Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21790 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 20/10/2011), n.21790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5536/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

LA FIORITA SCARL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CLAUDIO MONTEVERDI 20, presso

lo studio dell’avvocato CODACCI PISANELLI Alfredo, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BAGGI DANIELA, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 24/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il resistente l’Avvocato CODACCI PISANELLI, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e

in subordine accoglimento per quanto di ragione.

Fatto

1. Con sentenza n. 22/43/05, depositata il 24.2.05, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Voghera avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società La Fiorita soc. coop. a r.l. nei confronti dell’avviso di rettifica per IVA non versata, per l’anno 1994.

1.1. L’atto impositivo conseguiva a processo verbale di contestazione nel quale la Guardia di Finanza di Milano evidenziava, in relazione al conto corrente intrattenuto dalla società contribuente presso la Banca Popolare di Cremona, movimentazioni per cifre ingenti, considerate dai verbalizzanti acquisti e cessioni di beni senza emissione di fattura.

2. La CTR – confermando la decisione di primo grado – reputava, per contro, che l’Ufficio non avesse fornito la prova circa la presunta attività commerciale svolta dalla cooperativa La Fiorita a r.l., e riteneva che i movimenti di assegni contestati – intercorsi tra la contribuente e l’impresa agricola F.lli Del Bo e Ferrari – non fossero altro che “finanziamenti” effettuati a tale ultima impresa, in difficoltà sul piano finanziario.

3. Per la cassazione della sentenza n. 22/43/05 hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, formulando due motivi, ai quali l’intimata ha replicato con controricorso.

Diritto

1. In via pregiudiziale, rileva la Corte che il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dell’amministrazione ricorrente. Ed invero, va osservato che, qualora – come nel caso di specie – al giudizio di appello abbia partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del D.Lgs. n. 300 del 1999 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, deve ritenersi verificata, ancorchè per implicito, l’estromissione del Ministero delle Finanze dal giudizio.

Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).

2. Premesso quanto precede, e passando all’esame delle censure proposte dall’Agenzia delle Entrate, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 21, e 41 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6.

2.1. Si duole, invero, l’amministrazione ricorrente del fatto che la CTR abbia, del tutto erroneamente, imputato ad essa istante di non avere dimostrato l’effettivo svolgimento, da parte della Cooperativa La Fiorita a r.l., di attività commerciale che ne dimostrasse l’assoggettabilità ad Iva.

Osserva, invero, l’Agenzia delle Entrate che la predetta cooperativa, in quanto produttore agricolo, sarebbe sottoposta al regime di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34 e, pertanto, non potrebbe non considerarsi soggetta ad IVA, con la conseguenza che gli acquisti senza fattura – riscontrati nella specie dalla Guardia di Finanza avrebbero dovuto essere regolarizzati ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, derivandone, in mancanza, l’obbligo di pagare l’IVA sulle operazioni di acquisto, oltre alle sanzioni del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 6.

Di più, la cooperativa La Fiorita non avrebbe potuto neppure detrarre in via forfettizzata – in forza del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e art. 34, comma 1 – una somma pari all’IVA dovuta sulle operazioni di cessione non fatturate, atteso che le cessioni “in nero”, per le quali, cioè, non è emessa regolare fattura, non fanno sorgere diritto alcuno alla detrazione dell’IVA forfettizzata.

2.2. Il motivo di ricorso suesposto si palesa, a giudizio della Corte, pienamente fondato e va, pertanto, accolto.

2.2.1. E’, difatti, del tutto incontroverso in causa che la cooperativa La Fiorita a r.l. sia un produttore agricolo, in quanto tale, pertanto, soggetto ad IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34. Per il che nessuna dimostrazione – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello – avrebbe dovuto l’amministrazione fornire in ordine all’assoggettabilità della contribuente all’imposta in questione.

E neppure avrebbe potuto, l’odierna intimata, procedere alla detrazione speciale prevista, a favore dei produttori agricoli, dalla norma suindicata – che consente una detrazione pari all’imposta astrattamente dovuta, rendendo così “neutre” le cessioni di prodotti – atteso che il produttore agricolo perde siffatto diritto a detrarre l’IVA sulle operazioni di cessione, qualora – come è accaduto nel caso concreto – le operazioni soggette ad IVA non siano state debitamente fatturate e registrate (cfr. Cass. 11580/07).

2.2.2. Ne discende, pertanto, che la censura proposta al riguardo dall’Agenzia delle Entrate è fondata e deve essere accolta.

3. Con il secondo motivo di ricorso, l’amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

3.1. L’Agenzia delle Entrate censura, infatti, l’impugnata sentenza, laddove il giudice di appello non avrebbe correttamente applicato – a suo avviso – le norme suindicate e, del pari, avrebbe omesso di considerare, in motivazione, gli elementi presuntivi offerti in giudizio dall’amministrazione finanziaria.

Osserva, invero, la ricorrente che le indagini esperite dalla Guardia di Finanza avevano rivelato la sussistenza di prelevamenti e versamenti, sul conto corrente intrattenuto dalla società contribuente presso la Banca Popolare di Cremona, per cifre ingenti, solo in minima parte giustificati dalla contribuente mediante produzione di assegni emessi in suo favore dall’impresa agricola F.lli Del Bo e Ferrari, nonchè di assegni, a sua volta, emessi dalla contribuente medesima nei confronti di detta impresa.

Orbene, l’emissione e la ricezione dei suddetti assegni, ad avviso della ricorrente, non sarebbero di per sè – in assenza di ulteriori elementi di prova da parte della contribuente – sufficienti a dimostrare, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, che siffatti pagamenti erano avvenuti per operazioni non imponibili, consistenti in prestiti operati ad un’impresa in difficoltà, “appartenente allo stesso mondo agricolo in cui opera la Coop. La Fiorita”, e seguiti dalle relative restituzioni da parte di detta impresa.

Le suindicate movimentazioni bancarie e di titoli sarebbero, per contro, decisamente compatibili – a parere della ricorrente – con l’ipotesi di pagamenti di merci reciprocamente vendute “in nero”, non regolarizzate ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, con conseguente addebito alla contribuente – effettuato dall’amministrazione con l’avviso di rettifica impugnato nel presente giudizio – dell’IVA non versata e delle relative sanzioni.

3.2. La censura, al pari della precedente, si palesa pienamente fondata e va, pertanto, accolta.

3.2.1. Osserva, invero, la Corte che l’emissione e la ricezione di assegni, da parte del contribuente, non giustificate da documentazione commerciale, fa legittimamente presumere che il medesimo abbia effettuato operazioni non fatturate di acquisto e rivendita di beni; presunzione supportata da quella ulteriormente desumibile, in forza del disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, dai prelevamenti e versamenti riscontrati sui conti correnti bancari, che facciano presumere, con valore di prova legale, l’esistenza di operazioni imponibili per le quali non sia stata emessa regolare fattura (Cass. 26312/09).

Pertanto, a fronte dell’accertamento induttivo effettuato dall’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, utilizzando i dati risultanti dai movimenti dei conti correnti bancari, nonchè l’emissione e la ricezione di assegni, la prova che il contribuente – sul quale incombe il relativo onere – è tenuto a fornire, circa la non riferibilità di dette movimentazioni ad operazioni imponibili, deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari. In altri termini, il contribuente – a fronte dei suindicati elementi presuntivi, sui quali l’amministrazione fondi l’accertamento induttivo esperito – è gravato dell’onere di provare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili ai fini IVA (cfr., in termini, Cass. 1739/07, 4859/09, 18081/10).

3.2.2. Orbene, nel caso concreto, non può di certo ritenersi, ad avviso della Corte, che la Cooperativa La Fiorita abbia adempiuto il suindicato onere probatorio sulla medesima incombente.

Nessuna dimostrazione, invero, risulta avere fornito l’intimata circa la riferibilità di ciascuna delle operazioni compiute per cifre elevatissime, attestate dalle movimentazioni bancarie, a fatti non imponibili ai fini IVA. Ben al contrario, la stessa sentenza impugnata da atto che la contribuente si è limitata a produrre solo una parte degli assegni emessi a favore dell’impresa Del Bo e Ferrari, senza in alcun modo fornire, pertanto, la dovuta giustificazione di ogni singola operazione contabile effettuata.

E difatti, la sentenza impugnata perviene – in modo del tutto apodittico – al decisum di rigetto dell’appello proposto dall’Ufficio sulla base delle mere asserzioni -non supportate da alcun elemento di prova – della Cooperativa La Fiorita circa il fatto che tali movimenti di assegni costituirebbero dei prestiti, con relative restituzioni, effettuati a favore di un’impresa in difficoltà finanziarie “appartenente allo stesso mondo agricolo in cui opera la Coop. La Fiorita”.

Per tutte le ragioni esposte, pertanto, la censura si palesa del tutto fondata e non può che essere accolta.

4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

5. Le spese del presente giudizio e quelle dei gradi di merito vanno poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente; condanna l’intimata al rimborso delle spese del presente giudizio, a favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito, nonchè alle spese dei gradi di merito, che liquida in Euro 600,00 per diritti, ed Euro 900,00 per onorari, per ciascun grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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