Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21797 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 20/10/2011), n.21797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

NAPOLI SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste n. 88,

presso lo studio dell’avv. Giorgio Recchia, rappresentata e difesa

dall’avv. CECCOLI Armando;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sez. 15, n. 193 del 19 novembre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22.6.2011 dal consigliere relatore Dott. Aurelio Cappabianca;

udito, per l’Agenzia ricorrente, l’avvocato dello Stato Alessandro De

Stefano;

udito, per la società controricorrente, l’avv. Armando Ceccoli;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società contribuente richiese di essere ammessa al godimento, per gli anni dal 2003 al 2006, del beneficio dell'”ulteriore” credito d’imposta, previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 1, e L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 10, per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate.

Avendo il competente Ufficio concesso il beneficio nei limiti risultanti dall’applicazione della c.d. regola comunitaria “de minimis” (ai sensi della quale gli “aiuti di stato” non incorrono in violazione comunitaria, se di misura inferiore all’importo di Euro 100.000 nel triennio), con istanza 5.8.2004, la società contribuente richiese che il credito d’imposta fosse riconosciuto in rapporto al numero dei lavoratori effettivamente assunti (senza il limite dell’importo di Euro 100.000,00) e propose, quindi, ricorso giurisdizionale avverso il diniego conseguentemente opposto dal Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate.

L’adita commissione tributaria accolse il ricorso della società contribuente, riconoscendo il beneficio senza limitazione alcuna, e la decisione, in esito all’appello dell’Agenzia, fu confermata dalla commissione regionale.

I giudici di appello rilevarono, in particolare, che – dal momento che, come riconosciuto dalla stessa Agenzia in udienza, il beneficio in oggetto non configura “aiuto di Stato” – il legislatore, pur potendo del tutto legittimamente porre dei limiti all’incentivo, non avrebbe potuto farlo attraverso il richiamo della regola comunitaria c.d. de minimis, in quanto questa, per la sua applicazione, presupporrebbe necessariamente che il beneficio concesso presenti il carattere dell'”aiuto di Stato”.

Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione in cinque motivi.

La società contribuente ha resistito con controricorso ed illustrato le proprie ragioni anche con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denunzia il difetto di giurisdizione del giudice tributario sulle controversie relative alla agevolazioni previste dalla L. n. 388 del 2000, art. 7 e L. n. 289 del 2002, art. 63, per l’assunzione di lavoratori socialmente deboli.

La doglianza – peraltro abbandonata in sede di udienza di discussione – è inammissibile alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non impugnando la relativa sentenza sotto tale profilo non è successivamente più consentito rilevare, su eccezione o d’ufficio, il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta da giudicato implicito (cfr.

Cass. 27531/08, 26019/08, 24883/08).

Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, e censura la decisione impugnata, per non aver, il giudice a quo, rilevato l’inammissibilità del ricorso avverso silenzio-rifiuto, proposto nei confronti di ufficio diverso (Agenzia delle Entrate – Ufficio di Napoli) da quello cui è riferibile il silenzio-rifiuto opposto (Centro operativo di Pescara).

La censura è infondata.

In proposito, il collegio ritiene, invero, di dover dare continuità, poichè condivisibile e non convincentemente contraddetto, all’indirizzo, già espresso da questa Corte con sentenza 23003/10, secondo cui – in tema di diniego del credito d’imposta L. n. 388 del 2000, ex art. 8, per investimenti in aree svantaggiate, opposto dal Centro operativo di Pescara (nell’ambito delle attribuzioni previste dal D.L. n. 138 del 2002, art. 10, comma 1, lett. b) – il Centro operativo ha potere di istruttoria, controllo ed eventuale riconoscimento del beneficio inerente al credito d’imposta, ma non ha alcun potere impositivo nè, conseguentemente, alcuna legittimazione nel processo, che spetta, invece, unicamente all’ente impositore, ossia all’Agenzia, ufficio del domicilio fiscale del contribuente.

Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate – deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 7 e L. n. 289 del 2002, art. 63, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, e formulando congruente quesito – censura la decisione impugnata in merito all’avvenuta disapplicazione di norma di diritto nazionale circoscrivente il beneficio del credito d’imposta per l’incremento dell’occupazione nei limiti della regola de minimis (che segna l’ambito quantitativo di legittimità comunitaria degli “aiuti di stato”), sul presupposto che il beneficio in questione non configurerebbe “aiuto di Stato”.

La doglianza, che pone una ben specifica quaestio iuris, non incorre nelle ragioni d’inammissibilità (introduzione del riesame del merito della controversia, difetto di autosufficienza) lamentate dalla società controricorrente.

Essa è, peraltro, fondata.

Invero, nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni, già disposto con la L. n. 388 del 2000, art. 7, la L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 1, ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 7, che, relativamente all'”ulteriore” credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, testualmente dispone (al comma 10 ultima parte): “All’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il limite massimo di L. 180 milioni nel triennio”.

Il quadro normativo rivela che, nel legittimo esercizio dei suoi poteri discrezionali, il legislatore nazionale ha inteso riconoscere il beneficio dell'”ulteriore” credito d’imposta in rassegna, in misura limitata e non in rapporto al numero dei lavoratori effettivamente assunti.

In tale prospettiva, nel riconoscere il beneficio in oggetto, il legislatore nazionale ha fatto proprio -in via di rinvio alla relativa fonte normativa – il criterio comunitario c.d. “de minimis”, che, nell’ambito dell’ordinamento sopranazionale, fissa, nell’importo di Euro 100.000 nel triennio, il limite quantitativo al di sotto del quale “aiuti di Stato” non incorrono nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87), par. 1 Trattato C.e..

Anche tale adottata modalità di delimitazione della agevolazione accordata (qualunque ne sia la natura) rientra nel legittimo esercizio delle scelte discrezionali del legislatore, essendo consentito legiferare con la tecnica del rinvio (recettizio o formale) a norme di altro ordinamento e non riscontrandosi violazioni della normativa comunitaria, atteso che questa se pone agli stati membri il divieto di concedere “aiuti di stato” in misura eccedente la regola “de minimis”, non impedisce loro di circoscrivere benefici fiscali entro soglie predefinite.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il terzo motivo del ricorso dell’Agenzia va accolto ed il suo accoglimento comporta l’assorbimento del quarto e del quinto motivo, con i quali l’Agenzia delle Entrate censura la decisione impugnata per aver escluso che il beneficio previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 7 e L. n. 289 del 2002, art. 63, configuri “aiuto di Stato” mai concedibili, oltre il limite stabilito dalla regola “de minimis”, senza l’osservanza degli obblighi di comunicazione prescritti in via generale dell’art. 88, par. 3, del Trattato C.e..

S’impongono, dunque, il rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso e l’accoglimento del terzo motivo, con l’assorbimento del quarto e del quinto.

La decisione impugnata va, conseguentemente, cassata, in relazione al motivo accolto e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.

Per la soccombenza, la società contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso e l’accoglie il terzo motivo, con l’assorbimento del quarto e del quinto; cassa, in relazione, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente.

Condanna la società contribuente alla rifusione delle spese di causa, liquidate, quanto al primo grado del giudizio, in complessivi Euro 5.500,00, quanto al secondo grado del giudizio, in complessivi Euro 6.300,00, e, quanto al presente giudizio di legittimità, in complessivi Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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