Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21805 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 09/10/2020), n.21805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19295/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

O.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Pinto, con

domicilio eletto in Roma, via Cicerone 44, presso lo studio

dell’avv. Andrea Scafa;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Bari,

Sez. dist. Taranto, n. 1005/29/15, depositata l’11 maggio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio

2020 dal relatore Dario Cavallari.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O.F. ha impugnato, davanti alla CTP di Taranto, un avviso di liquidazione del 18 settembre 2008, con il quale era stato richiesto il pagamento delle imposte di registro ed ipocatastali dovute per il trasferimento di un immobile sito in Policoro, con il quale era stata negata la concessione delle agevolazioni di cui alla L. n. 168 del 1982, art. 5.

La CTP di Taranto, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 485/1/2010, ha respinto il ricorso.

O.F. ha proposto appello contro la sentenza.

La CTR di Bari, Sez. dist. di Taranto, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1005/29/15, ha accolto l’impugnazione.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.

Il contribuente si è difeso con controricorso.

La Procura Generale della Corte di cassazione ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Il solo controricorrente ha depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 168 del 1982, art. 5, in relazione alla L. n. 457 del 1978, artt. 27 ss., ed alla L. n. 1150 del 1942, art. 16, perchè la CTR avrebbe errato nell’affermare la sussistenza dei requisiti di legge previsti per il godimento dell’agevolazione oggetto del contendere.

Il motivo è fondato.

Preliminarmente deve essere ricostruito il quadro normativo della vicenda.

La L. n. 168 del 1982, art. 5 (Misure fiscali per lo sviluppo dell’edilizia abitativa) dispone che “Nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purchè convenzionati, di cui alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 27 e segg., ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali e ipotecarie in misura fissa. Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta sull’incremento del valore sugli immobili e sono soggette alle imposte di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa”.

La L. n. 457 del 1978, recante Norme per l’edilizia residenziale, a sua volta, prescrive all’art. 28 (Piani di recupero del patrimonio edilizio esistente) che “I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al precedente art. 27, comma 3, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento.

I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui alla L. 10 febbraio 1953, n. 62, art. 59. Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al precedente art. 27, comma 3, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l’individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal precedente art. 27, commi 4 e 5. Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale”.

Infine, la L. n. 1150 del 1942, cd. Legge urbanistica, all’art. 16 disciplina il procedimento di approvazione dei piani particolareggiati, in proposito prevedendo, tra l’altro, in particolare, al comma 5, che “col decreto di approvazione sono decise le opposizioni e sono fissati il tempo, non maggiore di anni dieci, entro il quale il piano particolareggiato dovrà essere attuato e i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni”.

Delineato in tal modo il profilo normativo che rileva, il ricorso è da accogliere.

La giurisprudenza di legittimità si è già occupata di vicende simili a quelle in esame, relative a trasferimenti immobiliari avvenuti dopo la scadenza del termine decennale di durata dei piani di recupero.

Le corti di merito hanno affermato, talvolta, che il decorso del termine stabilito per l’esecuzione del piano rende comunque fermo l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici o nelle modificazioni di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano particolareggiato. Secondo questo orientamento sarebbe, quindi, penalizzante e non in linea con i canoni ermeneutici sostenere che il piano di recupero in esame, continuando a spiegare i suoi effetti per le prescrizioni normative in esso contenute, non altrettanto possa fare sul lato dei benefici fiscali per i soggetti che a esso si conformano.

Peraltro, questa Sezione ha ritenuto infondate simili argomentazioni in rapporto alla ratio della previsione agevolativa (Cass., Sez. 5, n. 2399 del 2017, non massimata; Cass., Sez. 5, n. 2398 del 2017, non massimata; Cass., Sez. 5, n. 18673 del 2016, non massimata; Cass., Sez. 5, n. 7046 del 2014, Rv. 629939-01).

Infatti, la L. n. 168 del 1982, art. 5, comma 1, dettato in materia di piani di recupero (di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purchè convenzionati) di cui alla L. n. 457 del 1978, artt. 27 ss., subordina l’agevolazione fiscale consistente nell’applicazione, agli atti di trasferimento di immobili, delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa all’esistenza di un duplice requisito.

Il primo ha carattere oggettivo, costituito dall’inserimento dell’immobile in un piano di recupero di iniziativa pubblica o privata convenzionato.

Il secondo è di natura soggettiva, rappresentato dall’essere l’acquirente uno dei soggetti che attuano il recupero.

Da questa prospettiva, in coerenza con le finalità perseguite dal legislatore, discende che il beneficio spetta soltanto quando si realizzano tutti gli elementi che integrano la fattispecie normativa e che l’agevolazione è correlata alla effettiva attuazione del piano di recupero previsto all’atto del trasferimento dell’immobile. Perciò, ne resta giustificata la revoca ove si accerti la insussistenza dei prescritti requisiti, persino qualora la mancata attuazione in concreto del detto piano non sia imputabile a comportamento omissivo del contribuente (Cass., Sez. 5, n. 11786 del 12 maggio 2008, Rv. 603039-01).

In base ai citati parametri e tenuto conto che l’art. 5 de quo pone una norma di natura eccezionale, da interpretarsi restrittivamente con riferimento alla finalità perseguita dal legislatore di agevolare, sul piano tributario, lo sviluppo dell’edilizia abitativa, ritiene il collegio che l’impugnazione sia fondata.

Infatti, è pacifico che, all’atto della vendita (2006), l’immobile compravenduto non era inserito in un piano di recupero vigente, dal momento che quello relativo alla zona in esame, risalente al 1983, era scaduto nel 1993.

Sostiene il contribuente che, però, con delibera del Consiglio comunale era stata approvata una variante del Piano regolatore (luglio 1999) la quale aveva disposto un “aggiornamento integrativo al Piano di Recupero”, sancendo, nelle norme tecniche di attuazione, che il Piano “propone altresì un progetto di aggiornamento integrativo al Piano di Recupero e di sistemazione a verde” e che “Ivi si procede alla riperimetrazione degli edifici e zone interessate dalla variante e tra i vari edifici sottoposti a tale disciplina, al punto 12, vi è espressamente indicato il “Castello baronale””.

L’argomentazione è priva di pregio.

La L. n. 457 del 1978, art. 34, stabiliva che ai piani particolareggiati già approvati alla data di sua entrata in vigore e finalizzati al risanamento del patrimonio edilizio esistente i comuni potevano attribuire, con delibera del consiglio comunale, il valore di piani di recupero, con conseguente applicazione delle disposizioni del relativo titolo.

Da ciò si evince che le successive delibere comunali non potevano servire a fare decorrere nuovamente dall’inizio il termine di efficacia del piano di recupero del 1983, ma solo a permettere l’applicazione della normativa di cui alla L. n. 457 del 1978, artt. 27 ss. (sul punto, con riguardo a caso concernente il recupero urbanistico del quartiere di Ortigia, a Siracusa, Cass., 32964 del 20 dicembre 2018, non massimata).

Pertanto, non può condividersi l’assunto che, con delibere del consiglio comunale ex L. n. 457 del 1978, l’applicabilità temporale del beneficio fiscale oggetto di discussione sia stata estesa oltre il termine di durata massimo di legge, fissato in 10 anni, dell’unico piano di recupero formalmente approvato, scaduto nel 1993.

Neppure può sostenersi che la variante del piano regolatore generale del 1999 possa essere equiparata ad un piano di recupero.

Come sopra precisato, la L. n. 168 del 1982, art. 5, nel prevedere l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa per gli atti di trasferimento di immobili compresi nei piani di recupero di cui alla L. n. 457 del 1978, art. 27, pone una norma (istitutiva dell’agevolazione in esame) di natura eccezionale, da interpretarsi restrittiva mente.

Se ne ricava che l’equipollenza tra piano di recupero ed altri strumenti urbanistici (nel caso in esame, un piano regolatore generale) non può intendersi generalizzata, ma va limitata, come stabilito dalla L. n. 457 del 1978, art. 34, solo ai piani (particolareggiati) già approvati alla data di entrata in vigore della legge e finalizzati al risanamento del piano edilizio esistente (Cass., Sez. 5, n. 2397 del 31 gennaio 2017, Rv. 642535-01; Cass., Sez. 2, n. 9175 dell’11 luglio 2000, Rv. 538365-01).

Nella specie, però, la modifica del piano regolatore generale è del 1999 e, quindi, successiva alla legge in questione.

Più in generale, deve ritenersi che in tema di agevolazioni tributarie, la L. n. 168 del 1982, art. 5, il quale, nell’ambito dei piani di recupero (di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata, purchè convenzionati) di cui alla L. n. 457 del 1978, artt. 27 ss., prevede il beneficio dell’applicazione delle imposte di registro, catastali ed ipotecarie in misura fissa, operi alla duplice condizione che gli immobili trasferiti siano già inseriti in un piano di recupero del patrimonio edilizio, approvato dal comune, ovvero da questo adottato, unitamente alla convenzione per la loro diretta attuazione, su proposta dei proprietari, e che gli interventi di recupero siano effettuati dai medesimi acquirenti.

Al contrario, esulano da tale previsione normativa gli interventi di restauro e di ristrutturazione su immobili non assoggettati ad alcun piano (di recupero), nonostante tali interventi siano eseguiti sulla base di strumenti urbanistici generali approvati dai Comuni che individuino delle zone di recupero (tale principio è sostanzialmente alla base di Cass., Sez. 5, n. 14478 del 29 settembre 2003, Rv. 567220-01, che ha escluso l’equiparazione fra piano regolatore generale e piano di recupero pure ove il primo abbia subordinato i lavori de quibus, per quanto riguarda globalmente gli edifici costituiti da più alloggi, ad un atto diretto a garantire il mantenimento della destinazione residenziale, il concorso negli oneri di urbanizzazione e l’adeguatezza dei prezzi di vendita o di locazione delle abitazioni).

Peraltro, anche a volere accogliere la tesi del contribuente, dovrebbe rilevarsi che sia la modifica del piano regolatore generale approvata nel 1999 sia il piano di recupero del 1983, qualora se ne ammettesse la vigenza dopo la scadenza del termine legale di dieci anni, manterrebbero una efficacia limitata ai soli profili urbanistici, non estendibile a quelli tributari.

Infatti, deve ritenersi che, nell’ipotesi nella quale l’applicazione di una disposizione fiscale di favore sia ricollegata alla sussistenza di uno strumento urbanistico nel momento in cui il beneficio tributario sia richiesto, l’eventuale decorso del termine di vigenza di detto strumento, seppure non comporti sempre il venire meno dei suoi effetti urbanistici, preclude al contribuente di godere dell’agevolazione.

Pertanto, diviene privo di rilievo l’avvenuto rilascio, da parte del Comune interessato, di attestazioni di vario tipo e di permessi di costruire concernenti l’immobile oggetto del contendere, poichè tali atti amministrativi presuppongono l’operatività degli effetti urbanistici degli strumenti regolatori in questione, ma non incidono minimamente sui profili di diritto tributario.

2. Ne consegue l’accoglimento del gravame.

La decisione va, quindi, cassata.

Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa va decisa nel merito, con rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese di lite dei gradi di merito sono compensate ex art. 92 c.p.c., stante la complessità della controversia, mentre seguono la soccombenza con riferimento al grado di legittimità e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito;

– condanna il controricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 Sezione Civile, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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