Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21796 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 20/10/2011), n.21796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 705/2008 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA SPA in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA P.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato COGLITORE Emanuele,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BERARDI LUIGI

FERDINANDO, con procura speciale notarile del Not. Dr. FRANCESCO

CRISTOFORI in FERRARA, rep. n. 68027 del 17/12/2007;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 118/2006 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 14/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente gli Avvocati COGLITORE e BERARDI, che hanno

chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato SPINA, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a. impugnava l’avviso di liquidazione Invim, con il quale, con riferimento all’atto di acquisto per notar Cristofori del 14.7.97, era stata liquidata una maggiore imposta Invim per mancato riconoscimento delle spese incrementative considerate dalla società nella determinazione del valore iniziale, in quanto antecedenti al 24.12.1981, data di acquisto dell’immobile. La contribuente precisava che dette spese erano state sostenute in conto prezzo, come da atto di provenienza, e che se ne era tenuto conto nella determinazione del prezzo di vendita. L’ufficio resisteva.

La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso.

Proposto appello dalla contribuente e resistendo l’ufficio, la Commissione tributaria Regionale respingeva il gravame ritenendo sia che le spese incrementative in questione erano state sostenute prima della data dell’acquisto, e quindi, a norma di legge, non se ne poteva tener conto per determinare il valore dell’immobile; sia che ai fini Iva (al quale era sottoposto il rogito di acquisto) il valore dell’immobile era stato indicato nel mero; sia che il D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, comma 7, nel disciplinare la determinazione dell’incremento di valore degli immobili già appartenenti a società incorporata alienati alla società incorporante (come nella fattispecie in esame) precisa che il valore iniziale è quello degli immobili alla data di acquisto da parte della società incorporata o quello assunto a base della precedente tassazione nei confronti di tali società. La C.T.R. rilevava inoltre, in ordine all’eccepita mancanza della notifica di un motivato avviso di accertamento, che l’avviso di liquidazione impugnato era correttamente motivato in ordine a tutti gli elementi necessari per un esercizio pieno del diritto alla difesa.

Ricorre per la cassazione della sentenza la contribuente, con ricorso fondato su cinque motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, si deve rilevare l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per non essere stato lo stesso parte del giudizio di appello, instaurato con ricorso della sola Agenzia delle Entrate (nella sua articolazione periferica) dopo il 1 gennaio 2001, con conseguente implicita estromissione dell’Ufficio periferico del Ministero (ex plurimis, Cass. S.U. n. 3116/06; Cass. 24245/04).

Non vi è materia di provvedimento in ordine alle spese non essendosi il Ministero costituito.

2. Con il primo motivo di gravame la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, commi 1 e 2 e art. 11 e pone il seguente quesito di diritto: “se, ai fini dell’imposta Invim, le spese di acquisto, di costruzione ed incrementative riferibili al periodo precedente quello considerato per la determinazione dell’incremento stesso, e di cui si è tenuto conto ai fini della compravendita in conto prezzo, rilevino ai fini della determinazione del valore “finale” dell’immobile e siano da dichiarare all’atto della presentazione della dichiarazione, da parte del venditore D.P.R. n. 643 del 1972, ex art. 6, commi 1 e 2 e art. 18″.

2.1 La doglianza è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., in quanto il quesito posto si rivela inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, e comunque è infondata.

Si legge infatti nell’impugnata sentenza, con riferimento al rogito con il quale è stato ceduto l’immobile in questione,: “In tale atto, a pag. 4, è precisato che poichè l’immobile sub a) è stato interamente ristrutturato a cura e spese della Banca di Credito Agrario, questa rinuncia a qualsiasi diritto o pretesa al riguardo, essendosi di ciò tenuto conto nella determinazione dei prezzo ma non viene fatto alcun cenno nè qualitativo nè quantitativo alle spese di ristrutturazione”.

Da tale accertamento in fatto, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, si ricava sia che il valore di dette spese incrementative non è stato esplicitamente indicato “in conto prezzo”; sia che lo stesso non è determinato nè determinabile, e quindi per ciò stesso non può costituire parte del prezzo di una compravendita, dovendo tale elemento essere certo.

Da tanto consegue da una parte l’inconferenza del quesito di diritto così come posto – con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi assimilare un tale quesito alla mancanza di quesito – in quanto la risposta, anche se positiva per l’istante, risulta comunque priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidonea a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass., Sez. un., n. 11650 del 2008), fondata su di una diversa ratio decidendi,, ovvero che le suddette spese incrementative non sono state conteggiate in conto prezzo.

2.2 Consegue altresì l’infondatezza della doglianza in quanto fondata su di una premessa contraria a quanto emerge dalla sentenza impugnata. Si rileva peraltro che secondo quanto costantemente affermato da questa Corte il travisamento (eventuale) dei fatti, da parte del giudice di appello non può costituire motivo di ricorso per Cassazione poichè, risolvendosi, nell’inesatta percezione, da parte dei giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con. quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciatale con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass., 9.1.2007, Cass. n. 21.3;

n. 420511) 2.3 Il motivo in esame è inammissibile anche nella parte in cui lamenta un vizio di motivazione. Lo stesso infatti viene meramente dedotto, ma manca l’individuazione delle ragioni per le quali lo stesso renda la motivazione inidonea a giustificare la decisione e tanto si pone in contrasto con il principio affermato da questa Corte (Cass. 16459/2004; Cass. SS.UU. n. 5802/1998) secondo il quale il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisatale il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 4891/2000; n 2446/2000).

3. Con il secondo motivo la ricorrente cesura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 e art. 1592 c.c. e pone il seguente quesito di diritto: “se, ai fini dell’imposta Invim, per la determinazione dell’incremento di valore dell’immobile, nei trasferimenti assoggettati ad IVA, i corrispettivi che devono essere assunti, quale valore finale o iniziale, devono riferirsi all’ammontare complessivo dei corrispettivi tenuto conto anche delle spese sostenute dal futuro acquirente per accessioni/migliorie entrate nella proprietà del futuro venditore, di cui si è dato atto che costituivano parte del corrispettivo in sede di compravendita”.

3.1 La doglianza è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., in quanto il quesito posto si rivela inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, e comunque è infondata.

3.2 In ordine all’inammissibilità si richiama tutto quanto già esposto con riferimento al primo motivo del ricorso.

3.3 In ordine alla infondatezza della censura si richiamano i principi già enucleati da questa Corte che ha affermato (Cass. n. 1602 del 2006; conf. n. 293 del 1999): “In tema di INVIM, ai fini della determinazione dell’imponibile il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, impone di assumere come valore iniziale il prezzo indicato dalle parti nel contratto, ed assoggettato ad IVA od imposta di registro, ove esso non sia stato contestato dall’amministrazione”.

In linea con tale principio il giudice dell’appello ha correttamente preso in considerazione il corrispettivo indicato nel rogito con il quale la Banca di Credito Agrario acquistava l’immobile in questione.

4. Con il terzo motivo la ricorrente cesura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, comma 2, art. 18, art. 20, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 1, artt. 51, 54 e 56 e pone il seguente quesito di diritto” se non sia viziata la sentenza del giudice d’appello che, ai fini dell’imposta Invim, ha ritenuto preclusivo l’accertamento in rettifica da parte dell’Ufficio delle Entrate in presenza di una definizione operata ai sensi della L. n. 516 del 1982, ad opera del precedente venditore”.

4.1 Lo stesso appare privo dei requisiti stabiliti, per la sua formulazione, dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il quesito deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto, come nel caso di specie, da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, sia estremamente generico, non faccia uno specifico riferimento alla fattispecie concreta e si limiti a riproporre la tesi sostenuta, così da essere totalmente inidoneo a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. Sez. un., n. 26020 del 2008).

5. Con il quarto motivo la ricorrente cesura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, comma 7, e pone il seguente quesito di diritto “se, ai fini dell’imposta Invim, per la determinazione dell’incremento di valore dell’immobile già appartenente alla società incorporata, alienato alla società incorporante, sia rilevante quale valore iniziale quello che l’immobile aveva alla data di acquisto da parte della società incorporata e regolarmente contabilizzato nei libri sociali, ovvero “il corrispettivo” che le parti hanno inteso indicare nel precedente atto di vendita”.

5.1 A tale quesito può rispondersi richiamando il principio già affermato da questa Corte (Cass. n. 1602 del 2006) secondo il quale:

“In tema di INVIM, ai fini della determinazione dell’imponibile il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, impone di assumere come valore iniziale il prezzo indicato dalle parti nel contratto, ed assoggettato ad IVA od imposta di registro, ove esso non sia stato contestato dall’amministrazione”.

5.2 Tale principio trova applicazione anche nelle ipotesi disciplinate dal D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, comma 7, che prevede che il valore iniziale degli immobili già appartenenti a società fuse o incorporate, alienati dalla società…incorporante “è quello degli immobili stessi alla data dell’acquisto da parte delle società… incorporate ovvero quello assunto a base della precedente tassazione nei confronti di tali società”. In tal senso si pone infatti sia la lettera di tale norma, sia la ratio della stessa che tende a fornire linee precise ed invalicabili per determinare l’incremento di valore da colpire con l’imposizione fiscale. Non è quindi possibile, anche in forza di un’interpretazione sistematica di tutto l’art. 6 D.P.R. citato, ritenere che il “valore iniziale” sia quello che è stato contabilmente riportato dalla società incorporata nei propri libri sociali.

La censura deve pertanto essere rigettata.

6. Con il quinto motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 643 del 1992, artt. 19 e 20 e pone il seguente quesito di diritto : se non sia viziata per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e/o per vizio formale di motivazione, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, comma 2, n. 4, la sentenza resa dal giudice di appello che, a fronte della dedotta illegittimità dell’avviso di liquidazione, in quanto non preceduto da previa notifica di un apposito avviso di accertamento motivato, non si è pronunciata sul punto”.

6.1 La censura è inammissibile alla luce del consolidato principio già enucleato da questa Corte (Cass. n. 12952 del 2007; n. 25825 del 2009; n. 26598 del 2009) secondo il quale “La decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione per relationem resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 o n. 5, anzichè dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile”.

6.2 La censura è inammissibile anche con riferimento al dedotto vizio di motivazione sia perchè la sentenza, anche se in maniera sintetica, esplicita il percorso logico-giuridico che regge tale punto del decisum in quanto nella stessa si legge: “l’atto di cui si tratta è correttamente motivato, con chiaro riferimento alle norme di legge vigenti, ai valori ed aliquote applicate, alle imposte determinate, per cui l’appellante è stato posto nelle condizioni di poter esercitare pienamente il proprio diritto di difesa”. Sia ancora perchè il motivo manca di quel momento di sintesi necessario, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., come interpretato da questa Corte.

7. In virtù di tutto quanto sopra esposto il ricorso proposto contro l’Agenzia delle Entrate deve pertanto essere rigettato.

8. Le spese vengono regolate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze; rigetta il ricorso proposto contro l’Agenzia delle Entrate; condanna la ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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