Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21790 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. III, 29/08/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 29/08/2019), n.21790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7612/2015 proposto da:

R.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SALVATORE POLITANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1290/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 16/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/03/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.F. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1290/14, del 16 settembre 2014, della Corte di Appello di Catanzaro, che ha dichiarato inammissibile il gravame da esso proposto avverso sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 1525/07, del 14 dicembre 2007, di rigetto, per intervenuta prescrizione del diritto, della sua domanda di risarcimento dei danni da infezioni da HCV all’esito di trasfusioni di sangue infetto.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di aver convenuto in giudizio il Ministero della salute, innanzi al Tribunale catanzarese, per conseguire il ristoro dei danni suddetti, vedendo respingere la propria domanda sul presupposto dell’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Proposto gravame innanzi alla Corte della stessa città, per conseguire la riforma della pronuncia resa in prime cure, il giudice di appello – su eccezione dell’Avvocatura dello Stato – riteneva lo stesso tardivo, sull’assunto che, notificata all’attore soccombente la sentenza impugnata il 16 aprile 2008, presso la cancelleria del Tribunale, in assenza di elezione di domicilio da parte dei difensori dell’attore (esercitando costoro la professione forense “extra districtum”), da tale data sarebbe decorso, in assenza di tempestiva impugnazione, essendo stata la stessa notificata solo il 21 gennaio 2009, il termine breve ex art. 325 c.p.c..

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione il R., sulla base – come detto – di due motivi.

3.1. In particolare, il primo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e falsa applicazione del D.M. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 e dell’art. 319 c.p.c., nonchè degli artt. 170,285 e 330 c.p.c..

Quanto, in particolare, alla violazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 e dell’art. 319 c.p.c., il ricorrente si richiama a quell’affermazione giurisprudenziale secondo cui, “ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c., la notificazione della sentenza – che va fatta al procuratore costituito, ai sensi dell’art. 170 citato codice – deve essere compiuta al domicilio eletto dalla parte (e non presso la cancelleria del luogo ove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio si è svolto) tutte le volte in cui compaia, in calce alla procura ed alla contestuale elezione di domicilio, la sottoscrizione del difensore: nella scelta tra un’interpretazione letterale ed una logica delle norme funzionali alla verificazione della validità della notifica “de qua” (in particolare, il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 1), difatti, andrebbe prescelta l’ermeneusi di tipo logico, che ricostruisca la vicenda della firma del difensore in. calce agli atti suddetti come funzionale non alla sola autentica della firma, bensì a far proprio l’intero contenuto dell’atto, apparendo più rispettosa della volontà (della parte e) dello stesso difensore la scelta di attribuirgli anche il fine di far propria, con l’autentica dell’altrui firma, l’elezione di domicilio contenuta nell’atto da lui sottoscritto”.

Peraltro, sebbene il ricorrente riconosca che tale indirizzo è stato superato dalla giurisprudenza successiva, sottolinea come proprio i ripetuti interventi di questa Corte in materia evidenzino “la necessità di un riesame che tenga conto anche della peculiare specificità del caso” presente. Nel caso che occupa, infatti, “si evidenzia e lamenta il mancato rinvenimento delle copie notificate della sentenza di primo grado nella cancelleria” del Tribunale di Catanzaro, circostanza che non rileverebbe solo sul piano della responsabilità dell’ufficio in via amministrativa, ma inficerebbe il perfezionamento del procedimento notificatorio.

Quanto, invece, alla violazione degli artt. 170,285 e 330 c.p.c., la stessa si sostanzierebbe nel fatto che la Corte di Appello avrebbe “erroneamente ritenuto che sulla sentenza notificata in cancelleria vi fosse l’attestazione ed il timbro del cancelliere, mentre sull’originale di notifica”, secondo quanto risulta dal fascicolo della parte appellata, “tale sottoscrizione e timbro sono inesistenti, risultando invece solo la relata di notifica da parte dell’ufficiale giudiziario a tale S.L., indicato come soggetto impiegato alla ricezione degli atti su un timbro non recante la provenienza della cancelleria del Tribunale di Catanzaro.

3.2. Con il secondo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (e dell’art. 57 c.p.c.) l’esistenza di “motivazione insufficiente e contraddittoria”, laddove la Corte non ha ritenuto di dare corso ad un ordine di esibizione del registro cronologico delle sentenze notificate presso la cancelleria del Tribunale di Catanzaro, nonchè ad una prova testimoniale, mezzi istruttori entrambi volti a dimostrare la (già segnalata) incompletezza e irritualità del deposito della sentenza notificata ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione.

Si censura la decisione di appello laddove ha ritenuto che i mezzi richiesti non potessero “in ogni caso inficiare la portata certificativa dell’attestazione di deposito della cancelleria mediante timbratura e apposizione di sottoscrizione con indicazione della data”, salvo aggiungere, contraddittoriamente, che, in particolare, l’ordine di esibizione richiesto si sarebbe reso necessario “solo in presenza di rilevate omissioni e/o insufficienti attestazioni”, tuttavia “non allegate nello specifico e ancor meno dimostrate in concreto” dal ricorrente, senza avvedersi però la Corte catanzarese che, nel caso di specie, ciò che manca sulla sentenza prodotta dal Ministero della salute è proprio “la sottoscrizione e il timbro del cancelliere”.

L’erroneità della motivazione emergerebbe, vieppiù, alla stregua di quell’affermazione giurisprudenziale secondo cui, in caso di notificazione all’avvocato “extra districtum” il “momento in cui si perfeziona il procedimento notificatorio della sentenza è determinato dalla consegna, da parte dell’ufficiale giudiziario, di copia conforme all’originale della medesima presso la cancelleria del giudice che ha emesso la decisione: è questo il momento in cui l’avvenuta notificazione del provvedimento diviene conoscibile, sotto il profilo legale, dal soggetto destinatario della notificazione il quale – proprio per effetto della mancata elezione di domicilio nel luogo ove ha sede l’autorità giudiziaria procedente – è tenuto ad attivarsi, con diligenza, al fine di conoscere l’esistenza di eventuali procedimenti di notificazione nei suoi confronti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria adita” (è citata Cass. Sez. Lav., sent. 30 gennaio 2013, n. 2167).

4. Il Ministero della salute ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto.

5. Con ordinanza interlocutoria del 17 ottobre 2018, la trattazione del presente ricorso veniva rinviata a nuovo ruolo, in ragione della necessità di esaminarlo unitamente ad altri di analogo contenuto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va rigettato.

6.1. Il primo motivo non è fondato.

6.1.1. In relazione ad esso deve, infatti, ribadirsi che “il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorchè appartenente allo stesso distretto di quest’ultima” (Cass. Sez. Un., sent. 20 giugno 2012, n. 10143, Rv. 622883-01, in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. 19 luglio 2013, n. 17764, Rv. 62866301; Cass. Sez. 6-2, ord. 14 settembre 2017, n. 21335, Rv. 64570201; Cass. Sez. 2, ord. 28 novembre 2017, n. 28374, Rv. 646322-01), sicchè tale notificazione è idonea a far decorrere il termine breve per l’appello nei confronti del notificante (Cass. Sez. 3, sent. 19 novembre 2015, n. 23662, Rv. 638102-01).

D’altra parte, come ha osservato la controricorrente, il R. non ha dimostrato di aver adempiuto all’obbligo, ex art. 125 disp. att. c.p.c., di indicare il proprio indirizzo PEC per le notificazioni, di talchè – anche in ragione del fatto che, nel presente caso, la notificazione della sentenza di primo grado è avvenuta il 21 gennaio 2009 – non può operare quella eccezione all’applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, che, appunto per il caso di notificazioni telematiche, è individuata dal ricordato arresto delle Sezioni Unite (e dalla giurisprudenza successiva conforme ad esso).

Nè, d’altra parte, paiono idonee a giustificare il richiesto “overruling” le ragioni che il ricorrente indica come comportanti tale, asserita, necessità, ovvero la peculiarità del presente caso (in cui la notifica è avvenuta a soggetto indicato come impiegato alla ricezione degli atti, su un timbro non recante la provenienza della cancelleria del Tribunale di Catanzaro).

Valga, al riguardo, quanto in passato affermato da questa Corte con riferimento al caso in cui la parte abbia eletto domicilio presso la cancelleria del giudice adito, ma con principio che risulta estensibile anche nel caso della domiciliazione della stessa “ex lege”, ovvero che “la ricezione degli atti che devono essere alla stessa notificati, non è compito esclusivo del cancelliere, ma ben può essere effettuata anche dal segretario, trattandosi di personale addetto all’ufficio, in quanto per la notifica di tali atti presso la cancelleria, questa ultima è presa in considerazione dalla norma in funzione del luogo in cui effettuare la notificazione e non per l’attività svolta dal cancelliere come tale, dal momento che la regolarità della notificazione è provata dalla relata dell’ufficiale giudiziario e non anche dall’attività del cancelliere” (Cass. Sez. Lav., sent. 14 febbraio 1983, n. 1115, Rv. 425896-01).

6.2. Non fondato è anche il secondo motivo di ricorso.

6.2.1. Premesso, invero, che la formulazione del motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), potrebbe giustificarne l’accoglimento non già in presenza di una motivazione erronea o contraddittoria, bensì – per effetto dell’avvenuta riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato sulla parte motiva della sentenza (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 63778101) – solo al cospetto di una “irriducibile” contraddittorietà nel ragionamento del giudice (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), deve osservarsi che il motivo risulta infondato già alla stregua del principio richiamato nello scrutinare il primo motivo di ricorso.

Nè, d’altra parte, giova al ricorrente il richiamo giurisprudenziale da essa operato, giacchè è proprio la sentenza dal medesimo citata a chiarire come, in caso di notificazione del R.D. n. 37 del 1934, ex art. 82, il mancato adempimento, da parte dell’ufficiale procedente, dell’obbligo di darne immediato avviso scritto al cancelliere (il quale ne rilascia ricevuta e lo unisce all’originale della sentenza oppure lo trasmette alla cancelleria dell’autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza) risulta sanzionato, dalla disposizione contenuta dal D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 112, comma 2, “solo con la censura, salvo il caso di recidiva, per cui, all’evidenza, il legislatore ha introdotto un adempimento a carico dell’agente notificante e, contestualmente, ne ha rimarcato la rilevanza meramente disciplinare, introducendo, “ad hoc”, solo una sanzione disciplinare nei confronti del soggetto inadempiente, senza alcuna previsione esplicita di specifici riflessi di ordine processuale sull’efficacia della notificazione o qualsivoglia rinvio a norme processuali” (Cass. Sez. Lav., sent. 30 gennaio 2013, n. 2167, in motivazione).

7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

8. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando R.F. a rifondere al Ministero della Salute le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.600,00, più spese prenotate a debito, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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