Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21803 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 21/06/2017, dep.20/09/2017),  n. 21803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17344/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

I.E. International Edil s.r.l., con unico socio, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa nei gradi

di merito dal dott. Luigi Roccotelli, domiciliato presso la studio

Renna in Milano, viale Regina Margherita, n. 30;

– intimata –

e contro

C.P., nella qualità di unico socio della I.E.

International Edil s.r.l. con unico socio, ai sensi dell’art. 2945

c.c.;

– intimata –

e contro

C.P., nella qualità di liquidatore della I.E.

International Edil s.r.l. con unico socio, ai sensi dell’art. 2945

c.c.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 53/34/09, depositata il 14 maggio 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 giugno

2017 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

Fatto

RITENUTO

che:

1.- L’agente della riscossione notificò alla I.E. International Edil s.r.l. una cartella di pagamento che recava l’iscrizione a ruolo di IRPEG, IRAP e IVA per l’anno d’imposta 2001, operata a seguito della dichiarazione della contribuente di volersi adeguare alle risultanze degli studi di settore.

2.- Detta cartella di pagamento fu impugnata dalla I.E. International Edil s.r.l. davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc: “CTP”), che accolse il ricorso della contribuente.

3.- Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Milano (OMISSIS), propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc, anche: “CTR”), che lo rigettò. In particolare, la CTR, dopo avere osservato che “Gli studi di settore (…) prevedono che, in caso di mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base di tali studi, possono essere attestate le cause che giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti dall’applicazione degli studi medesimi”, affermava che “(n)ella fattispecie in esame, la contribuente, nell’erronea interpretazione degli Studi di settore ha quantificato dati, ai fini dell’accertamento fiscale, errati in eccesso, dati che (…) non trovavano alcuna giustificazione nell’accertamento fondato sugli Studi di settore”, che “(l)’ufficio, alla luce di tali dichiarazioni, omettendo di valutare la congruità o meno di tali dati, emetteva una cartella esattoriale” e che “(l)a Commissione di prime cure, accertata la sussistenza dell’errore, autopunitivo, commesso dalla contribuente nell’adeguarsi agli Studi di settore, ha accolto, correttamente, la tesi della contribuente, eliminando l’errore in cui essa era caduta. Invero, come hanno statuito i giudici di prime cure, in difetto degli errori e, con una corretta interpretazione degli Studi di settore, i dati indicati, a seguito della correzione apparivano congrui”, concludendo che “(1) principi (…) di equità e giustizia, che debbono sempre caratterizzare l’accertamento tributario, se fossero stati applicati o rispettati, la contribuente non avrebbe subito un accertamento (…) illegittimo”.

4.- Avverso tale sentenza della CTR, non notificata, ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate che, dichiarando un valore del procedimento di Euro 188.267,78, affida il proprio ricorso, notificato a C.P., ai sensi dell’art. 2495 c.c., nella qualità sia di unico socio che di liquidatore della I.E. International Edil s.r.l., il 23/26 giugno 2010, a due motivi.

5.- Nè la I.E. International Edil s.r.l. nè C.P. si sono costituite.

6.- Il ricorso è stato successivamente fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 aggiunto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. a), n. 2), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, art. 1, comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- Preliminarmente, occorre verificare l’ammissibilità del ricorso con riguardo alla corretta individuazione, da parte della ricorrente, dei soggetti nei cui confronti esso è stato proposto.

Tale verifica si rende necessaria in quanto, come risulta dalla visura camerale storica della I.E. International Edil s.r.l., depositata dalla ricorrente come allegato 2 al ricorso, tale società, nei cui riguardi è stata pronunciata la sentenza impugnata, è stata cancellata dal registro delle imprese a decorrere dal 24 marzo 2010 e si è perciò estinta, in concomitanza con tale cancellazione, ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 2, (Sez. Un., sentenze n. 4060, n. 4061 e n. 4062 del 2010), dopo il deposito della suddetta sentenza (avvenuto il 14 ottobre 2009) e durante la pendenza del termine cosiddetto lungo per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la stessa.

Va altresì osservato che l’Agenzia ricorrente ha proposto il proprio ricorso per cassazione il 23 giugno 2010 – quando, cioè, la I.E. International Edil s.r.l. aveva ormai cessato di esistere -indirizzandolo sia a tale società, in persona del legale rappresentante pro tempore, sia a C.P., nella qualità sia di unico socio della predetta I.E. International Edil s.r.l., ai sensi dell’art. 2495 c.c., sia di liquidatore della stessa, sempre ai sensi dell’art. 2495 c.c.

1.1.- Tanto precisato, il ricorso proposto nei confronti della I.E. International Edil s.r.l. è inammissibile.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta contro la (o dalla) società cancellata dal registro delle imprese e, perciò, non più esistente e priva di legittimazione processuale (Sez. Un., sentenze n. 6070 e n. 6071 del 2013; Sez. 5, sentenze n. 5988 del 2017, n. 23574 del 2014 e n. 21517 del 2013; Sez. 6-5, ordinanza n. 25275 del 2014).

1.2.- Diversamente, anche ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, deve ritenersi esistente la sopravvenuta legittimazione processuale (nella specie, passiva) di C.P., nella qualità di socio (unico) della I.E. International Edil s.r.l., a titolo successorio (art. 110 c.p.c.), ancorchè sui generis (in tale senso, le già citate: Sez. Un., sentenze n. 6070 e n. 6071 del 2013; Sez. 5, sentenze n. 5988 del 2017, n. 23574 del 2014 e n. 21517 del 2013; Sez. 6-5, ordinanza n. 25275 del 2014).

Questo Collegio, pur prendendo atto dell’esistenza di pronunce di questa Corte di segno contrario rispetto all’orientamento espresso dalle menzionate sentenze delle Sezioni Unite n. 6070 e n. 6071 del 2013 – per esempio, le sentenze della Sez. 5, n. 19611 e n. 13259 del 2015 e l’ordinanza della Sez. 6-5 n. 23916 del 2016, ad avviso delle quali l’amministrazione finanziaria che intenda proseguire (o instaurare) l’azione nei confronti del socio della società estinta in conseguenza della cancellazione dal registro delle imprese ha l’onere di dimostrare la sussistenza del presupposto della responsabilità e, quindi, della legittimazione passiva, dello stesso socio, in particolare, che vi sia stata la distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione e che una quota di esso sia stata riscossa dal socio – intende invece dare continuità al suddetto orientamento delle Sezioni Unite. Queste, dopo avere chiarito che “(i)l successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo”, hanno infatti affermato il principio di diritto secondo cui “Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 c.p.c. e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta”.

Da ciò l’ammissibilità del ricorso proposto nei riguardi di C.P., nella qualità di socio della I.E. International Edil s.r.l.

1.3.- Nessuna legittimazione processuale può infine ravvisarsi in capo a C.P., nella qualità di liquidatore della I.E. International Edil s.r.l.

Come si è accennato al punto 1.2., l’affermata individuazione dei soci come “giusta parte” nei cui confronti può proseguire il processo del quale era parte la società poi cancellata dal registro delle imprese trova il proprio fondamento nel riconoscimento dei predetti soci quali successori nei rapporti debitori che facevano capo alla società cancellata (e che non sono stati definiti all’esito della liquidazione); ciò che, sul piano processuale, comporta il subentro degli stessi soci nella legittimazione processuale già propria dell’ente, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. Un analogo fenomeno (latamente) successorio è invece da escludere con riguardo alla posizione del liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, il quale, ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 2, – secondo cui i creditori sociali non soddisfatti possono fare valere i loro crediti nei confronti dei liquidatori “se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi” – può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria, ma non della pretesa attinente al medesimo debito che faceva capo alla società. Tale impossibilità di ricondurre la fattispecie della responsabilità del liquidatore a un fenomeno di tipo successorio dell’ente estinto impedisce di ravvisare, nello stesso liquidatore, un soggetto dotato di legittimazione processuale in proprio al quale sia possibile indirizzare correttamente, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., l’atto di impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società (Sez. 5, sentenze n. 19611 del 2015 e n. 7676 del 2012).

Deve quindi affermarsi l’inammissibilità del ricorso proposto contro C.P. nella qualità di liquidatore della I.E. International Edil s.r.l.

2.- Con il primo motivo, concluso con la formulazione di un quesito di diritto, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui vieta al giudice di pronunciare ultra petita, in quanto la CTR avrebbe basato la propria decisione sull’affermazione dell’illegittimità di un avviso di accertamento fondato sugli studi di settore, questione mai dedotta dalla società contribuente, che aveva basato le proprie doglianze avverso l’impugnata cartella di pagamento esclusivamente sugli errori da lei commessi nella compilazione della dichiarazione.

2.1.- Il motivo non è fondato.

Va premesso che, al fine di acquisire gli elementi necessari alla pronuncia sul vizio in procedendo della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. – che stabilisce il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – questa Corte, in quanto giudice anche del fatto, ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto e all’interpretazione degli atti processuali (ex plurimis, Sez. 3, sentenza n. 21421 del 2014, Sez. 4, sentenza n. 17109 del 2009).

Nel caso di specie, dall’esame diretto dei pertinenti atti processuali, risulta che la cartella di pagamento impugnata dall’odierna intimata era stata emessa, per quanto qui rileva, a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione modello Unico/2002 presentata per il periodo d’imposta 2001 effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, e che nel ricorso alla CTP – riprodotto anche dall’Agenzia delle entrate alla pag. 2 del proprio ricorso per cassazione – la contribuente aveva posto a fondamento dell’impugnazione della suddetta cartella il fatto di avere erroneamente provveduto ad adeguarsi agli studi di settore e che tale errore, a sua volta, era stato causato da un errore materiale commesso nella compilazione degli stessi studi (“La I.E. International s.r.l. ha erroneamente provveduto ad un adeguamento da studi di settore di Lire 130.977.000 (pari ad Euro 67.643,97). Tale adeguamento è stato causato da un mero errore materiale commesso in sede di compilazione dei suddetti studi, in quanto erroneamente è stato considerato e riportato (…)”).

Secondo la ricorrente, a fronte di tale unica causa petendi dell’impugnazione dell’erroneità, nei termini sopra indicati, della dichiarazione dal cui controllo automatizzato era scaturita la liquidazione e la successiva iscrizione a ruolo delle imposte dovute in base alla stessa (e non versate) – erroneità che la contribuente intendeva quindi emendare in sede giudiziale – la CTR avrebbe basato la propria decisione sull’affermazione dell’illegittimità di un avviso di accertamento fondato sugli studi di settore, cioè su una questione mai dedotta dalla società contribuente.

Tale tesi non è, però, condivisibile.

Dalla complessiva lettura della sentenza impugnata risulta infatti che la stessa, nonostante operi alcuni impropri riferimenti a un accertamento tributario e, in particolare, all’accertamento basato sugli studi di settore, non si fonda sull’affermazione dell’illegittimità di un siffatto (inesistente) accertamento, bensì sull’errore commesso dalla contribuente nella dichiarazione nell’optare per l’adeguamento agli studi di settore. Ne costituiscono, in particolare, decisiva conferma i seguenti passaggi della sentenza della CTR: “L’ufficio, alla luce di tali dichiarazioni, omettendo di valutare la congruità o meno di tali dati, emetteva una cartella esattoriale (…). La Commissione di prime cure, accertata la sussistenza dell’errore, autopunitivo, commesso dalla contribuente nell’adeguarsi agli Studi di settore, ha accolto, correttamente, la tesi della contribuente, eliminando l’errore in cui essa era caduta. Invero, come hanno statuito i giudici di prime cure, in difetto degli errori e, con una corretta interpretazione degli Studi di settore, i dati indicati, a seguito della correzione apparivano congrui”.

Risulta, quindi, che la sentenza impugnata si è pronunciata sulla stessa domanda – con riguardo, in particolare, alla causa petendi – proposta dalla contribuente sulla scorta della pretesa azionata dall’amministrazione finanziaria, senza mutare il thema decidendum e senza incorrere, perciò, nel denunciato vizio di ultrapetizione.

3.- Con il secondo motivo, anch’esso concluso con la formulazione di un quesito di diritto, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 in quanto la CTR, nel decidere la controversia nel merito, non ha considerato che gli errori commessi nella compilazione della dichiarazione (relativi, in particolare, al valore dei beni strumentali e alle spese per l’acquisto di servizi) avrebbero dovuto essere corretti dalla contribuente mediante la dichiarazione integrativa prevista dal detto art. 2, da presentare entro il termine di decadenza ivi pure indicato, e non potevano essere fatti valere soltanto in sede contenziosa, con il ricorso avverso la cartella di pagamento emessa a seguito del controllo formale della dichiarazione.

3.1.- Il motivo è fondato, nei termini che seguono.

3.1.1.- Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, tenuto conto della natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, secondo cui “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, nonchè del diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e di riscossione rispetto a quelle che governano il processo tributario – il cui oggetto è costituito dall’accertamento in ordine alla legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sui dati forniti dal contribuente – quest’ultimo, indipendentemente dalle modalità e dai termini previsti dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 per la dichiarazione integrativa (nonchè dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38), in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggior pretesa tributaria azionata dell’amministrazione finanziaria (anche mediante la diretta iscrizione a ruolo a seguito del controllo automatizzato), allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione e incidenti sull’obbligazione tributaria (Sezioni unite, sentenza n. 13378 del 2016). Alla luce di tale statuizione, nulla osta, in linea di principio, a che il contribuente possa contestare, nel giudizio di merito, una cartella di pagamento emessa a seguito del controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, facendo valere un errore da lui commesso nella compilazione della dichiarazione, indipendentemente dalla (mancata) presentazione della dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2.

3.1.2.- Nondimeno, si deve ora verificare se, nella fattispecie, si sia effettivamente in presenza di una mera (erronea) dichiarazione di scienza, in quanto tale emendabile.

La risposta è negativa.

Questa Corte ha in effetti ripetutamente affermato che la dichiarazione del contribuente di volersi adeguare agli studi di settore, compilando i pertinenti quadri della dichiarazione, non integra una mera dichiarazione di scienza ma, in quanto atto di esercizio di un’opzione offerta dal legislatore, costituisce espressione di una volontà negoziale (Sez. 5, sentenza n. 19410 del 2015; Sez. 6-5, ordinanza n. 18180 del 2015).

Da ciò la conseguenza – pure asserita da tali due pronunce – che l’errore relativo all’indicazione di dati inerenti l’esercizio della suddetta opzione è sì emendabile ma solo a condizione che il contribuente, nel contestare l’atto impositivo, fornisca la prova, oltre che dell’errore commesso, anche dell’essenzialità e della riconoscibilità dello stesso, secondo la generale disciplina dei vizi della volontà dettata dagli artt. 1427 c.c. e seguenti e applicabile, in quanto compatibile, ai sensi dell’art. 1324 c.c., anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (Sez. 5, sentenza n. 19410 del 2015; Sez. 6-5, ordinanza n. 18180 del 2015; in senso analogo, con riguardo all’emendabilità di errori commessi nella dichiarazione e relativi all’indicazione di dati riferibili a una diversa espressione di volontà negoziale, Sez. 5, sentenza n. 1427 del 2013).

3.1.3.- Tanto chiarito, risulta evidente l’error in judicando commesso dalla CTR. Questa, infatti, mostra di ritenere – come risulta evidente dalla già riportata motivazione della sentenza impugnata – che l’errore commesso nella dichiarazione relativamente all’indicazione di dati inerenti l’adeguamento agli studi di settore possa essere emendato, semplicemente, fornendo la prova dello stesso (e della sua essenzialità), trascurando, così, di considerare, in violazione, in particolare, dell’art. 1428 c.c., la necessità che il medesimo errore fosse, altresì, riconoscibile dall’amministrazione finanziaria.

Poichè la sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio, essa deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà a riesaminare la questione dell’emendabilità dell’errore commesso dalla contribuente nella compilazione della dichiarazione tenendo conto del fatto che, trattandosi, nella specie, di un errore che incide su una dichiarazione negoziale (e non di mera scienza), la contribuente deve fornire la prova anche della sua rilevanza, con riguardo a entrambi i requisiti dell’essenzialità e della riconoscibilità da parte dell’amministrazione.

3.1.4.- E’ infine opportuno precisare che, posto che con il motivo di ricorso si è denunciato che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto l’emendabilità della dichiarazione del contribuente di volersi adeguare agli studi di settore, ben può questa Corte, in virtù del principio iura novit curia, individuare nell’art. 1428 c.c. – anzichè nel D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 indicato dalla ricorrente – la norma effettivamente violata, tenuto conto che, dal suddetto denunciato vizio, è agevole risalire inequivocabilmente a tale norma (ex plurimis, Sez. 3, sentenza n. 4439 del 2014).

4.- In conclusione, i ricorsi proposti nei confronti della I.E. International Edil s.r.l. e di C.P., nella qualità di liquidatore di tale società, devono essere dichiarati inammissibili. In accoglimento del secondo motivo del ricorso proposto nei confronti di C.P., nella qualità di socio della I.E. International Edil s.r.l., rigettato il primo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perchè provveda anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

la Corte: dichiara inammissibili i ricorsi proposti nei confronti della I.E. International Edil s.r.l. e di C.P., nella qualità di liquidatore di tale società; accoglie il secondo motivo del ricorso proposto nei confronti di C.P., nella qualità di socio della I.E. International Edil s.r.l., rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Tributaria civile, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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