Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21791 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 20/10/2011), n.21791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11122/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

LA FIORITA SCARL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CLAUDIO MONTEVERDI 20, presso

lo studio dell’avvocato CODACCI PISANELLI Alfredo, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BAGGI DANIELA, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 13/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il resistente l’Avvocato CODACCI PISANELLI, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con sentenza n. 57/50/05, depositata il 13.4.05, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Voghera avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società La Fiorita soc. coop. a r.l. nei confronti dell’avviso di rettifica ai fini IRPEG ed ILOR, per ricavi non dichiarati, per l’anno 1994.

1.1. L’atto impositivo conseguiva a processo verbale di contestazione nel quale la Guardia di Finanza di Milano evidenziava, in relazione a conti correnti della società contribuente, movimentazioni per cifre ingenti, considerate dai verbalizzanti attività non dichiarate.

2. La CTR – confermando la decisione di primo grado – reputava, per contro, che l’Ufficio non avesse fornito la prova circa il collegamento tra le movimentazioni bancarie riscontrate e l’attività di impresa svolta dalla cooperativa La Fiorita a r.l., e riteneva che i movimenti di assegni contestati – intercorsi tra la contribuente e l’impresa agricola F.lli Del Bo e Ferrari – non fossero altro che “finanziamenti” effettuati a tale ultima impresa, in difficoltà sul piano finanziario.

3. Per la cassazione della sentenza n. 57/50/05 hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, formulando un unico motivo, al quale l’intimata ha replicato con controricorso.

Diritto

1. In via pregiudiziale, rileva la Corte che il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dell’amministrazione ricorrente.

Ed invero, va osservato che, qualora – come nel caso di specie – al giudizio di appello abbia partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del D.Lgs. n. 300 del 1999 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, deve ritenersi verificata, ancorchè per implicito, l’estromissione del Ministero delle Finanze dal giudizio.

Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).

2. Premesso quanto precede, e passando all’esame dei motivi di ricorso proposti dall’Agenzia delle Entrate, va rilevato che, con l’unica censura mossa nei confronti dell’impugnata sentenza, l’Ufficio deduce la violazione falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

2.1. L’Agenzia delle Entrate censura, infatti, l’impugnata sentenza, laddove il giudice di appello non avrebbe correttamente applicato – a suo avviso – le norme suindicate e, del pari, avrebbe omesso di considerare, in motivazione, gli elementi presuntivi offerti in giudizio dall’amministrazione finanziaria.

2.2. Osserva, invero, la ricorrente che le indagini esperite dalla Guardia di Finanza avevano rivelato la sussistenza di prelevamenti e versamenti, sui conti correnti intestati alla società contribuente, per cifre ingentissime, solo in minima parte giustificati dalla Cooperativa La Fiorita mediante produzione di assegni emessi in suo favore dall’impresa agricola F.lli Del Bo e Ferrari, nonchè di assegni, a sua volta, emessi dalla contribuente nei confronti di detta impresa.

Orbene, l’emissione e la ricezione dei suddetti assegni, ad avviso della ricorrente, non sarebbero di per sè – in assenza di ulteriori elementi di prova da parte della società contribuente – sufficienti a dimostrare, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, che siffatti pagamenti erano avvenuti per operazioni non imponibili, consistenti in prestiti operati – mediante assegni c.d.

di comodo – ad un’impresa in difficoltà finanziarie, appartenente alla stessa realtà economica in cui opera la Coop. La Fiorita”, e seguiti dalle relative restituzioni da parte di detta impresa.

Le suindicate movimentazioni bancarie e di titoli costituirebbero, per contro, in forza della presunzione sancita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, ricavi non dichiarati, non avendo la contribuente dimostrato di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che tali operazioni non avevano rilevanza alcuna allo stesso fine, ai sensi della disposizione suindicata.

2.3. Nessun rilievo il giudice di appello avrebbe dovuto, infine, attribuire – secondo la ricorrente – alla sentenza penale n. 112/99, resa dal Tribunale di Pavia e – stando alla sentenza impugnata per cassazione – divenuta irrevocabile in data 21.12.99, con la quale Del Bo Umberto, legale rappresentante dell’impresa agricola F.lli Del Bo e Ferrari s.d.f. era stato assolto dal reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per gli anni dal 1989 al 1991.

Tale decisione sarebbe, per vero, del tutto irrilevante in questa sede, attenendo ad un soggetto diverso dalla contribuente, e vertendo su fatti diversi, relativi ad annualità di imposta (1989-1991) differenti da quella (anno 1994) in contestazione nel presente giudizio.

3. La censura si palesa pienamente fondata e va, pertanto, accolta.

3.1. Osserva, invero, la Corte che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi – fattispecie ricorrente nel caso concreto – la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, vincola l’Ufficio finanziario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che sia necessario procedere all’analisi delle singole operazioni.

E’, per vero, posta a carico del contribuente – in virtù dell’inversione dell’onere della prova, connaturale alla natura di presunzione relativa, propria di quella in esame – la dimostrazione che dei movimenti bancari, a lui imputati, il contribuente medesimo abbia tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che dette movimentazioni dei conti non abbiano rilevanza alcuna allo stesso fine, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1 (cfr. Cass. 7766/08).

Pertanto, nell’ipotesi in cui l’accertamento sia effettuato dall’amministrazione – come nel caso di specie – sulla base delle verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina la menzionata inversione dell’onere della prova, comprovare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili. Ed, a tal fine, il contribuente è chiamato a fornire una prova non generica, bensì analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate, seppure non considerata per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, sia comunque estranea a fatti imponibili.

Per converso, l’onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi desumibili dai conti predetti, alle cui risultanze – come detto – gli Uffici finanziari sono vincolati, in assenza di elementi di prova di segno contrario offerti dal contribuente (cfr., in tal senso, Cass. 4589/09, 18081/10).

3.2. Ebbene, nel caso concreto, è la stessa impugnata sentenza a dare atto che la società contribuente, a seguito di convocazione da parte dell’Ufficio, “non è stata in grado di fornire idonea giustificazione relativamente alle diverse movimentazioni finanziarie”; sicchè l’Ufficio – in forza della presunzione sancita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 – ne ha tratto il convincimento che si tratti di “attività non dichiarate”.

Per il che è, in definitiva, la medesima decisione di appello, gravata per cassazione, ad attestare la mancanza di elementi di prova, provenienti dalla cooperativa contribuente, idonei a smentire l’assunto dell’amministrazione, fondato sulla menzionata presunzione di legge. E, nondimeno, in maniera del tutto incongrua ed illogica, – talchè anche il vizio motivazionale dedotto deve ritenersi, senza dubbio, sussistente – il giudice di appello ha emesso una decisione favorevole alla contribuente, ancorchè abbia avuto cura lo stesso giudice di richiamare la disposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, che – come si è detto – prevede una presunzione a favore dell’Ufficio finanziario.

3.3. Ma vi è di più. La Cooperativa La Fiorita ha, per vero, allegato – ma solo nel corso del presente giudizio e non in sede amministrativa, a seguito di convocazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 – che i movimenti di assegni bancari intercorsi con l’impresa F.lli Del Bo e Ferrari costituivano dei prestiti effettuati a tale ditta, in crisi finanziaria, mediante assegni c.d. di comodo, ai quali non era sottesa, dunque, alcuna operazione imponibile.

Senonchè, ben al contrario, deve considerarsi che l’emissione e la ricezione di assegni, da parte del contribuente, non giustificate da documentazione commerciale, fa legittimamente presumere – secondo l’insegnamento costante di questa Corte – che il medesimo abbia effettuato operazioni non fatturate di acquisto e rivendita di beni.

Con la conseguenza che incombe sul medesimo contribuente l’onere dell’allegazione di elementi di fatto di segno opposto al contenuto della suddetta presunzione (cfr., tra le tante, Cass. 3719/98, 15134/06, 3590/09).

3.4. Ebbene, nel caso concreto, non può di certo ritenersi, ad avviso della Corte, che la Cooperativa La Fiorita abbia adempiuto il suindicato onere probatorio, sulla medesima incombente.

Nessuna dimostrazione, invero, risulta avere fornito l’intimata circa la riferibilità di ciascuna delle operazioni – per cifre elevatissime, ed attestate dalle movimentazioni bancarie e di assegni – a fatti non imponibili ai fini dell’imposta sui redditi. Ben al contrario, la stessa sentenza impugnata da atto che la contribuente si è limitata a produrre solo una parte degli assegni – non costituenti, di per sè, come detto, neppure prova sufficiente a smentire la presunzione di attività non dichiarate – emessi a favore dell’impresa Del Bo e Ferrari, senza in alcun modo fornire, pertanto, – alla stregua di elementi più significativi sul piano probatorio – la dovuta giustificazione di ogni singola operazione contabile effettuata.

4. Per quanto alla sentenza penale, emessa dal Tribunale di Pavia, dalla quale la CTR ha tratto il convincimento che fosse da ritenersi comprovata l’esistenza di prestiti fatti alla società F.lli Del Bo e Ferrari, mediante assegni c.d. di comodo, dalla Cooperativa La Fiorita, deve rilevarsi che, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., che ha implicitamente abrogato la L. n. 516 del 1982, art. 12 (poi espressamente abrogato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 25), l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel giudizio tributario. Ed invero, in tale giudizio, per un verso, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale), per altro verso, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna.

Ne discende che alla sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione, emessa nel giudizio penale in materia di reati tributari, non può annettersi alcuna autorità automatica di giudicato, sebbene i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per il quali l’amministrazione ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente.

Per il che è evidente che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice dell’Ufficio tributario, ma deve verificarne la rilevanza nella specifica fattispecie demandata alla sua cognizione, nell’esercizio dei suoi autonomi poteri di valutazione delle prove, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (cfr., ex piurimis, Cass. 3724/10, 20860/10).

4.1. Nel caso concreto, il giudice di appello ha desunto, tout court, la prova del fatto che le movimentazione bancarie accertate dalla Guardia di Finanza non derivavano da omessa fatturazione di ricavi, ma erano riferibili ad assegni di comodo emessi dalla Coop. La Fiorita a favore della società F.lli De Bo e Ferrari s.d.f., dalla mera esistenza di una sentenza definitiva di assoluzione del legale rappresentante di tale società per reati tributari. La CTR ha omesso, per contro, – nulla in tal senso potendosi desumere dalla motivazione della sentenza di appello – qualsiasi valutazione autonoma ed analitica del giudicato penale, onde inferirne se lo stesso si riferisse, o meno, agli stessi fatti oggetto del giudizio tributario ed, in particolare, ai rapporti tra la F.lli De Bo e Ferrari s.d.f. e la Coop. La Fiorita.

4.2. Tanto più che la stessa decisione impugnata da atto che si tratta di fatti relativi ad annualità di imposta (1989-1991) diversi da quello in contestazione nel presente giudizio (1994), e che il giudizio penale ha riguardato un soggetto (il legale rappresentante della F.lli De Bo e Ferrari) che non ha attinenza alcuna con la cooperativa contribuente.

4.3. Anche sotto il profilo da ultimo considerato, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate si palesa pienamente fondato e va, di conseguenza, accolto.

5. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

6. Le spese del presente giudizio e quelle dei gradi di merito vanno poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente; condanna l’intimata al rimborso delle spese del presente giudizio, a favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 50.000,00, oltre spese prenotate a debito, nonchè alle spese dei gradi di merito, che liquida in Euro 4.500,00 per diritti, ed Euro 12.000,00 per onorari, per ciascun grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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