Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21793 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 09/10/2020), n.21793

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12840/2012 R.G. proposto da:

S.M., C.F. (OMISSIS), res. in Milano, rapp.ta e difesa,

giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Cecilia Estrangeros

del Foro di Pavia ed Angelo Vaccaro del For di Milano, elett. dom.ta

in Roma, Via Crescenzio n. 25, presso lo studio dell’avv. Antonio

Ieradi;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 29/26/129, depositata il 22 marzo 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre

dal Consigliere Dott. Nocella Luigi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con separati ricorsi Marianna S., esercente attività di servizi di pulizia presso condomini, società e studi professionali, impugnava innanzi alla CTP di Milano, gli avvisi di accertamento NN. (OMISSIS) per gli anni d’imposta dal 2002 al 2005, nonchè quelli integrativi NN. (OMISSIS) per gli anni 2002 e 2003, notificati i primi in data 3.04.2008, gli altri in data 27.11.2008, con i quali l’Agenzia delle Entrate di Milano 2, sulla scorta di tre p.v.c. della GdF di Seveso, a loro volta fondati su segnalazioni della GdF di Seregno e Paderno Dugnano concernenti verifiche su altri contribuenti, le aveva contestato di avere portato in deduzione fatture per operazioni inesistenti emesse da diversi soggetti imparentati tra loro e procedeva al recupero di IRPEF, IVA ed IRAP ed all’applicazione di conseguenti interessi e sanzioni. In particolare la ricorrente eccepiva: che i pvc della GdF di Seveso sui quali si fondavano gli avvisi impugnati la indicavano come parte della verifica, pur non avendone ella mai avuto conoscenza e non essendole mai stata offerta la possibilità di presentare osservazioni L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7; che gli stessi si fondavano su dichiarazioni rese da altri soggetti verificati ( D.C., i suoi figli R. e S. ed i rispettivi coniugi, A.G. e B.M.) riscontrati evasori totali e denunciati per reati tributari, finalizzate a sminuire le loro gravi responsabilità; che la contabilità tenuta da essa S. era del tutto regolare, fatta eccezione per la mancata istituzione del libro giornale, da addebitarsi allo studio di consulenza che teneva la contabilità; che le prestazioni ricevute dal D. e dai suoi familiari erano vere ed erano state sempre totalmente retribuite; di essere stata denunciata ed indagata per violazione della normativa sull’interposizione nei rapporti di lavoro, ma senza alcuna contestazione di violazione dell’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.

La CTP di Milano, nel contraddittorio costituito anche con l’Agenzia delle Entrate, con sentenza N. 146/19/2009, accoglieva nel merito i ricorsi riuniti, ritenendo che l’Agenzia avesse erroneamente attribuito affidabile fondamento alle dichiarazioni dei componenti della famiglia D. e sminuito le giustificazioni della S., risultate coerenti con le sostanzialmente regolari sue scritture contabili, ed essendo risultata la contribuente immune da indagini penali per violazioni tributarie in ordine ai fatti contestati.

Su appello dell’Agenzia accertatrice, la CTR, con la sentenza oggi impugnata, ha riformato la pronuncia della CTP confermando l’avviso impugnato: dopo aver ricostruito le argomentazioni delle parti in fatto ed in diritto, i Giudici d’appello hanno preliminarmente ribadito il principio per il quale, pur in assenza di indagini o pronunce penali, il Giudice tributario ha l’obbligo di procedere ad un’autonoma valutazione dei fatti prospettati secondo le regole proprie del giudizio tributario; nel merito, rileva che alla critica di totale falsità delle accuse del D. e familiari la S. non ha opposto denuncia per diffamazione o calunnia; che le fatture e i documenti contabili relativi ai pretesi appalti stipulati tra la contribuente e le imprese D. e B. sarebbero del tutto generici, non essendovi menzionata neppure la natura dei servizi oggetto del contratto e le modalità di esecuzione, in totale spregio al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, lett. b; che in ordine ad alcune fatture emesse dalla B. la S. non è stata in grado di esibire i documenti contabili; che l’incontroversa mancata istituzione del libro giornale era da sola sufficiente a rendere totalmente inattendibile la contabilità della contribuente, e comunque non ha consentito di ricostruire le movimentazioni finanziarie verso i fornitori; che le dichiarazioni della B. erano ulteriormente inattendibili, perchè non è stata in grado di fornire un elenco dei fornitori di mano d’opera nè prova dell’avvenuta prestazione dei servizi fatturati nei confronti della S.; i pagamenti da parte di quest’ultima al D. ed ai suoi familiari, del resto, risultano eseguiti con mezzi tracciabili soltanto per l’IVA, ma non anche i relativi imponibili, nonostante ammontanti spesso ad importi di rilievo assoluto; alla luce di tali elementi le dichiarazioni accusatorie dei falsi prestatori di servizi completavano il quadri indiziario di un sistema utilizzato dalla contribuente per abbattere gli utili reali mediante la deduzione di costi inesistenti.

La Società contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’Agenzia intimata si è costituita notificando regolare controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Nella camera di consiglio del 12 dicembre 2019 la Corte, udita la relazione del Cons. Nocella, ha deciso la causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la S. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, perchè tutti gli avvisi di accertamento si fondano su pvc redatti nei confronti della S., nei quali sono riportati “parte del contenuto di atti redatti nei confronti di altre persone, in evidente conflitto di interessi, nonchè libere induzioni e deduzioni dei verbalizzanti”, dei quali la contribuente non aveva mai avuto conoscenza pur essendovi indicata come parte, che l’Agenzia avrebbe dovuto preliminarmente notificarle per consentirle l’esercizio delle facoltà indicate nella norma oggetto di violazione; laddove l’automatica ed acritica recezione del loro contenuto concretizzerebbe la prospettata violazione.

Il motivo è infondato.

Come esposto nella sentenza impugnata, puntualmente indicato nell’esposizione dei fatti e del motivo di ricorso, ed ulteriormente documentato nelle memorie depositate dalla ricorrente ex art. 378 c.p.c., tre dei quattro p.v.c. della GdF di Seveso nei confronti della S. (fotoriprodotti parzialmente in tali memorie) sono stati redatti negli stessi uffici della Tenenza GdF di Seveso, senza alcun preliminare accesso presso i locali aziendali della contribuente, così come quelli redatti nei confronti di terzi il cui contenuto vi era parzialmente riportato, mentre del quarto non sono indicati gli elementi probatori acquisiti ed utilizzati dall’Agenzia a sostegno degli avvisi impugnati.

La questione prospettata deve quindi essere esaminata alla luce dei principi enunciati nella nota pronuncia di Cass. SU 9.12.2015 n. 24823 (alla quale hanno fatto seguito la più recente Cass. sez.VI-V ord. 11.05.2018 n. 11560, nonchè, in termini parzialmente diversi ma nella medesima ottica di principio, Cass. sez.VI-V ord. 23.05.2018 n. 12832 e Cass. sez.VI-V ord. 8.01.2019 n. 218; in tema di tributi armonizzati Cass. sez.VI-V ord. 7.07.2018 n. 20036; in tema di tributi non armonizzati Cass. sez.VI-V ord. 29.10.2018 n. 27420); principi riassunti nei seguenti due enunciati:” a) il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’amministrazione fiscale in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’illegittimità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali tale obbligo risulti specificamente sancito”; b) “in tema di tributi armonizzati la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva all’obbligo di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di tutela dell’interesse sostanziale…”.

Deve quindi concludersi per la non spettanza, ai fini degli accertamenti in tema di imposte dirette (IRPEF ed IRAP), della tutela invocata in ragione del principio secondo il quale l’invocato art. 12 comma 7 accorda la garanzia del termine dilatorio, e sancisce la nullità per l’eventuale violazione, soltanto nelle ipotesi, individuate nel comma 1, di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali ” (cfr. Cass. sez.VI-V ord. 14.03.2018 n. 6219; Cass. sez.VI-V 19.10.2017 n. 24636; Cass. sez.VI-V ord. 2.07.2014 n. 15010, oltre la fondamentale Cass. SU 9.12.2015 n. 24823), come fatto chiaro dal coordinamento logico tra i due enunciati e dalla circostanza che solo con le indicate attività si realizza quell’intromissione nella sfera privata del contribuente che giustifica l’esigenza di potenziare ed anticipare, in controbilanciamento, le facoltà difensive di questi.

Quanto all’IVA (tributo armonizzato a livello UE) manca nel ricorso, ed è sempre stata omessa nell’originaria impugnazione e nelle successive difese dell’odierna ricorrente, ogni allegazione idonea a rappresentare l’enunciazione in concreto di ragioni che avrebbe potuto efficacemente e non pretestuosamente far valere sì da modificare in tutto o in parte favorevolmente, secondo una valutazione probabilistica ex ante, l’esito del procedimento già dalla predetta fase amministrativa.

Con il secondo motivo di ricorso la S. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’apprezzamento da parte della CTR di diversi elementi indiziari, per ragioni di volta in volta differenti. In particolare lamenta l’esclusione dal novero degli indizi della mancanza di un procedimento penale tributario D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 2 nei confronti della S.; l’assunzione privilegiata di alcuni elementi indiziari rispetto alle allegazioni e considerazioni svolta da essa contribuente (pagg.14-15 del ricorso); l’illogicità di ritenere fonte di prova presuntiva la mancata istituzione del libro giornale in assenza di ispezione analitica o mancato contraddittorio che avrebbero consentito le acquisizioni documentali di cui la CTR lamenta l’assenza, nonchè dell’erronea postulazione dell’inesistenza di operazioni sulla base di mere dichiarazioni di dichiaranti squalificati dalla loro conclamata qualità di evasori fiscali.

Il motivo è inammissibile.

In effetti tutte le doglianze articolate afferiscono non già all’esistenza e/o alla completezza e coerenza logico-giuridica della motivazione sulle singole circostanze fattuali esaminate dalla CTR, bensì alla valenza indiziaria attribuita alle fonti di prova delle stesse, trasformandosi così la censura in una proposta di diversa valutazione delle singole fonti di prova indiziaria, inammissibile anche alla stregua della previgente formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame. Il motivo, peraltro, trascende ancor più i limiti di ammissibilità imposti dall’indicato parametro, se si considera che per un verso non sono state indicate specificamente le circostanze di fatto controverse e decisive circa le quali, alla luce della nuova formulazione della norma introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, la motivazione sarebbe carente, nè le ragioni di tale inadeguatezza (Cass. sez.I 8.09.2016 n. 17761; Cass. sez.V ord. 5.02.2011 n. 2805; Cass. sez.5 26.02.2009 n. 4589; Cass. SU 12.05.2008 n. 11652); per altro verso le singole censure contengono la pretesa ad un diverso apprezzamento delle singole fonti indiziarie nell’ambito di una visione parcellizzata dell’intero contesto indiziario (ed in un caso una censura di utilizzazione extra-legale della presunzione ricavabile dall’affermata inattendibilità complessiva delle scritture, qualificabile piuttosto come censura di violazione di legge), privo dell’illustrazione dei motivi per i quali la valutazione complessiva dello stesso sarebbe inadeguatamente o incoerentemente motivata (cfr. Cass. sez.V 4.02.2004 n. 2090; Cass. sez.L 3.07.2014 n. 15205; Cass. sez.L 27.07.2017 n. 18665). Il tutto in presenza di una motivazione analitica resa dalla CTR su ciascuno degli elementi indiziari prospettati dalle parti, e senza che nel motivo sia stata dedotta alcuna critica circa la coerenza logico-giuridica e l’adeguatezza della stessa.

L’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo comportano il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia controricorrente delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in motivazione.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna S.M. a rimborsare all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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