Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21801 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/08/2019, (ud. 22/01/2019, dep. 29/08/2019), n.21801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10686-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

FILOTRADE SRL;

– intimato –

e da:

FILOTRADE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANNI MARONGIU,

ANDREA BODRITO;

– controricorrente incidentale –

sul ricorso 592-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

FILOTRADE SRL, EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 25/2013 depositata il 08/03/2013 e avverso la

sentenza n. 90/2013 depositata il 08/11/2013 della COMM. TRIB. REG

della Liguria;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/01/2019 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– con sentenza n. 192/13/08, la C.T.P. di Genova respingeva il ricorso di Filotrade S.r.l. avverso l’avviso di rettifica dell’accertamento emesso il 7/12/2007 dall’Agenzia delle Dogane – Ufficio di Genova ed avente ad oggetto i maggiori diritti doganali dovuti in relazione ad operazioni di importazioni di carne bovina congelata da Paesi extracomunitari in regime di contingente tariffario di cui al Reg. CE n. 954/2002 e al Reg. CE n. 780/2003; l’Ufficio sosteneva che per dette importazioni la società aveva indebitamente fruito dell’aliquota daziaria agevolata, poichè (all’esito di indagini condotte dalla Guardia di Finanza, compendiate nei processi verbali di constatazione del 15/12/2005 e del 9 febbraio 2006) la Filotrade aveva utilizzato certificati AGRIM pur essendo collegata, mediante accordi fiduciari, con altre numerose società del gruppo Euromeat S.p.A. (tutte riconducibili a membri della famiglia S.) e conseguendo così vantaggi fiscali ed economici non consentiti, atteso che i predetti regolamenti comunitari ricollegavano all’esistenza di legami tra le società richiedenti Reg. CEE n. 2454/93, ex art. 143, una espressa condizione ostativa al rilascio di ulteriori quote (rappresentate dai certificati AGRIM) del contingente alla importazione a dazio agevolato;

– la C.T.R. della Liguria, con la sentenza n. 25 dell’8 marzo 2013, accoglieva l’appello della Filotrade con la seguente motivazione: “La società ricorrente ha prodotto la documentazione idonea a provare il possesso dei requisiti normativamente richiesti per l’ottenimento del titolo di importazione agevolata. Il Ministero delle attività produttive, competente a valutare i requisiti per l’ottenimento dei titoli Agrim, ha esaminato le risultanze del PVC e la documentazione in suo possesso ed è giunta alla conclusione che il titolo Agrim è stato correttamente concesso e che non si sono evidenziati rapporti di collegamento fra la società Filotrade e le altre società indicate come collegate dall’Agenzia delle Dogane. Del resto il collegamento fra le società in questione è stato desunto dall’Agenzia delle Dogane da indizi che non escludono che ogni società operasse in autonomia rispetto alle altre. In definitiva è indubbio che la società appellante ha usufruito del dazio agevolato legittimamente sulla base del titolo rilasciato dal competente Ministero e non revocato nonostante i successivi accertamenti. Pertanto gli importi richiesti dall’Agenzia non sono dovuti.”;

– avverso tale decisione l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione (iscritto al n. 10686/2014 R.G.), affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso Filotrade S.r.l., che a sua volta impugna la decisione con ricorso incidentale basato su un singolo motivo, al quale replica l’Agenzia con controricorso;

– con sentenza n. 35/10/09, la C.T.P. di Genova respingeva il ricorso di Filotrade S.r.l. avverso la cartella di pagamento n. 035/2008/00060989/23 notificatale da Equitalia S.R.T. e il ruolo in essa indicato; la ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità – a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 – dell’iscrizione a ruolo dell’intero dazio doganale accertato con avviso di rettifica già oggetto di impugnazione, nonchè il difetto di legittimazione dell’agente della riscossione;

– la C.T.R. della Liguria, con la sentenza n. 90 dell’8 novembre 2013, annullava la cartella oggetto di impugnazione con la seguente motivazione: “La sentenza n. 25 del 26.4.2011 ha statuito che la società ha usufruito del dazio agevolato legittimamente sulla base del titolo rilasciato dal competente Ministero e non revocato nonostante i successivi accertamenti e che pertanto gli importi richiesti dall’Agenzia non sono dovuti. Peraltro l’annullamento dell’atto di accertamento non può comportare la cessazione della materia del contendere in quanto la sentenza non è passata in giudicato in pendenza dei termini per ricorrere in Cassazione…. A seguito dell’annullamento dell’accertamento, ancorchè non definitivo, da cui è derivata la cartella esattoriale oggetto del presente giudizio, attualmente manca il presupposto impositivo, per cui va accolta, sotto tale profilo, la domanda della società volta veder dichiarare non dovute le somme pretese. Le spese vanno compensate atteso che l’accoglimento del ricorso è dipeso da motivi diversi rispetto a quelli ivi indicati.”;

– avverso tale decisione l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione (iscritto al n. 592/2015R.G.), affidato a sei motivi;

– le intimate Filotrade S.r.l. ed Equitalia Nord S.p.A. (subentrata a Equitalia Esatri S.p.A., a sua volta succeduta a Equitalia S.R.T.) non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente, si dispone la riunione dei procedimenti iscritti ai nn. 10686/2014 e 592/2015 R.G., aventi ad oggetto, rispettivamente, l’avviso di rettifica dell’accertamento e la cartella di pagamento da quello scaturita.

2. Col primo motivo del ricorso avverso l’avviso la ricorrente Agenzia deduce la nullità la sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, e dell’art. 111 Cost., comma 6, in ragione del difetto di motivazione della decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale.

3. Col secondo e col terzo motivo l’Agenzia lamenta la carenza di motivazione della sentenza (per omesso esame di fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del Reg. CEE n. 2454 del 1993, art. 143, dell’art. 53 Cost. e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice d’appello, trascurando gli elementi forniti dall’Ufficio e con una motivazione insoddisfacente, ritenuto che la società Filotrade operasse in autonomia dalle altre società del gruppo e che l’importazione a dazio agevolato fosse legittima in base al solo dato formale costituito dal possesso del titolo Agrim, senza considerare gli accertamenti e le verifiche ex post spettanti all’Agenzia per il rispetto della disciplina comunitaria.

4. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perchè tra loro connessi, sono fondati.

Questa stessa Sezione è già stata chiamata a pronunciarsi su un analogo ricorso dell’Agenzia delle Dogane avverso la Filotrade per vicende del tutto analoghe (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 10070 del 9/5/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9803 del 7/5/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9802 del 7/5/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9801 del 7/5/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9800 del 7/5/2014); si riprendono qui, dunque, le motivazioni che si attagliano anche alla fattispecie ora in esame.

I giudici di appello – dopo avere, nello svolgimento in fatto della sentenza, richiamato il presupposto di fatto indicato a fondamento dell’avviso di rettifica (esistenza di un legame societario ostativo, ai sensi del Reg. CE n. 780/2003, art. 9, comma 4, e del Reg. CE n. 2454/1993 DAC, art. 143, alla assegnazione delle quote del contingente tariffario, appartenendo Filotrade s.r.l. ad un gruppo di imprese tutte controllate e gestite di fatto dalla famiglia S.) – hanno successivamente omesso di prendere in considerazione gli elementi indiziali individuati nel PVC, redatto in data 9/2/2006, indicati a supporto della pretesa doganale, limitandosi ad affermare che la società aveva prodotto “documentazione idonea a provare il possesso dei requisiti normativamente richiesti per l’ottenimento del titolo di importazione agevolata”, espressione lessicale peraltro ambigua, non essendo dato comprendere se detta documentazione (della quale non è fornita specificazione alcuna) sia diversa o invece corrisponda a quella documentazione trasmessa dalla stessa società – ai fini del riconoscimento del titolo – al Ministero delle attività produttive, ed alla stregua della quale l’Amministrazione statale aveva escluso rapporti di collegamento tra le società del “gruppo Euromeat”, comunicazione ritenuta determinante dalla C.T.R. ligure come prova della inesistenza della violazione del Reg. CE n. 780/2003, art. 9 par. 5. Ed infatti l’unica argomentazione concernente l’esame “comparativo-valutativo” degli elementi probatori offerti dall’Ufficio doganale, va rinvenuta nella ritenuta genericità (id est mancanza di precisione, ai sensi dell’art. 2729 c.c.) degli indizi risultanti dal PVC, compendiata nella sintesi verbale secondo cui tali indizi “non escludono che ogni società operasse in autonomia rispetto alle altre”.

La motivazione posta a sostegno della decisione deve ritenersi gravemente carente e al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01), in quanto i giudici di merito si sono limitati ad indicare soltanto il risultato conclusivo del giudizio valutativo dei fatti dimostrati in giudizio, senza, tuttavia, evidenziare le premesse logiche ed il discorso argomentativo attraverso il quale è stato possibile pervenire a tali conclusioni. La statuizione meramente assertiva per cui gli indizi offerti dall’Agenzia non sono dimostrativi della relazione di “legame” tra le società si risolve in un giudizio sintetico di generale inutilizzabilità dei fatti accertati nel PVC compiuto dalla C.T.R. senza neppure individuare quali fatti, valutati singolarmente e nelle loro connessioni, siano sforniti di capacità concludente, ed è un tipico esempio di abdicazione all’obbligo imposto al Giudice di rappresentare compiutamente gli elementi di fatto e le ragioni sui quali si è formato il proprio convincimento.

Se, infatti, non appare dubbio che spetti in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova – dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni -, tale attività di giudizio deve, tuttavia, trovare supporto in argomenti la cui esternazione, nell’apparato motivazionale che sorregge il decisum, indispensabile ai fini del controllo giurisdizionale, deve rispondere ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (anche dopo la riforma del 2012 e nei limiti individuati dalla già citata pronuncia di Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), non potendosi di contro risolvere in un’affermazione apodittica e immotivata sulle risultanze istruttorie.

5. Le censure della ricorrente riguardano, altresì, l’argomentazione fondata sulla mancata revoca dei titoli Agrim da parte del competente Ministero: “Il Ministero delle attività produttive, competente a valutare i requisiti per l’ottenimento dei titoli Agrim, ha esaminato le risultanze del PVC e la documentazione in suo possesso ed è giunta alla conclusione che il titolo Agrim è stato correttamente concesso e che non si sono evidenziati rapporti di collegamento fra la società Filotrade e le altre società indicate come collegate dall’Agenzia delle Dogane…. la società appellante ha usufruito del dazio agevolato legittimamente sulla base del titolo rilasciato dal competente Ministero e non revocato nonostante i successivi accertamenti.” (così la sentenza impugnata).

In primis, il giudice di merito è tenuto ad esaminare autonomamente gli elementi probatori e non può affidare la propria decisione alle conclusioni raggiunte da un organo della pubblica amministrazione privo di competenza a compiere la predetta valutazione.

Inoltre, la C.T.R. non fornisce alcuna indicazione atta a rappresentare gli specifici elementi in fatto e le ragioni per cui, esaminando le risultanze del PVC, il Ministero sia pervenuto a tale conclusione, ed ancor più omette di evidenziare le ragioni per cui lo stesso giudice d’appello abbia inteso aderire a tali conclusioni.

Infine, il fatto che Filotrade S.r.l. abbia legittimamente fruito del dazio agevolato è desunto dalla mancata revoca dei titoli di importazione da parte del Ministero delle Attività Produttive (come invece previsto dal Reg. CE n. 780/2003, art. 10: “Qualora venga stabilito che il riconoscimento è stato concesso in base a documentazione falsa o fraudolenta, esso viene revocato insieme agli eventuali benefici già concessi in virtù del riconoscimento”). Non è chiaro se la C.T.R. abbia addotto la indicata circostanza come argumentum a contrario oppure se abbia ipotizzato un condizionamento giuridico dell’esercizio della potestà accertativa dell’Ufficio doganale dalla previa adozione di un provvedimento di revoca del titolo da parte della competente Amministrazione statale.

In proposito si osserva che la necessità giuridica di un previo accertamento della falsità dei titoli AGRIM (e del conseguente provvedimento di revoca del riconoscimento delle quote di contingente) non trova alcun fondamento, non essendo dato individuare alcuna norma statale o comunitaria che espressamente subordini il recupero del dazio alla previa revoca dei titoli AGRIM; infatti, le norme dei regolamenti comunitari si limitano soltanto a disporre che “il riconoscimento” (che costituisce una condizione di legittimazione per la presentazione da parte dell’impresa della domanda di partecipazione alla assegnazione del contingente tariffario) ed i benefici eventualmente già accordati in virtù del riconoscimento debbono essere revocati qualora il titolo di legittimazione sia stato concesso “in base a documentazione falsa o fraudolenta” (Reg. CE n. 954/2002, art. 10, e Reg. CE n. 780/2003, art. 10), senza che venga dalle stesse disciplinato anche uno specifico procedimento per il recupero del maggiore dazio doganale dovuto in conseguenza della indebita fruizione dell’agevolazione tariffaria alla importazione o vengano individuate le autorità competenti a procedere al recupero dei diritti doganali evasi.

In difetto di specifica norma derogatoria, nell’ambito dell’ordinamento interno le competenze all’accertamento, liquidazione e riscossione dei dazi e degli altri diritti doganali, anche se concernenti la importazione di merci relative a contingentamento tariffario, spettano in via esclusiva alla Autorità doganale (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) e tale accertamento non è subordinato alla vicenda amministrativa del titolo di importazione (recte, della assegnazione della quote del contingente) che attiene esclusivamente al momento della partecipazione alla gara ed alla corretta distribuzione delle quote tra le imprese concorrenti, essendo funzionale il provvedimento di revoca del riconoscimento della quota – in caso di scoperta della falsità della documentazione – a consentire la tempestiva riassegnazione della quota stessa ad altra impresa legittimata e non anche ad attribuire la qualificazione di illiceità o di irregolarità della condotta contestata alla impresa importatrice (il provvedimento amministrativo di revoca della quota non integra, pertanto, un elemento costitutivo dell’obbligazione doganale o della fattispecie illecita).

6. Col ricorso incidentale la Filotrade deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, e del principio di obbligatorietà del contraddittorio amministrativo doganale, in quanto l’atto impositivo non sarebbe stato preceduto dal contraddittorio con la contribuente, nonostante le affermazioni contenute nella sentenza del 18 dicembre 2008 della Corte di Giustizia nella causa C-349/07, Sopropè; la società sostiene che il vizio denunciato, anche se non dedotto nei precedenti gradi di merito, debba essere esaminato ex officio da questa Corte, poichè esso attiene a una violazione del diritto comunitario riconosciuta dal giudice dell’Unione e, come tale, esso costituisce jus superveniens direttamente conoscibile del Giudice della controversia in corso.

7. Il motivo è inammissibile.

La denunciata violazione del diritto comunitario – conseguente ad una sentenza della Corte di Giustizia successiva alla decisione di prime cure, ma anteriore a quella d’appello – non è stata dedotta nel precedente grado di giudizio.

Non può sostenersi la rilevabilità ex officio, in sede di legittimità, della questione relativa alla compatibilità della norma interna con quella comunitaria sopravvenuta, in quanto la menzionata pronuncia della Corte dell’Unione Europea non opera in modo analogo allo ius superveniens.

Difatti, l’efficacia retroattiva della sentenza della Corte di Giustizia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorchè sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche (Cass., Sez. U., Sentenza n. 13676 del 16/06/2014, Rv. 631442-01).

Peraltro, la nullità dell’atto, dedotta alla luce della citata sentenza, presuppone un accertamento in fatto – il difetto del previo contraddittorio con la contribuente – che esula dal giudizio di legittimità.

8. Di conseguenza, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Dogane, l’impugnata sentenza n. 25 dell’8 marzo 2013 della C.T.R. della Liguria è cassata, con rinvio alla medesima Commissione per nuovo esame; il ricorso incidentale di Filotrade è, invece, dichiarato inammissibile.

9. Con riguardo al ricorso avverso l’annullamento della cartella di pagamento, ad avviso del Collegio, nel diritto tributario caratterizzato da una riscossione coattiva esercitata attraverso una sequenza di atti che, pur se autonomamente impugnabili per vizi propri, trovano il loro presupposto nel medesimo atto impositivo – la cassazione della pronuncia che aveva annullato la pretesa impositiva determina un effetto espansivo (ex art. 336 c.p.c., comma 2) sul giudizio nel quale sia stata contestata (e annullata) la cartella.

In altri termini: in considerazione delle particolarità del giudizio tributario, la restaurazione del provvedimento impositivo dell’Amministrazione, conseguenza della cassazione della decisione che lo aveva annullato, ripristina il titolo legittimante la riscossione coattiva; da ciò discende la cassazione della sentenza n. 90 dell’8 novembre 2013 della C.T.R. della Liguria, la quale aveva annullato la cartella di pagamento – senza esaminare le ragioni di impugnazione dedotte dall’appellante – affermando che “attualmente manca il presupposto impositivo, per cui va accolta, sotto tale profilo, la domanda della società volta a veder dichiarare non dovute le somme pretese”.

Restano quindi assorbiti i profili di censura dedotti dall’Agenzia delle Dogane avverso la predetta decisione.

10. In conclusione, entrambe le pronunce impugnate sono cassate con rinvio alla C.T.R. ligure, in diversa composizione, per nuovo esame e anche per la statuizione sulle spese di questo giudizio.

11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale (la cui impugnazione è stata dichiarata inammissibile), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

dispone la riunione dei procedimenti iscritti ai nn. 10686/2014 e 592/2015 R.G.,

accoglie i ricorsi proposti dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,

dichiara inammissibile il ricorso incidentale di Filotrade S.r.l., cassa le sentenze impugnate con rinvio alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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