Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21806 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 09/10/2020), n.21806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25293/2015 R.G. proposto da:

Terminal Calata Orlando s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t.,

elett.te dom.to in Roma alla P.zza Giovine Italia n. 7, presso lo

studio dell’avv. Riccardo Carnevali, unitamente agli avv.ti Luciano

Canepa e Sarita de Luca, da cui è rapp.to e difeso, come da mandato

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 884/23/15 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, sez. distaccata di Livorno, depositata il

19/5/2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 gennaio 2020 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. con sentenza n. 884/23/15, depositata il 19 maggio 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, sez. distaccata di Livorno, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 278/1/13 della CTP di Livorno, con compensazione delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia del Territorio aveva rettificato, con la collocazione in categoria D/8, il classamento dell’area demaniale oggetto di concessione rilasciata dall’Autorità portuale alla società Terminal Calata Orlando s.r.l., destinata dalla stessa alla gestione di un terminal polifunzionale per la movimentazione ed il deposito di contenitori, rinfuse quali sabbia, pietrisco e granaglie da attività di carico/scarico e merci varie, di cui era stata proposta dalla concessionaria l’attribuzione della categoria E/1;

3. la Commissione di primo grado aveva accolto il ricorso, dando rilevanza al fatto che il bene fosse strettamente funzionale alle “stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi ed aerei;

4. la CTR, in riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato il classamento in categoria D/8, sul presupposto che la collocazione nella categoria E fosse riservata agli immobili destinati al servizio pubblico, mentre quelli in esame erano utilizzati per l’espletamento di un’attività imprenditoriale privata solo connessa all’attività portuale;

5. avverso la sentenza di appello la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 2810-2015, affidato a due motivi, e presentato memoria ex art. 380 bis c.p.c.; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso la società Terminal Calata Orlando s.r.l., deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che la CTR avrebbe errato nel ritenere rilevante la destinazione strumentale del bene all’erogazione di un servizio pubblico, nella specie di trasporto, senza verificarne l’autonomia funzionale e reddituale rispetto al terminal portuale;

2. con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b), e della L. n. 84 del 1994, artt. 16 e 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver valutato che i concessionari di aree e banchine devono essere preventivamente autorizzati all’espletamento dei servizi portuali dall’Autorità portuale, che esercita su tali attività un potere di vigilanza e di controllo.

Osserva che:

1. I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per connessione, risultano infondati.

1.1 Nell’avviso opposto l’Amministrazione ha classificato l’area portuale demaniale, utilizzata dalla società ricorrente, “terminalista” concessionaria del suolo, per attività di movimentazione, stoccaggio, deposito, imbarco e sbarco di rinfuse e merci varie, e costituita da una ampia zona scoperta, comprensiva di banchina, ed in parte da locali destinati a magazzino, deposito, officina ed uffici, nella categoria D/8, relativa ai fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazionì, e non in quella E/1, concernente gli immobili a destinazione particolare di esigenza pubblica, nella specie stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi ed aerei.

La categoria E viene riservata dalla legge agli immobili sostanzialmente incommerciabili e privi di autonoma redditività (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc.).

Il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, conv. dalla L. n.. 286 del 2006, stabilisce espressamente che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.

Dal che si evince come la legge instauri una vera e propria incompatibilità tra la classificazione in categoria E, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro, a condizione che l’immobile stesso presenti le caratteristiche della autonomia funzionale e reddituale.

1.2 Questa Corte ha già stabilito, con orientamento consolidato, che “In tema di classamento, ai sensi del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, convertito, con modificazioni, nella L. n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, e, cioè, alla luce del combinato disposto del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 5, e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40, immobili per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare” (vedi Cass. n. 20026 del 2015)

1.3 Ebbene, in riferimento a fattispecie sovrapponibili a quelle in esame, con principi pacifici cui questo Collegio intende dare continuità, si è statuito che “In tema di ICI, sono assoggettate al pagamento dell’imposta, in quanto non classificabili nella categoria E, le aree cd. scoperte che risultino indispensabili al concessionario del bene demaniale per lo svolgimento della sua attività, atteso che il presupposto dell’imposizione è che ogni area sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito” (vedi Cass. n. 10031 del 2017 e n. 4221 del 2019).

Posta la natura privata, esercitata in forma concorrenziale, dell’attività dei concessionari dei beni demaniali portuali, gli stessi sono pertanto assoggettabili al pagamento dei tributi anche in tema di ICI, per l’utilizzo delle aree scoperte senza le quali non potrebbero svolgere la propria attività commerciale.

Analogamente si è affermato che sono soggette ad ICI, e non classificabili in categoria E, “le aree scoperte di un terminal portuale utilizzate per svolgere l’attività pubblica portuale e le relative necessarie operazioni, in quanto indispensabili al concessionario del bene demaniale per lo svolgimento della sua attività, atteso che il presupposto dell’imposizione è che ogni area sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito” (vedi Cass. n. 10287 del 2019).

Anche con riferimento ai locali magazzini utilizzati dalle società imprenditrici “terminaliste”, concessionarie del suolo, per le attività di movimentazione, stoccaggio, deposito, imbarco e sbarco di merci si è chiarito che “ai fini del classamento di un immobile nella categoria E, come previsto dal D.L. n. 262 n. 2006, art. 2, comma 40, conv. in L. n. 286 del 2006, è necessario che lo stesso presenti caratteristiche tipologico-funzionali tali da renderlo estraneo ad ogni uso commerciale o industriale, con la conseguenza che le aree portuali non sono classificabili in detta categoria se in concreto destinate a tali finalità” (vedi Cass. n. 10674 e n. 23067 del 2019).

Ancora più efficacemente nella recente pronuncia n. 34657 del 2019 si è evidenziato che la rilevanza che la legge attribuisce al tipo di destinazione d’uso dell’immobile vale anche in ambito portuale, sicchè non può risultare dirimente il criterio della mera localizzazione in area adibita a servizio pubblico (stazione o terminal), dovendosi invece fare applicazione del diverso criterio di funzione o attività, così da escludersi la categoria in questione in presenza di autonomia funzionale e reddituale rinveniente dall’impiego dell’area per scopi imprenditoriali di natura commerciale, industriale, d’ufficio privato e simili.

La pacifica natura di pubblico interesse dell’attività di trasporto e di stazione marittima non può essere dirimente nell’assegnazione della categoria in questione, dal momento che tale circostanza non esclude che il relativo servizio sia in concreto esercitato secondo modalità economiche e remunerative tipiche dell’impresa commerciale, in considerazione del fatto che l’attività portuale in questione (pur assoggettata all’autorità di vigilanza nella effettiva rispondenza delle modalità del suo esercizio all’interesse della collettività) è stata dalla legge sottratta a qualsiasi regime di privativa, così da rientrare nel regime comunitario di libera concorrenza e di libera iniziativa economica.

La L. 28 gennaio 1994, n. 84, eliminando la riserva, a favore delle compagnie portuali e dei gruppi portuali, delle operazioni di sbarco, di imbarco e di maneggio delle merci, in attuazione sia del principio della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1, sia del principio comunitario di libera concorrenza, ne ha imposto infatti la trasformazione in società commerciali o cooperative “per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle operazioni portuali” (L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 21, comma 1, lett. a).(…)”(così in Cass. n. 7651 del 2006).

All’Autorità portuale sono state invece affidate solo le funzioni pubbliche di indirizzo, di programmazione, di coordinamento, di promozione e di controllo delle operazioni portuali svolte da soggetti privati (L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6, comma 1), e i relativi poteri sono esercitati sotto la vigilanza del Ministro dei trasporti e della navigazione (stesso atto normativo, art. 12, comma 1).

La netta separazione soggettiva delle funzioni pubblicistiche svolte dalle Autorità portuali consente di concludere che le attività portuali, pur di interesse pubblico e per questo soggette a preventiva autorizzazione e successivi controlli, poichè esercitate dalle compagnie portuali secondo modalità economiche e remunerative tipiche dell’impresa commerciale, mantengono la connotazione imprenditoriale e gli immobili ad esse destinati non possono pertanto essere classificati in categoria E.

1.4 Questo indirizzo interpretativo non viene meno per effetto della L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 578 (norma contenuta nella legge previsionale 2018, e fatta oggetto di istruzioni applicative con Circolare AE n. 16/E del 2 luglio 2019) secondo cui le banchine, le aree portuali scoperte ed i relativi depositi strettamente funzionali (in base all’autorizzazione rilasciata dall’autorità portuale) alle operazioni ed ai servizi portuali non doganali “costituiscono immobili a destinazione particolare, da censire in catasto nella categoria E/1, anche se affidati in concessione a privati”.

Si tratta infatti di disposizione espressamente valevole (a conferma della legittimità del diverso regime precedentemente operante) solo per il futuro e, segnatamente, a far data dal 1 gennaio 2020; così come solo da questa stessa data prendono effetto le procedure eventualmente intraprese dagli interessati per ottenere l’aggiornamento e la revisione di rendita delle diverse categorie catastali precedentemente attribuite ai beni in questione.

2. Per tutto quanto sopra esposto, pacifico l’oggettivo sfruttamento economico reddituale delle aree da parte della società concessionaria, il ricorso va rigettato.

2.1 Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

2.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 2.600,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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