Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21798 del 28/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 28/10/2016, (ud. 15/07/2016, dep. 28/10/2016), n.21798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4519-2015 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

è difesa per legge;

– ricorrente-

contro

R.S., MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS),

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), MINISTERO ECONOMIA FINANZE

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 597/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 20/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2016 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito l’Avvocato FABRIZIO FEDELI per l’Avvocatura dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità e/o

infondatezza del ricorso.

Fatto

I FATTI

Nel 2002, il dottor R.S., laureato in medicina e chirurgia, esponendo di aver conseguito un diploma di specializzazione in igiene e medicina preventiva sulla base dell’ordinamento vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna alla corresponsione di una adeguata retribuzione, o al risarcimento dei danni corrispondenti alla mancata percezione della giusta remunerazione per il tempo di frequenza della scuola universitaria di specializzazione in medicina nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, per inadempimento agli obblighi derivanti allo Stato Italiano dalle direttive n. 75/362/CEE e 82/76/CEE, per ogni anno di frequenza dei corsi di specializzazione.

Il Tribunale di Perugia accoglieva la domanda.

La Corte d’Appello di Perugia, con la sentenza qui impugnata, rigettava l’appello della Presidenza.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri propone un motivo di ricorso per cassazione illustrato da memoria avverso la sentenza n. 597/2014, depositata dalla Corte d’Appello di Perugia in data 20 ottobre 2014, non notificata.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 382 c.p.c., comma 3, art. 2043 c.c., artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità europea, dell’art. 10 del trattato di Roma nella versione consolidata, dell’art. 117 Cost., comma 1, dell’art. 16 della direttiva CEE 82/76, nonchè degli artt. 7 e 8 della direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene che la corte d’appello, nel riconoscere il diritto al risarcimento del danno in favore del R., abbia violato la disciplina comunitaria, laddove essa prevede il diritto ad un’adeguata remunerazione in favore dei medici specializzandi qualora abbiano conseguito una delle specializzazioni comuni a tutti gli Stati membri, o a due o più di essi, menzionate negli artt. 5 e 7 della direttiva “riconoscimento”.

La specializzazione in igiene e medicina preventiva conseguita dal R. ed indicata dal professionista in atto di citazione non rientrerebbe affatto ad avviso della ricorrente nell’elenco delle c.d. “specializzazioni comuni”.

La Presidenza del Consiglio sottolinea che la carenza del requisito sopra indicato è desumibile dalle stesse allegazioni dell’attore, che fanno espresso riferimento ad un diploma di specializzazione avente questo oggetto, non rientrante nell’elenco di cui all’art. 5, n. 2, o quanto meno comune a due o più Stati membri, e quindi rientrante nell’elenco di cui all’art. 7, n. 2 della direttiva “riconoscimento” e rilevabile anche d’ufficio essendo afferente ad un elemento costitutivo del diritto azionato in giudizio.

Il ricorso è infondato.

Sussistono alcuni, pur superabili, profili di inammissibilità: la ricorrente riproduce seppur sinteticamente il proprio atto di appello, dal quale emerge la formulazione di una contestazione del diritto al risarcimento in favore del R., riconosciuto dal tribunale già in primo grado, anche in ragione della natura dei corsi di specializzazione seguiti, non ricompresi tra quelli per i quali la normativa comunitaria imponeva una remunerazione. Essa non indica però adeguatamente che l’atto di appello sia stato nuovamente prodotto in questa sede nè soprattutto ha curato la produzione dell’atto di citazione del R., ove indica sia stata precisata la natura della sua specializzazione.

La sentenza di appello si occupa esclusivamente della qualificazione della responsabilità esistente in capo allo Stato italiano e, sulla base della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte che la qualifica in termini di responsabilità per inadempimento di una obbligazione ex lege, e ne fa discendere la durata decennale del termine di prescrizione.

La sentenza avrebbe dovuto essere più appropriatamente impugnata sotto il profilo della omessa pronuncia sul punto.

In ogni caso, questa Corte ha avuto già modo di affermare (da ultimo con sentenza n. 8939 del 2016 ma fin da Cass. S.U. n. 29345 del 16 dicembre 2008,) in una fattispecie in cui era stata accertata in fatto la frequentazione di un corso di specializzazione in “Igiene e medicina preventiva” quale quello frequentato dal R. da parte del professionista, e va in questa sede ribadito che il mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivato presso un’Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, previsto dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 275, art. 1, comma 2, non è di ostacolo al riconoscimento in favore dello specializzando del diritto alla borsa di studio prevista nello stesso D.Lgs. n. 275, art. 6 quando si tratti di specializzazione del tutto analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri. (Nella specie, le sezioni unite confermavano la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto alla borsa di studio in favore di medici iscritti, per gli anni accademici dal 1998 al 2002, alla scuola di specializzazione in “medicina di comunità” istituita presso l’Università di (OMISSIS), analoga, sia sotto il profilo della denominazione, che sotto quello, sostanziale, degli insegnamenti e degli obiettivi formativi, a scuole di specializzazione previste nel Regno Unito ed in Irlanda – “community medicine” nonchè in Francia).

Come successivamente precisato sempre dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13909 del 24 giugno 2011, le quali richiamano a loro volta la sentenza del 2008 sopra citata, l’eventuale diritto del laureato deriva direttamente dalla normativa comunitaria, per cui risulta ininfluente la mancata inserzione della scuola da lui frequentata nell’elenco delle specializzazioni comuni ad almeno due stati membri.

Ed invero, facendo le disposizioni della direttiva 93/16/CEE dipendere il riconoscimento del titolo di specializzazione, con le relative conseguenze sulla connessa attività formativa, dalla condizione, tra l’altro, che si tratti di specializzazione prevista da due o più Stati membri, il diritto alla remunerazione sorge, in base alla direttiva, dal positivo riscontro di tale presupposto.

A ciò si aggiunga, quanto alla specializzazione italiana in “Igiene e medicina preventiva” conseguita dal R., che essa esiste in numerosi paesi dell’Unione Europea, che nei paesi anglosassoni la medesima specializzazione è denominata “Community medicine”, che la specializzazione in “Community medicine” è già menzionata nell’art. 5 della direttiva n. 363 del 1975 e che l’equivalenza tra la specializzazione in “Community medicine” (esistente nel regno Unito ed in Irlanda) e quella in “Igiene e medicina preventiva” esistente in Italia e quella in “Santè publique et medecine sociale” esistente in Francia è espressamente prevista dall’art. 7, par. 2 della direttiva 93/16/CEE.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 2016).

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente ne è uscita soccombente. Essendo l’Amministrazione pubblica ricorrente esente dall’obbligo di versamento del contributo unificato, tuttavia, la Corte dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della esenzione dell’Amministrazione dall’obbligo del versamento del contributo unificato e della insussistenza dei presupposti di legge per il suo raddoppio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2016

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