Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21807 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 20/10/2011), n.21807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23783/2006 proposto da:

AUTOSTAR IMMOBILIARE SPA (già AUTOSTAR FINANZIARIA E IMMOBILIARE

SPA), elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48,

presso lo studio dell’avvocato MARINI Giuseppe, che lo rappresenta e

difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI POZZUOLI in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 107, presso lo studio dell’avvocato

BULTRINI NICOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato POTITO Enrico,

giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 135/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 20/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARINI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato POTITO, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto, con la sentenza in data 20 giugno 2005, un ricorso di Autostar Immobiliare s.p.a. contro il silenzio-rifiuto formatosi a seguito di istanza al comune di Pozzuoli di rimborso della maggior somma versata a titolo di Ici, nel 1994, per un fabbricato classificato nel gruppo catastale D, calcolata sulla base del criterio contabile a fronte, invece, del più contenuto imponibile determinato per effetto di rendita catastale;

rendita invero attribuita nel 1995 a seguito di richiesta inoltrata, peraltro, fin dall’anno 1980.

La sentenza ha motivato con la considerazione che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, nello stabilire che, per i fabbricati appartenenti al gruppo D, rileva il valore determinato sulla base delle risultanze contabili, fino all’anno in cui detti fabbricati sono iscritti in catasto, non consente alcun rimborso del tributo ove la rendita, successivamente attribuita, porti a una determinazione dell’imponibile in misura inferiore.

Ha osservato che simile principio è stato riconosciuto valido da questa Corte con la sentenza n. 21653/2004, resa tra le stesse parti, in controversia su identica questione, “per il precedente anno 2003” (rectius, 1993).

Ricorre per cassazione la società, articolando due motivi illustrati anche da memoria.

Il comune resiste con controricorso.

La causa è stata chiamata una prima volta all’udienza pubblica del 28 maggio 2010, e lì rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle sezioni unite sulla specifica questione di diritto involta dall’interpretazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, e della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74.

Nuovamente fissata in pubblica udienza, la società ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, la società sostiene che un’interpretazione della ridetta norma costituzionalmente orientata, e in linea con i principi desumibili dagli artt. 3 e 53 Cost., impone di ritenere applicabile la rendita, un volta attribuita, fin dal momento della relativa domanda. Osserva difatti che, da un lato, non potrebbe razionalmente farsi ricadere sul contribuente il ritardo con cui l’ufficio provvede alla determinazione della rendita; e, dall’altro, che, in condizioni similari, il medesimo D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 1, ammette il rimborso di somme versate in eccedenza, maggiorate di interessi, per i fabbricati diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati interessati da sopravvenute variazioni permanenti che influiscono sull’ammontare della rendita catastale.

A siffatta tesi l’intimato comune Pozzuoli oppone che la previsione, a opera del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 1, del regime di nuova liquidazione dell’imposta a seguito di attribuzione di rendita, in relazione ai soli “fabbricati diversi”, è da ritenere del tutto razionale, in conseguenza del differente sistema di determinazione del presupposto impositivo per i fabbricati iscritti in cat. D, correlato alla proprietà dell’immobile il cui costo risulti contabilizzato in bilancio da parte dell’impresa intestataria. E al riguardo rinvia – esso pure – alla sentenza di questa Corte n. 21653/2004.

2. – Col secondo motivo la società denunzia, invece, vizio di motivazione in ordine alla affermazione con la quale la sentenza d’appello ha definito, a sua volta, contraddittoria e indeterminata la motivazione della sentenza di primo grado in ordine al giudizio di congruità circa l’effettiva imposta assolta, siccome contrastante con la contemporanea statuizione di rimborso dell’eccedenza.

3. – Il primo motivo è fondato, e tanto determina l’assorbimento del secondo.

In termini generali, la questione che rileva è incisa dalla necessità di stabilire se abbia valenza giuridica, o meno, ai fini del diritto al rimborso, la distanza cronologica intercorrente (non interessa in qual misura) tra l’attribuzione della rendita catastale, per i fabbricati appartenenti alla cat. D, e la domanda di accatastamento.

Tenuto conto della specifica previsione contenuta nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, la risposta al quesito è rapportabile al profilo inerente all’individuazione dell’anno in cui devesi ritenere verificato il presupposto che impone di considerare, per gli immobili in cat. D, il valore catastale in luogo del c.d. valore di libro.

Profilo oggetto di contrastanti vedute nella giurisprudenza di questa Corte, solo da ultimo composte a mezzo dell’affermazione che il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dall’art. 5, comma 3, D.Lgs. cit., per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto con attribuzione di rendita, “vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge” (sez. un. n. 3160/2011).

A codesto insegnamento il collegio intende assicurare continuità.

Dacchè la conseguenza che è errata in diritto, e va dunque cassata, l’impugnata sentenza nella misura in cui, invece, ha negato, nelle condizioni dianzi dette di susseguente attribuzione di rendita catastale rappresentativa di un valore immobiliare inferiore a quello contabile, la possibilità dell’impresa contribuente di ottenere il rimborso della differenza versata in eccesso.

4. – E’ da dire che non rileva in senso preclusivo la circostanza che la citata sentenza di questa Corte, n. 21653/2004, abbia risolto l’eguale questione posta con riguardo all’annualità 1993 in ragione di un principio di diritto difforme.

Trattasi infatti di decisione che non spiega effetti di giudicato in relazione al rapporto tributario oggetto dalla presente decisione.

Può osservarsi che, in base all’insegnamento suggellato dalie sezioni unite di questa Corte (v. sez. un. 13916/2006), il processo tributario, ancorchè generalmente instaurato mediante impugnazione di un atto (lato sensu) impositivo (cfr. del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. d, e art. 19, comma 1), ha comunque a oggetto lo specifico rapporto tributario dedotto in giudizio, quale risulta, da un lato, dalla pretesa fatta valere dall’amministrazione con l’atto medesimo e, dall’altro, dai motivi della sua impugnazione, formulati dal soggetto passivo del tributo (cfr. art. 18, comma 2, lett. e); e v. , in tal senso, ex pluribus, sez. un. n. 208/2001).

Siffatta complessità oggettiva, associata all’autonomia dei singoli periodi d’imposta (cfr. per es. l’art. 7 del T.U.I.R.), vale a negare la possibile esistenza di un’unica obbligazione corrispondente a più periodi (v. tra le molte anche Cass. n. 14714/2001). E se anche ciò non necessariamente esclude l’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo, resta tuttavia certo che l’estensione del giudicato può essere in tali casi ritenuta solo allorchè si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento su tali elementi rilevanti debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.

Si fa l’esempio delle c.d. qualificazioni giuridiche (quali quelle di “ente commerciale” o di “soggetto residente”), in quanto assunte dal legislatore alla stregua di elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina; ovvero delle condizioni di una esenzione o di una agevolazione pluriennale (v. appunto sez. un. n. 13916/2006). Traslati i suddetti principi in seno alla questione che ne occupa, non par dubbio che i medesimi debbono trovare applicazione anche in relazione alle liti sorte sui dinieghi di rimborso d’imposta, giacchè anche in tal caso l’oggetto del processo tributario riflette l’autonomia delle singole imposte in rapporto a ciascuno dei periodi interessati. Ed è risolutivo considerare che la citata sentenza n. 21653/2004, rispetto all’annualità Ici 1993, ha negato alla attuale ricorrente il diritto al rimborso non già sulla scorta di un accertamento relativo a condizioni di fatto impedienti, o a connesse qualificazioni soggettive, sebbene in base a un distinta ricostruzione esegetica del rapporto corrente tra il D.Lgs. n. 504 del 1993, artt. 5 e 11, facente leva sulla affermata legittimità di difformi criteri legislativi per la valutazione del presupposto d’imposta.

Una simile esegesi è oggi superata dal citato recentissimo arresto delle sezioni unite.

5. – In conclusione, quindi, e in applicazione sul sopra richiamato principio di diritto, l’impugnata sentenza va soggetta a cassazione, con rinvio ad altra sezione della medesima commissione tributaria regionale della Campania.

La definizione del merito suppone invero l’apprezzamento dei dati attinenti alle alternative concrete formulazioni della pretesa azionata (quanto alla sorte capitale rimborsabile e alla maggiorazione di asseriti interessi composti) che gli atti interni del giudizio di cassazione non consentono, il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla commissione tributaria regionale della Campania anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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