Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21794 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 29/07/2021), n.21794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29779-2017 proposto da:

BANCA MEDIOLANUM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MIRABELLO, 25,

presso lo studio dell’avvocato FULVIO NERI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

O.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI 60,

presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI ZENZO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO LUPINI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

BANCA MEDIOLANUM S.P.A.;

– ricorrente principale –

controricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 3195/2017 della

CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/09/2017 R.G.N.

1544/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. DE MARINIS NICOLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

– che, con sentenza del 13 settembre 2017, la Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione resa dal Tribunale di Napoli e accoglieva la domanda proposta da O.M. nei confronti di Banca Mediolanum S.p.A., in favore della quale il primo aveva svolto attività di promotore finanziario, in virtù di una “lettera di incarico di agenzia senza esclusiva e senza rappresentanza edizione 2001” sottoscritta per accettazione dall’agente, avente ad oggetto la condanna della Banca al pagamento di un importo a titolo di “compenso portafoglio clienti” di cui all’art. 6, lett. D della lettera di incarico;

– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto dovuto il predetto compenso anche se l’agente, prima dei due anni dalla cessazione del rapporto con la Banca, aveva iniziato a svolgere la stessa attività per Banca Fideuram S.p.A.. La Corte ha considerato non incidente sulla sussistenza del diritto un assetto dei rapporti contrattuali tra l’agente e la Banca Mediolanum per il quale l’iniziale accordo che, in base all’art. 6 lett. D della lettera di incarico, subordinava l’erogazione del “compenso portafoglio clienti” al rispetto del patto di non concorrenza concluso tra le parti ai sensi dell’art. 8, lett. D e lett. E, della medesima lettera di incarico destinato a protrarsi sino a due anni dalla cessazione del rapporto con riconoscimento, in conformità alla previsione di legge, di un apposito corrispettivo, aveva continuato ad operare. Risultava, infatti, confermata la condizione sospensiva che subordinava l’erogazione del “compenso portafoglio clienti” al rispetto dell’impegno di non operare in concorrenza per ulteriori due anni successivi alla cessazione del rapporto, secondo quanto previsto nella lettera del 4.7.2002 avente ad oggetto “rinuncia al patto di non concorrenza” con la quale la Banca manifestava la propria volontà di recedere dal patto liberando gli agenti interessati e liberandosi delle obbligazioni relative. Tale operazione era, in effetti, da configurare non, come sostenuto dalla Banca quale trasformazione della situazione soggettiva gravante sul lavoratore da obbligo in onere, come vincolo cioè rimesso alla volontà del lavoratore funzionale all’acquisizione del “compenso portafoglio clienti”, ma come patto in frode all’art. 1751 c.c., intesa a sottrarre il committente all’obbligo di riconoscere un corrispettivo a fronte dell’impegno dell’agente di non operare in concorrenza, ottenendo tuttavia il medesimo effetto giuridico inficiato da nullità ai sensi dell’art. 1344 c.c., insuscettibile di estendersi al recesso della Banca dall’originario patto di non concorrenza che, quale manifestazione unilaterale di volontà della Banca, è estraneo al successivo patto aggiunto. La Corte territoriale ha poi ritenuto di dover escludere che il comportamento dell’agente possa qualificarsi in violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto potendosi, anzi, imputare tale violazione alla Banca. Ha ritenuto altresì il predetto compenso dovuto nell’importo richiesto corrispondente alla quantificazione operata dalla stessa Banca nella nota del 31.3.2008 e fatto oggetto dalla Banca all’atto della sua costituzione in giudizio solo di una generica contestazione;

– che per la cassazione di tale decisione ricorre Banca Mediolanum S.p.A., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, O.M., il quale a sua volta propone ricorso incidentale condizionato, cui resiste, con controricorso, la Banca;

– che il controricorrente ha poi depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la Banca ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 bis c.c. in relazione all’art. 1344 c.c., art. 1362 c.c., art. 112 c.p.c. e art. 115 c.p.c., lamenta l’incongruità logica e giuridica della ricostruzione operata dalla Corte territoriale della vicenda negoziale in termini di novazione delle originarie intese volta ad introdurre un patto aggiunto stipulato in frode alla legge, intese originarie delle quali, viceversa, la lettera del 4 luglio 2002 costituiva mero svolgimento, risolvendosi nello scioglimento da parte della Banca della riserva circa l’esercizio della facoltà di recesso dal patto di non concorrenza e nella conferma della condizione sospensiva cui era subordinata l’erogazione del “compenso portafoglio cliente”, conseguendone in sequenza il malgoverno dei canoni di interpretazione dei contratti, l’erronea configurazione di un patto aggiunto, tale da integrare, stante il silenzio sul punto dell’originario ricorrente, lo scostamento dal principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, l’erronea connotazione di tale patto come fraudolento per di più fondata sull’intento della Banca di perseguire un interesse economico rimasto sfornito di prova; che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., art. 115 c.p.c., in una con il vizio di carente motivazione e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale il malgoverno dei canoni di interpretazione dei contratti per aver riconosciuto il diritto al compenso a prescindere dalla ricorrenza dei requisiti specifici previsti da intese tra le parti e comunque in difetto di prova della loro ricorrenza, eccezione sulla quale la sentenza impugnata non fornisce adeguata motivazione;

– che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 c.c., nonché il vizio di motivazione sono prospettati con riferimento alla dichiarata inefficacia per nullità della clausola di cui alla lettera del 4.7.2002 intesa a ribadire la soggezione a condizione sospensiva dell’erogazione del compenso portafoglio clienti, dichiarazione da ritenersi, a detta del ricorrente, resa in difetto dei presupposti di legge e comunque erroneamente limitata alla clausola predetta in quanto tale da determinare la nullità di quello che in ipotesi il ricorrente ammette essere il patto aggiunto idoneo a ricomprendere anche il recesso dichiarato nella stessa lettera dall’originario patto di non concorrenza, destinato pertanto ad essere ripristinato tra le parti;

– che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 1988 c.c. e art. 112 c.p.c. ed ancora al vizio di motivazione, il ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver liquidato l’importo richiesto in difetto di titolo e senza alcuna prova e/o conteggio prodotto dall’agente ma sulla base di una nota proveniente dalla stessa Banca, che, escluso ogni riconoscimento di debito, non poteva costituire riferimento per il calcolo del dovuto essendo subordinato, la corresponsione di quell’importo oltre che alle condizioni di cui alla clausola 6 lett. D alla compensazione con altre eventuali posizioni debitorie dell’agente;

che, dal canto suo, il ricorrente incidentale,

condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, con l’unico motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., lamentando a carico della Corte territoriale il non aver fatto seguire alla qualificazione della clausola di cui alla lettera del 4.7.2002 come vessatoria l’applicazione del relativo regime implicante, in difetto della doppia sottoscrizione, la nullità della clausola;

– che il primo motivo del ricorso principale si rivela infondato dovendosi ritenere conforme ai canoni di interpretazione dei contratti ed in particolare rispettosa del criterio letterale, essendo nell’art. 6 lett. D dell’originario accordo la condizione sospensiva cui era subordinata l’erogazione del compenso portafoglio clienti di cui è causa così formulata “Tali compensi (tra cui il predetto) non sono comunque dovuti in caso di violazione delle obbligazioni di non concorrenza ex art. 8 o di altri inadempimenti del presente contratto…”, la lettura operata dalla Corte territoriale di quello che, al di là delle espressioni cui fa ricorso la Corte territoriale, si configura come lo svolgimento successivo di quelle intese. La Corte territoriale ha interpretato la clausola in termini tali per cui il venir meno del patto di non concorrenza, dal quale la Banca aveva espressamente comunicato con la lettera del 4.7.2002 di recedere, avrebbe dovuto far venir meno il riferimento della condizione sospensiva al patto di non concorrenza in aggiunta all’adempimento di tutti gli altri obblighi derivanti dal contratto inter partes poiché tra questi obblighi non rientrava più, in quanto declinato dalla Banca con la dichiarazione di recesso unilaterale, l’osservanza del patto di non concorrenza. Lettura, questa, rispetto alla quale ogni altra deduzione ed in particolare il riferimento ad un patto aggiunto stipulato in frode alla legge è mera conseguenza di una valutazione dell’operazione posta in essere dalla Banca come volta all’artificiosa sopravvivenza di una condizione sospensiva viceversa venuta meno, derivandone la conseguente inconferenza delle ulteriori censure prospettate con tale motivo;

che, di contro, inammissibile risulta il secondo motivo atteso che, al di là della circostanza che mai vi è stata contestazione sul dato per cui l’oggetto del contendere tra le parti era rappresentato dall’operatività o meno della condizione sospensiva, la Banca ricorrente non dà conto in alcun modo della tempestiva proposizione dell’eccezione relativa al difetto degli ulteriori requisiti cui era soggetta l’erogazione del compenso, del resto smentita dalla stessa richiesta di sottoscrizione da parte dell’agente della clausola di cui alla lettera del 4.7.2002;

che nuovamente infondato è il terzo motivo, non potendosi condividere il presupposto su cui si basa la sollevata censura, dato dal collegamento negoziale tra recesso dal patto di non concorrenza e conservazione della riferibilità all’impegno dell’agente a non operare in concorrenza per i due anni successivi alla cessazione del rapporto della condizione sospensiva cui è soggetta l’erogazione del compenso, per cui dichiarata nulla quest’ultima, doveva qualificarsi inefficace ai sensi dell’art. 1419 c.c., anche il manifestato recesso, dovendosi presupporre che la Banca non si sarebbe determinata nei termini fissati con la lettera del 4.7.2002 in difetto di quella parte del suo contenuto colpita da nullità, collegamento viceversa correttamente ritenuto insussistente dalla Corte territoriale sulla base della lettura accolta, per la quale la clausola relativa all’erogazione del compenso è manifestazione di volontà autonoma rispetto al complessivo assetto negoziale e, dunque, alle varie obbligazioni derivanti dal contratto di agenzia, alle quali la clausola fa riferimento per individuarle nel loro complesso e nella misura in cui le stesse continuino ad operare e, dunque, fino a che la manifestazione della volontà di recesso, anch’essa autonoma, non ne determini il venir meno, come condizione sospensiva dell’efficacia della clausola;

che ancora infondato è il quarto motivo, atteso che, riconosciuto dalla stessa Banca ricorrente che la decisione della Corte territoriale di confermare l’importo indicato dall’agente prescinde dalla qualificazione della nota della stessa Banca che riportava il medesimo importo in termini di riconoscimento dei debito, la censura mossa per la quale quell’importo sarebbe stato attribuito senza titolo e in difetto di prova è inconsistente, risolvendosi essa,(una volta sancita, correttamente, per quanto detto, l’irrilevanza dell’eccepita insussistenza delle condizioni cui è subordinata l’erogazione del compenso, a muovere da quella relativa al divieto di concorrenza) nell’affermazione di una pretesa efficacia impeditiva dell’erogazione del compenso della ravvisabilità meramente eventuale di somme a debito verso la Banca da parte dell’agente opponibili in compensazione, compensazione non richiesta in giudizio, comunque irrilevante ai fini della quantificazione del dovuto all’agente ed in ogni caso riferita a somme suscettibili di successivo recupero sulla base di un’azione autonoma;

che, ciò posto, il ricorso principale va rigettato con assorbimento del ricorso incidentale in quanto condizionato; che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, assorbito il ricorso incidentale, e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

 

 

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