Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21790 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 18/07/2017, dep. 07/09/2018), n.21790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30250-2011 proposto da:

A.V., elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE DEI

MELLINI 17, presso lo studio dell’avvocato ORESTE CANTILLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUGLIELMO CANTILLO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SALERNO, depositata il 25/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.V. propone ricorso per cassazione, con due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, nel giudizio promosso con l’impugnazione dell’avviso di accertamento parziale, notificatogli l’8 ottobre 2008, con il quale gli veniva contestata, per il periodo d’imposta 2000, l’omessa dichiarazione della quota pari al 25% del maggior reddito di partecipazione alla sas Ecam, ha confermato il fondamento della pretesa, dichiarando applicabile al detto atto impositivo il raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento – “relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione” -, raddoppio previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74”.

E ciò in relazione al “reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 – denunciato ex art. 331 c.p.p. dall’Agenzia delle entrate alla Procura della Repubblica nell’aprile 2008 -, con la condotta posta in essere dal contribuente A. con l’atto notarile del 5 luglio 2007, con il quale donava l’immobile al figlio nel Comune di (OMISSIS), mentre già nell’aprile 2007 erano in corso di notifica ai soci della RCAMI sdf, tra i quali il contribuente, avvisi di accertamento per maggior reddito di partecipazione”.

Con riguardo al “raddoppio del termine” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, introdotto con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, (come convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248), infatti, il giudice d’appello interpreta la norma di diritto intertemporale dettata dal successivo art. 37, comma 26 (“l’ampliamento dei termini trova applicazione a partire dal periodo d’imposta per il quale, alla data del 4 luglio 2006, data di entrata in vigore, i termini per l’accertamento, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, commi 1 e 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, siano ancora pendenti”) nel senso che il legislatore abbia inteso prorogare i termini di accertamento ordinario degli anni precedenti al 2006, ancora pendenti, ove fosse emersa (in tutto il periodo accertabile comprensivo nella proroga), in relazione a detti anni, una violazione configurante il reato di cui al citato D.Lgs. n. 74 del 2000. “La violazione per effetto della quale i termini di accertamento ancora pendenti alla data del 4 luglio 2006 vengono raddoppiati, risulta effettuata in data 5 luglio 2007, così che, per quanto detto, a giudizio di questo decidente, i termini ordinari di accertamento, anche non volendo tenere conto della proroga per condono, scadevano il 31 dicembre 2009, e pertanto la notifica avvenuta in data 6 ottobre 2008 è da ritenersi nei termini”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, commi 1 e 3, il contribuente censura la decisione per aver ritenuto, disattendendo i puntuali rilievi formulati già in primo grado, che il raddoppio dei termini previsto dalla norma non sia riferito al solo periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione penalmente rilevante.

Con il secondo motivo, proposto in subordine, denunciando “omessa pronuncia. Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, si duole che i giudici d’appello non avrebbero considerato che la denuncia ex art. 331 c.p.p. era stata inviata dall’Agenzia delle entrate alla Procura della Repubblica solo nel mese di aprile 2008, oltre, cioè, il decorso del termine decadenziale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, che spirava, per l’appunto, il 31 dicembre 2007.

Il primo motivo è fondato.

Questa Corte ha infatti chiarito che “in tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario” (Cass. n. 9322 del 2017); e che “la soglia di rilevanza penale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, nel testo vigente “ratione temporis”, relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, va valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine” (Cass. n. 13483 del 2016).

Il tenore dei principi affermati non lascia spazio all’equivoco nel quale sembra essere incorso il giudice d’appello, cui era stata devoluta l’individuazione del termine di decadenza dell’accertamento avente ad oggetto un maggior reddito di partecipazione per l’anno 2000, contestato al contribuente con avviso notificato l’8 ottobre 2008, laddove, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, esso avrebbe dovuto essere notificato entro il 31 dicembre 2005 (nè i termini della questione sarebbero mutati calcolando la cd. proroga biennale nei confronti di coloro che non si erano avvalsi del condono).

Quanto detto non risulta avere alcun legame con la violazione contestata, relativa a fatti del 5 luglio 2007, accertati con avviso notificato l’8 dicembre 2008, salvo la persona del contribuente, che è la stessa, come non sembra possa avere alcun rapporto il “raddoppio dei termini per l’accertamento” con la vicenda oggetto del presente giudizio.

Il primo motivo deve essere pertanto accolto, assorbito l’esame del secondo, la sentenza deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

L’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento in materia induce a dichiarare compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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