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21808 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 09/10/2020), n.21808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 1562/2013 proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente principale –

contro

C.S. e C.D., rappresentati e difesi, giusta

mandato in calce al controricorso, dall’avv.to Alessandro Carli

Carli, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via De

Pretis n. 86, presso lo studio dell’avv.to Laura Opilio, che

anch’essa la rappresenta e difende;

– controricorrenti – ricorrenti incidentale –

e

C.I. e G.S.

– intimati –

Avverso la sentenza n. 98/14/11 della Commissione tributaria

regionale di Venezia, depositata il 18/11/2011 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2020 dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella;

udito, per l’Avvocatura generale dello Stato, l’avv.to Pasquale

Pucciariello, che ha concluso come da ricorso;

udito l’Avv.to Beatrice Fimiani, per delega dell’Avv.to Laura Opilio,

che ha concluso come da controricorso e da ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

De Augustinis Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e per l’inammissibilità del ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 29231 del 2008 questa Corte annullò, con rinvio, la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 81/27/02 che, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate – la quale aveva impugnato la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti C.D., C.I., C.S. e G.S., soci della ” C. Carni” s.p.a., avverso distinti avvisi di accertamento ai fini Irpef, relativi all’anno 2003, dichiarandoli illegittimi per mancata notifica ai soci del processo verbale di constatazione e per carenza del presupposto impositivo di distribuzione ai soci degli utili extracontabili – respinse l’appello dell’Ufficio e confermò la sentenza di primo grado. In particolare, con la sentenza di rinvio, la Corte di Cassazione accolse il ricorso dell’Agenzia delle entrate.

Ritenendo che:

– “(…) nel sistema precedente alla modifica introdotta dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il requisito motivazionale degli avvisi di accertamento può essere soddisfatto anche mediante ulteriori documenti conosciuti o conoscibili dal contribuente (…) che trattandosi di atto che l’interessato poteva conoscere avvalendosi dei suoi poteri di controllo e consultazione della documentazione in possesso della società, deve riconoscersi la regolarità dell’avviso di accertamento dell’Irpef dovuta al socio che fosse stato motivato in correlazione a quello notificato alla società e rinviante, sua volta, al processo verbale redatto nei suoi confronti dalla Guardia di Finanza”;

– ” (…) nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ovvero a base familiare, pur non sussistendo – a differenza di una società di persone – una presunzione legale di distribuzione degli utili soci, non può considerarsi illogica – tenuto conto della complicità che normalmente avvince un gruppo così composto la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili soci (…). Deve quindi ribardirsi che costituisce ius receptum il principio secondo il quale in relazione a società di capitale a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di distribuzione ai soci degli utili stessi, salvo la prova contraria che maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti (…)”.

2. L’Agenzia delle entrate riassunse il giudizio, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 63, deducendo la legittimità degli avvisi di accertamento del maggior reddito da partecipazione notificati ai singoli soci.

La Commissione regionale adita in sede di riassunzione, con la sentenza n. 94/14/11, oggetto del presente ricorso per Cassazione, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, così dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento “limitatamente alla parte in cui recupera a tassazione i redditi in esso precisati”, ma confermando la sentenza di primo grado “riguardo alle sanzioni” (v. dispositivo). Su quest’ultime, il giudice ad quem riteneva che si fosse formato il giudicato trattandosi di questione non riproposta dall’Agenzia delle entrate nei motivi di ricorso per cassazione (v. sentenza impugnata, pag. 3).

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a tre motivi. C.S. e C.D. resistono con controricorso e propongono tre motivi ricorso incidentale; presentano, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., C.I. e G.S. rimangono intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi di ricorso principale l’Agenzia delle entrate lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per errata applicazione di norme processuali nella parte in cui, ritenendo coperta da giudicato la questione afferente all’irrogazione delle sanzioni conseguenti agli avvisi di accertamento, ha violato i principi di carattere processuale e sostanziale che regolano il giudizio in cassazione, il giudizio di rinvio ed i principi di diritto sull’efficacia espansiva, esterna ed interna, del giudicato.

1.1. Con i tre motivi di ricorso incidentale, relativi alla ritenuta fondatezza e validità dell’avviso di accertamento impugnato, C.S. e C.D. deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (previgente formulazione), la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 7 e 58, giacchè il Giudice di appello, in sede di rinvio, avrebbe fatto mal governo delle regole di riparto dell’onere probatorio, omettendo di motivare, anche in base alle allegazioni dei contribuenti, l’iter logico giuridico posto a base della decisione.

2. Secondo un ordine di priorità logico-giuridica occorre trattare in primis (rispetto ai motivi del ricorso principale riguardanti le sanzioni) le censure relative alla fondatezza della pretesa erariale e, cioè, i motivi di ricorso incidentale (in tesi, potenzialmente assorbenti rispetto all’an sulle sanzioni).

3. I motivi di ricorso incidentale sono inammissibili.

Con essi i ricorrenti incidentali sovrappongono censure vertenti sul difetto motivazionale dell’avviso a censure sulla valutazione delle prove compiuta dalla Commissione regionale, disancorate da deduzioni fatte valere in primo e in secondo grado.

Dalla lettura di tali motivi – ai quali i ricorrenti incidentali hanno dedicato una lunga quanto ripetitiva esposizione – balza evidente come i ricorrenti incidentali tendano ad introdurre una nuova valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito, contestando, ora, il mancato rispetto delle regole in materia di prova presuntiva riguardante la distribuzione degli utili extracontabili, ora, invece, l’insufficienza della motivazione sugli elementi a discarico, così dolendosi, in realtà, della valutazione di elementi fattuali operata dai secondi giudici, in quanto contraria alla tesi prospettata da essi ricorrenti.

Tale prospettazione comporta l’inammissibilità delle relative censure in quanto implicanti “una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (così, Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).

Altrettanto inammissibili sono le deduzioni difensive di cui alla memoria depositata dai ricorrenti incidentali ex art. 378 c.p.c., in quanto con esse si ripropongono le stesse questioni di merito di cui al ricorso incidentale; inoltre, per i motivi anzidetti oltre che per l’evidente novità, risulta inammissibile anche l’allegazione, a tale memoria, delle risultanze dei procedimenti penali di archiviazione a carico dell’amministratore unico della società C. Carni s.p.a., C.I..

4. Il ricorso principale è fondato per quanto qui di seguito esposto.

Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che la Commissione regionale ha violato: a) il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, là dove ha ritenuto gravante in capo all’Ufficio l’onere della riproposizione in appello della questione dell’applicabilità delle sanzioni, onere che, invece sarebbe gravato esclusivamente sugli appellati, in quanto il citato D.Lgs., art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado e non specificamente riproposte in appello s’intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato, ad esempio, perchè ritenute assorbite; b) l’art. 336 c.p.c., comma 1, l’art. 324 c.p.c., nonchè l’art. 2909 c.c., in quanto l’effetto espansivo dell’impugnazione da parte dell’Ufficio della sentenza di primo grado impediva che si potesse formare un giudicato sull’inapplicabilità delle sanzioni; c) l’art. 324 c.p.c. nella parte in cui ha affermato un onere di riproposizione della questione innanzi alla Corte Cassazione, ignorando che nel giudizio di legittimità non è configurabile alcun onere di riproposizione della questioni assorbite.

Col secondo motivo l’Amministrazione erariale deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, in relazione all’art. 112 c.p.c., e, quindi, l’error in procedendo, là dove i secondi giudici non hanno rilevato che la questione non era stata riproposta da chi ne aveva l’onere e hanno accolto una domanda non proposta dagli appellati, incorrendo, così, nel vizio di ultrapetizione.

Con il terzo motivo deduce che la Commissione regionale ha violato l’art. 336 c.p.c., comma 1, nella parte in cui ha escluso che la riforma della sentenza di primo grado, da lei stessa disposta in punto di legittimità e fondatezza degli avvisi di accertamento, si estendesse anche alle sanzioni e nella parte in cui ha indebitamente limitato la portata della riforma al solo maggior tributo accertato.

5. Il primo motivo di ricorso principale è fondato nei limiti appresso specificati e va accolto con assorbimento dell’esame dei restanti.

I giudici ad quem, posta la legittimità formale dell’avviso di accertamento e ritenuta la carenza di prova, da parte dei contribuenti, dell’accantonamento e/o degli investimenti dei maggiori ricavi, hanno affermato la legittimità dell’accertamento in capo ai soci, per maggiore Irpef, specificando che tale avviso “non realizza una duplicazione dell’imposizione” (v. sentenza impugnata, ultima pagina). Nonostante tale decisione in punto di legittimità sostanziale dell’avviso di accertamento emesso nei confronti dei soci, hanno escluso l’irrogabilità delle sanzioni conseguenti all’avviso ritenendo che “tutte le questioni non riproposte nei motivi di ricorso per Cassazione non possono essere affrontate in questa sede, essendosi su di esse formato il giudicato secondo la decisione dei giudici delle precedenti fasi processuali: in particolare ciò vale (…) anche a proposito della decisione dei primi giudici che si sono pronunciati negando che fossero applicabili ai ricorrenti le sanzioni comminate nell’avviso, che non ha formato oggetto di un motivo specifico portato all’attenzione della Corte” sebbene, in prime cure, la questione “avesse formato oggetto di un’autonoma eccezione in cui si era sviluppato il contraddittorio tra le parti” (v. sentenza impugnata, pagg. 3-4).

6. Orbene, ritiene il Collegio che i giudici di rinvio siano incorsi nell’errore in procedendo denunciato poichè non sussisteva in capo all’Agenzia delle entrate un onere di riproposizione in appello della questione relativa alle sanzioni trattandosi di questione dichiarata dalla CTP assorbita dall’accertata legittimità dell’avviso di accertamento. Invero la citata disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 (così come quella omologa di cui all’art. 346 c.p.c.) riguarda l’appellato e non l’appellante, anche incidentale (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 29368 del 07/12/2017, Rv. 646235-01, secondo cui: “In tema di processo tributario, a carico della parte appellata vittoriosa in primo grado non sussiste alcun onere di specifica contestazione dei motivi d’appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, essendo il “thema probandum” già fissato in primo grado; unico suo onere è quello di riproporre le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, intendendosi altrimenti rinunciate, citato D.Lgs. n. 546, ex art. 56, che ricalca l’art. 346 del c.p.c.”). Nè, d’altra parte, la Commissione tributaria provinciale si era espressamente pronunciata in merito alle eccezioni sulle sanzioni, essendo la questione travolta in apice dalla dichiarata illegittimità, nel merito, della pretesa fiscale.

Nessun onere di riproposizione in Cassazione della relativa questione era inoltre ascrivibile all’Agenzia delle entrate, essendosi la Commissione tributaria regionale limitata a confermare l’illegittimità dell’accertamento nel merito.

Così che, una volta dalla Commissione regionale accertata in sede di rinvio la legittimità dell’avviso di accertamento e riformata, in parte qua, la sentenza di primo grado (che invece, tale legittimità aveva escluso), la Commissione regionale non poteva escludere l’esame delle questioni sulle sanzioni, che, in quanto questione dipendente – non essendovi contrasto ma, anzi, coerenza logica e giuridica tra la decisione principale di legittimità dell’accertamento e la questione dipendente delle sanzioni -, rimaneva questione da prendere in esame non essendovi alcun giudicato sul punto.

In altri termini la Commissione regionale, nel confermare, in sede di rinvio, la legittimità dell’avviso, avrebbe dovuto prendere in esame le questioni attinenti all’applicabilità delle sanzioni, ivi comprese quelle relative alla necessaria preliminare verifica della loro riproposizione nel corso del giudizio da parte dei contribuenti.

7. In conclusione, il ricorso principale va accolto nei termini innanzi indicati, mentre il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile. Di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi di ricorso principale accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia, tenendo conto dei principi indicati nella parte motiva, e provveda in ordine alle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi di ricorso principale accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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