Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21795 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 20/10/2011), n.21795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31621-2006 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA SPA in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

DEI CARRACCI 1, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRI ALESSANDRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato OSNATO ANGELO,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI FERRARA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 117/20 05 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 19/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato OSNATO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato SPINA, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a., avendo svolto negli anni dal 1988 al 1994 funzioni di esattore per consorzi di bonifica locale, aveva proceduto alla riscossione dei contributi dagli associati applicando – sul presupposto che tali contributi non avessero natura tributaria – l’Iva sull’aggio. A seguito della riconosciuta natura tributaria degli stessi, aveva avanzato domanda di rimborso dell’Iva versata sulle somme tutte pagate dai consorzi; la stessa era stata respinta per tardività, con riferimento al termine biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

L’istituto di credito-concessionario aveva quindi impugnato detto diniego sostenendo che il dies a quo per il calcolo del biennio di cui al citato art. 21 decorreva dalla emanazione della C.M. 52/E/1999, e dalla data di versamento dell’imposta: infatti solo a seguito di tale circolare, che riconosceva la natura tributaria dei contributi versati dai Consorzi di Bonifica, si era verificato il presupposto per la restituzione dell’Iva versata.

L’ufficio resisteva.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.

Proposto appello dall’Ufficio e resistendo la Banca, la Commissione tributaria regionale accoglieva il gravame ritenendo che fosse maturata la decadenza del diritto al rimborso per decorso di oltre due anni dal versamento, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2 posto che la circolare 52/E del 26.2.1999 – con la quale era stato riconosciuto il regime di applicabilità dell’esenzione – è atto amministrativo interno, vincolante per i soli uffici, che non può spiegare alcun effetto sui rapporti giuridici ormai definitivi.

Ricorre per la cassazione della sentenza la Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a. con ricorso fondato su quattro motivi, illustrato anche da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.. Resistono il Ministero dell’economia e delle finanze unitamente all’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, si deve rilevare l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per non essere stato Io stesso parte del giudizio di appello, instaurato con ricorso della sola Agenzia delle Entrate (nella sua articolazione periferica) dopo il 1 gennaio 2001, con conseguente implicita estromissione dell’Ufficio periferico del Ministero (ex plurimis, Cass. S.U. n. 3116/06; Cass. 24245/04).

Le relative spese vengono compensate non avendo tale ricorso comportato un aggravio delle esigenze difensive della controparte.

2. Con il primo motivo di gravame la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, u.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. e) e art. 19, comma 1, lett. g) per avere l’atto di appello modificato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento dell’atto di diniego, con conseguente illegittimità ed inammissibilità dell’appello stesso e con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che aveva invece pronunciato facendo riferimento ad un “dies a quo” identificato nel momento in cui i vari Consorzi di Bonifica avevano chiesto all’esattore la restituzione dell’imposta loro erroneamente addebitata in rivalsa.

2.1 La censura è manifestamente inammissibile per carenza di autosufficienza del motivo.

La ricorrente, infatti, assume che l’Agenzia avrebbe rappresentato in primo ed in secondo grado due situazioni di fatto e di diritto – sulle quali fondare il diniego del rimborso (rectius l’avvenuta decadenza del relativo diritto) – totalmente differenti, avendo inizialmente valorizzato la presentazione alla Banca-concessionario delle domande di rimborso da parte dei Consorzi (con riferimento all’Iva agli stessi erroneamente addebitata), per poi successivamente, cioè nell’atto di appello, fare riferimento alla presentazione della dichiarazione Iva da parte del concessionario.

La ricorrente – non potendosi ricavare quanto sopra dall’impugnata sentenza – avrebbe dovuto accompagnare le proprie asserzioni con la citazione testuale dei passi degli atti processuali (atto di diniego, costituzione in primo grado dell’Agenzia, sentenza di primo grado, atto di appello) dai quali ricavare quanto dalla stessa affermato.

Tanto al fine di consentire a questo giudice di legittimità di poter svolgere la propria funzione di controllo di legalità. Il mancato ottemperamento di quanto prescritto dal principio di autosufficienza rende inammissibile tale motivo del ricorso.

3. Con il secondo motivo del ricorso la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, ultimo periodo, per non avere il giudice dell’appello individuato, quale dies a quo del termine decadenziale di cui al citato art. 21, il momento in cui veniva data alla ricorrente (assoggettata in quanto concessionario alla relativa convenzione di riscossione) una specifica istruzione con la C.M. 52/E del 1999 nella quale, modificandosi le precedenti istruzioni, si riconosceva l’esenzione da Iva delle prestazioni di riscossione dei contributi obbligatori dei Consorzi di Bonifica.

3.1 L’agenzia controricorrente ribadisce invece la tardività della domanda di rimborso rispetto al momento in cui era sorto il presupposto per la restituzione, che andava individuato nel momento della presentazione della dichiarazione Iva. Sottolineava sul punto che nessuna efficacia innovativa poteva assumere la circolare amministrativa per cui non era più possibile modificare una situazione giuridica ormai definita.

3.2 La censura è fondata.

Come già affermato da questa Corte (Cass. n.19623 del 2009), va premesso che il diritto al rimborso in materia di Iva – mancando una specifica disciplina – è regolato dal disposto generale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2 che – analogamente al previgente D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 6 – stabilisce che l’istanza in via amministrativa va presentata entro due anni dal pagamento dell’imposta ovvero – se posteriore (come pacificamente è nel caso) – dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Ora questo presupposto – nella situazione di che trattasi – non può essere retrocesso all’atto normativo di partenza che ha innovato sul punto l’ordinamento giuridico, sul rilievo che la postuma pubblicazione di un atto di prassi amministrativa – quale è l’interpretazione ministeriale – avrebbe mero valore ricognitorio ma non costitutivo di diritti ed obblighi (Cass. 813/2005 e Cass. 11020/97).

Tale assunto – astrattamente condivisibile – va dimensionato sulle singole fattispecie di rimborso in relazione alle modalità di formazione dei titoli abilitanti a far valere i relativi diritti e dei soggetti che ne sono destinatari.

Invero l’orientamento precedente dell’Amministrazione finanziaria, prima dell’emissione della richiamata circolare, aveva sempre ritenuto inapplicabile l’esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 5 sulla considerazione che i contributi – pur costituendo prestazioni patrimoniali obbligatorie – non adempissero alla funzione primaria dell’imposizione e rappresentassero semplici corrispettivi percepiti dai consorzi a fronte dei servizi resi ai proprietari di terreni.

Solo dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale che parte dalla sentenza di questa Corte 662/1412 del 1979, seguita da altre pronunzie conformi (Cass. 1501/88, 1396/93, 9493/98), veniva a consolidarsi il principio che i contributi imposti dai consorzi di bonifica rappresentavano prestazioni di natura tributaria con la conseguenza che i servizi per la loro riscossione soggiacevano al regime di esenzione Iva.

Con la ridetta circolare l’Amministrazione – a superamento degli opposti indirizzi perseguiti anche nella vigenza della L. n. 165 del 1990 – ha preso alla fine atto della natura tributaria dei contributi consortili e quindi dell’applicabilità agli aggi di riscossione del trattamento di esenzione fornendo una interpretazione inequivoca e definitiva di non debenza mai prima esplicitata.

La circolare 52/E del 1999 alla quale la difesa erariale nega ogni efficacia esterna – al di là del contesto di pregressa incertezza in cui si colloca ed alla sua funzione di orientare la futura azione amministrativa – assume un valore determinante ai cospetto del rapporto esattoriale che nella specie vincolava la Banca – concessionaria del servizio di riscossione – al rispetto delle disposizioni ed istruzioni impartite dall’Amministrazione finanziaria affidante di quel pubblico servizio sotto comminatoria di sanzioni pecuniarie e dunque impedita dal discostarsi autonomamente da tali direttive che prima della ridetta circolare avevano sempre ritenuto sottoponibili ad Iva gli aggi di riscossione.

4. Da quanto esposto consegue che i giudici di appello hanno errato nel rimandare a regole non calate nella particolarità della vicenda e nel non considerare che nel caso in esame il soggetto che aveva richiesto il rimborso dell’Iva rivestiva la specifica qualità di agente di riscossione e dunque di concessionario di un servizio sottoposto alla necessaria soggezione ai poteri del servizio centrale per assicurare la regolarità della gestione (D.P.R. n. 43 del 1988, art. 32); nella predetta qualità, non poteva assolutamente discostarsi dalle circolari amministrative in vigore fino a quando non fossero state cambiate. Solo da quel momento poteva quindi sorgere il presupposto del diritto alla ripetizione.

5. Il motivo in esame va pertanto accolto e l’impugnata sentenza va cassata.

6. L’accoglimento di questo motivo del ricorso assorbe il terzo – con il quale si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la C.T.R. affrontato la problematica relativa alle particolarità del rapporto P.A. – concessionario) ed il quarto motivo (con il quale si lamenta la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 per violazione da parte dell’Ufficio del principio di correttezza).

7. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente.

8. Le spese vengono regolate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le relative spese;

dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso; accoglie il secondo motivo, assorbiti il terzo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente. Condanna L’Agenzia delle entrate alle spese del giudizio che liquida in Euro 5000,00, oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge per il grado di legittimità; in Euro 2600,00 delle quali Euro 1000,00 per diritti ed Euro 1.500 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge per ciascuno dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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