Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21792 del 29/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 29/07/2021), n.21792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29055-2017 proposto da:

D.G.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

GRAMSCI, 20, presso lo studio dell’avvocato PAOLO SALVATORI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIORGIO FRUS, ANDREA

BUCHICCHIO;

– ricorrente –

contro

R.B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

GUADAGNO (PRESSO LO STUDIO DEGLI AVVOCATI RENATO E CLAUDIO.

SCOGNAMIGLIO), rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO MARINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 316/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 27/07/2017 R.G.N. 93/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. GARRI FABRIZIA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento della domanda proposta da R.B.M. nei confronti di D.G.N., aveva condannato quest’ultimo a corrispondere alla ricorrente la somma di Euro 8.779,25, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a decorrere dalla maturazione dei singoli ratei al saldo, a titolo di compenso per la presenza notturna richiesta dal datore di lavoro applicando l’art. 12 del c.c.n.l. lavoro domestico.

1.1. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che la sentenza non era affetta da un vizio di ultrapetizione atteso che gli importi riconosciuti quale compenso in relazione alla presenza notturna accertata erano inferiori rispetto a quelli originariamente chiesti a titolo di assistenza notturna, voce nella quale doveva ritenersi ricompresa la mera presenza.

1.2. Ha poi accertato che la presenza dell’appellata nelle ore notturne era stata espressamente richiesta dal datore di lavoro ed era connessa all’esigenza di prestare, eventualmente, assistenza alla madre dello stesso, affetta da demenza senile, non autosufficiente, che necessitava la continuativa presenza di qualcuno in casa (la stessa R.B. o uno dei tre figli dell’assistita). La convivenza era stata concordata anche per assicurare, in caso di necessità, la presenza di una persona disponibile ad intervenire.

1.3. Ha ritenuto che tale presenza notturna costituisse una prestazione aggiuntiva all’attività lavorativa prestata nell’orario normale che non era remunerata con il vitto e l’alloggio assicurato ed ha ritenuto corretta l’utilizzazione quale parametro del compenso previsto dall’art. 12 del c.c.n.l. di categoria per le prestazioni notturne di mera attesa.

1.4. Ha escluso infine che tale prestazione aggiuntiva fosse stata remunerata con la somma erogata mensilmente, superiore al minimo contrattuale, mancandone una indicazione esplicita.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.G.N. che articola quattro motivi ai quali oppone difese la R.B. che deposita anche memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 15 del c.c.n.l. e delle relative Tabelle A ed E anche con riferimento agli artt. 1362, 1363, 1367 e 1368 c.c..

3.1. Sostiene il ricorrente che il compenso per le prestazioni di mera attesa è previsto solo per i lavoratori non conviventi e che nel caso di lavoratore convivente la retribuzione prevista dalla Tabella A del c.c.n.l. già compensa anche la passiva presenza notturna che, in base alla stessa disciplina collettiva, è obbligatoria.

3.2. Osserva che solo le prestazioni notturne discontinue di cura possono compromettere le 11 ore di riposo giornaliero spettanti alla badante, mentre le prestazioni di mera presenza non impediscono di per sé il recupero delle energie psico fisiche. Evidenzia che, ove necessario un intervento, si realizzerà l’ipotesi della prestazione discontinua di cura e che la compatibilità delle prestazioni di mera attesa della badante convivente, ex art. 12 c.c.n.l., con il riposo notturno non si porrebbe in contrasto con il D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 7, il quale prevede, appunto, le undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore.

3.3. Si tratterebbe semmai di situazione riconducibile all’istituto della reperibilità per il quale l’art. 7 ammette la frazionabilità del riposo giornaliero e tenuto conto del fatto che a norma dell’art. 17 del citato D.Lgs., la normativa collettiva può derogare in pejus la disciplina del riposo giornaliere. Conseguentemente le mansioni di mera attesa sarebbero compatibili con il riposo notturno della badante convivente che non ne viene pregiudicato.

3.4. Quanto alla natura obbligatoria della prestazione di mera attesa della badante convivente, osserva che essa è insita nella previsione della “convivenza” che presuppone anche il trascorrere la notte nell’abitazione. Diversamente verrebbe meno la distinzione stessa tra lavoratori conviventi e non conviventi. In definitivamentre le prestazioni assistenziali discontinue costituiscono un quid pluris rispetto alla prestazione ordinaria del lavoratore convivente quelle di mera presenza devono essere richieste solo per il personale non convivente.

Deduce che l’art. 15 comma 4 del c.c.n.l. distingue tra riposo pomeridiano, per il quale specifica che al lavoratore è consentito uscire, ma nulla dice per quello notturno, così implicitamente negando tale facoltà.

3.5. Sostiene che si tratterebbe di interpretazione confermata dall’art. 15, comma 9, citato che consente l’assunzione di personale per i giorni di riposo dei lavoratori titolari dell’assistenza ma non anche per il periodo notturno.

3.6. Alla ricostruzione proposta conseguirebbe che il compenso di cui alla Tabella E è riservato al solo personale assunto per mansioni di attesa mentre è il vitto e l’alloggio a compensare anche la presenza notturna in casa della badante convivente.

4. Il motivo è infondato.

4.1. Premesso che in fatto la Corte di merito ha accertato che l’impegno notturno non era solo eventuale ma era concreto e che si era verificato più volte che la lavoratrice era stata disturbata nel sonno ed aveva dovuto occuparsi della anziana signora che assisteva come badante, in ogni caso va rilevato che la presenza notturna in funzione di garanzia e di un eventuale intervento è disciplinata dall’art. 12 che applica la tabella E (per il caso di assistenza notturna si applica la tabella C secondo la categoria ed invece in caso di interventi discontinui per esigenze occasionali momentanee dell’assistito l’art. 11 tabella D). Nelle mansioni di attesa la chiamata fa parte dell’attività lavorativa richiesta. Nel contratto della badante convivente, invece, vi può rientrare solo “l’intervento inatteso, insolito, inconsueto” una tantum determinato da un’occasione improbabile e remota. Laddove invece si tratti di evenienza ripetuta tale da divenire un evento probabile, come in concreto accertato dal giudice di appello che ha verificato che l’assistita era risultata capace di azioni incontrollabili, allora l’impegno assunto deve essere retribuito.

5. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 101 c.p.c. comma 2, la mancata sollecitazione del contraddittorio, sul rilievo che la Corte avrebbe definito la controversia sulla base di argomenti mai trattati in primo grado e senza consentire il deposito di memorie, non può essere accolto. Il ricorrente trascura di riportare il contenuto della sentenza di primo grado e non consente, così, al Collegio di apprezzare se effettivamente la questione non era mai stata sottoposta al primo giudice.

6. Neppure può essere accolto il terzo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione degli artt. 2099 e 2697 c.c., con riguardo al mancato assorbimento parziale delle pretese azionate.

6.1. Correttamente la Corte di appello ha escluso che i 100,00 Euro mensili erogati in aggiunta ai minimi retributivi costituissero un superminimo che andava a compensare la prestazione notturna e che perciò avrebbe dovuto essere scomputato dalle somme riconosciute. Era infatti onere del ricorrente, che non vi aveva provveduto, offrire la prova che tale somma era imputabile alla disponibilità a rendere, in caso di necessità, la prestazione durante l’orario notturno.

7. In conclusione per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, da distrarsi in favore dell’avvocato antistatario, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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