Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2179 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 27/11/2018, dep. 25/01/2019), n.2179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 21091 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

Promozioni industriali s.r.l., in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Giuseppe Cacciato per procura speciale a margine del ricorso,

elettivamente domiciliata in Roma, via del Poggio Laurentino, n. 66,

presso lo studio Trivoli & Associati;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia n. 74/02/2010, depositata il giorno 17

giugno 2010;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 novembre

2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla ricorrente due avvisi di accertamento con i quali aveva contestato, relativamente agli anni di imposta 1999 e 2002, l’indebita detrazione dell’Iva assolta per l’acquisto di un terreno ritenuto non edificabile, quindi non assoggettabile all’Iva ma all’Imposta di registro, nonchè, relativamente all’anno di imposta 2004, un atto di contestazione della sanzione per omessa autofatturazione per la prestazione professionale ricevuta da un soggetto residente in Svizzera; avverso i suddetti atti la contribuente aveva proposto separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano; il giudice di primo grado, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti avverso gli avvisi di accertamento con i quali si era proceduto al recupero dell’Iva, mentre aveva rigettato il ricorso proposto avverso l’avviso di irrogazione della sanzione per omessa auto fatturazione; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello principale la società contribuente e appello incidentale l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto sia l’appello principale che quello incidentale, in particolare ha ritenuto che: l’appello principale della contribuente, relativo all’applicazione della sanzione per omessa fatturazione, era fondato, in quanto quest’ultima costituiva mera violazione formale che non incideva sulla determinazione della base imponibile e dell’imposta e sul versamento del tributo, per cui nessun danno era derivato all’erario; relativamente all’avviso di accertamento per Iva, anno di imposta 1999, era infondata la censura di violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, non essendo prevista alcuna sanzione in caso di mancato rispetto del termine dilatorio ed avendo, comunque, l’amministrazione finanziaria motivato sulle ragioni di urgenza; l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, relativo agli avvisi di accertamento per Iva, anni di imposta 1999, 2000, 2001 e 2002, era fondato, in quanto all’area in questione non poteva attribuirsi la natura edificabile, tenuto conto che, dal Piano regolatore generale, risultava che la stessa ricadeva parte in zona “Pertinenze delle ferrovie”, parte in zona “area di servizio stazione FS”, non rilevando nè la circostanza che sull’area vi era una capacità edificatoria pari a mq. 1.382,32, essendo tale edficabilità strumentale o accessoria alle suddetta aree, nè l’aspettativa di futura edificabilità;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a quattro motivi di censura;

si è costituita la contribuente depositando controricorso contenente ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Sui motivi di ricorso principale della ricorrente.

1.1. Sul primo ed il secondo motivo di ricorso principale Con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e art. 12, comma 7, in combinato disposto con la L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21-septies ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, per avere erroneamente ritenuto, relativamente all’avviso di accertamento Iva, anno di imposta 1999, che non sussisteva violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, in quanto non era prevista alcuna sanzione in caso di mancato rispetto del termine dilatorio ed avendo, comunque, l’amministrazione finanziaria motivato sulle ragioni di urgenza;

parte ricorrente, in particolare, evidenzia, in primo luogo, che l’inosservanza del termine dilatorio non costituisce una violazione priva di rilevanza in quanto lo stesso è previsto a tutela del diritto di difesa del contribuente e, in secondo luogo, che l’ufficio finanziario aveva motivato sulle ragioni di urgenza facendo unicamente riferimento all’approssimarsi del termine di decadenza dell’azione accertatrice;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), per omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla effettiva esistenza, nel caso di specie, di motivi di urgenza per l’adozione dell’atto impositivo prima del decorso del termine dilatorio;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati;

con riferimento al profilo relativo all’inosservanza del termine dilatorio, questa Corte (Cass. Sez. U., Sentenza n. 18184 del 29/07/2013) ha chiarito che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva;

con riferimento, inoltre, al secondo profilo, relativo alla motivazione delle ragioni di urgenza, è dato riscontrare un indirizzo consolidato di questa Corte, in base al quale la “particolare” situazione legittimante la mancata osservanza del termine deve concernere elementi di fatto non soltanto cogenti ed insuperabili, ma anche estranei alla sfera di azione, organizzazione e responsabilità dell’amministrazione finanziaria che procede alla verifica, in quanto, diversamente ragionando, si verrebbe a determinare lo svuotamento sostanziale dell’obbligo di contraddittorio sancito in via generale (in correlazione con l’espletamento di verifiche ed ispezioni mediante accesso) dallo Statuto del contribuente;

in particolare, questa Corte (Cass. civ., sez. Quinta, 16 marzo 2016, n. 5149) ha chiarito che le ragioni di mancata osservanza del contraddittorio preventivo “non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa”. Non si disconosce, in effetti, che anche l’imminente scadenza del termine decadenziale possa essere talvolta “recuperata” quale ragione giustificativa della mancata osservanza del termine di 60 giorni; ma ciò, in accordo con il principio appena evidenziato, solo allorquando l’amministrazione dimostri (e motivi) che la protrazione dei tempi dell’accertamento, ed il loro giungere alla suddetta imminente scadenza, è dipesa da fattori – appunto – non imputabili, perchè indipendenti dalla sua azione e potestà; così da imporsi la notificazione ante tempus dell’avviso di accertamento allo scopo di non veder vanificato, per l’influenza di elementi esterni al controllo dell’amministrazione o addirittura ascrivibili allo stesso contribuente, l’adempimento dell’obbligo tributario (Cass. nn. 1869/2014, 3142/2014, 9424/2014);

nella fattispecie, risulta dalla sentenza che l’avviso di accertamento in esame era stato emesso prima della decorrenza del termine dilatorio;

risulta, inoltre, dal contenuto dell’avviso di accertamento riprodotto dalla ricorrente (vd. pag. 27) che la ragione di urgenza era stata motivata con riferimento alla scadenza dei termini dell’azione accertatrice per l’annualità in esame;

in considerazione delle suddette circostanze, pertanto, non solo risulta non osservato il termine dilatorio in esame, ma la giustificazione della ragione d’urgenza trova fondamento, unicamente, sulla prossima scadenza dell’azione accertatrice, senza ulteriori precisazioni o indicazioni che possano condurre a ritenere, secondo quanto sopra evidenziato, che la protrazione dei tempi dell’accertamento ed il loro giungere alla suddetta imminente scadenza, erano dipesi da fattori ad non imputabili all’amministrazione finanziaria perchè indipendenti dalla sua azione e potestà;

la sentenza in esame non si è conformata ai suddetti principi, avendo ritenuto, invece, che la decorrenza del termine dilatorio non comporta effetti sull’atto impositivo successivamente notificato e che era sufficiente, ai fini del mancato rispetto del termine, la motivazione delle ragioni d’urgenza in esso contenuta, senza, peraltro, motivare in ordine alla sussistenza di concrete ragioni che avevano condotto l’amministrazione finanziaria ad anticipare il tempo dell’adozione dell’atto impositivo;

1.2. Sul terzo motivo di ricorso principale.

Con il terzo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. c) e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito dalla L. n. 248 del 2006 per avere ritenuto che l’area oggetto del contratto di vendita in esame, in ordine al quale l’amministrazione finanziaria ha contestato l’indebita detrazione dell’Iva, doveva essere qualificata come non edificabile;

il motivo è fondato;

risulta dalla sentenza che l’area in esame ricadeva, secondo il Piano regolatore generale vigente al momento della stipula del contratto di vendita, parte in zona “Pertinenze delle ferrovie” e parte in zona “area di servizio stazione FS” e che lo stesso aveva una capacità edificatoria pari a mq. 1.382,32, ritenuta dalla pronuncia censurata limitata rispetto all’estensione complessiva e avente funzione strumentale o accessoria alla destinazione ad essa attribuita;

la questione che il motivo di censura in esame prospetta attiene ai presupposti per ritenere che un terreno non sia suscettibile di utilizzazione edificatoria, tenuto conto che, in tali casi, le cessioni di tali terreni, secondo la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. c), non sono considerate, ai fini Iva, cessione di beni;

in primo luogo, va precisato che il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, prevede, all’art. 36, comma 2, che: “Ai fini dell’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”;

la disposizione in esame, quindi, da un lato, collega la qualifica di area edificabile al semplice inserimento dell’area nel piano regolatore generale, indipendentemente dall’esistenza di piani particolareggiati o attuativi, dall’altro, delinea una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria, sicchè tale qualifica non può ritenersi esclusa dalla ricorrenza di particolari vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacchè tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali connesse alle possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria;

la conseguenza di tale considerazione è che la presenza dei suddetti vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incidono soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, della base imponibile (Cfr, ex multis, in tema di Ici, Cass. civ., n. 13063 del 2017; Cass. n. 9509 del 2008; n. 19750 del 2004, in tema di Imposta di registro n. 11371 del 2003, n. 2971 del 2003);

sotto tale profilo, è errata la sentenza in esame laddove ha ritenuto che la limitata capacità edificatoria non poteva avere alcuna rilevanza ai fini della valutazione della complessiva natura edificatoria dell’area, essendo, invece, rilevante che, secondo il Piano regolatore generale era comunque prevista, in modo generalizzato, una capacità edificatoria, tale da escludere che, nella fattispecie, il terreno avesse, ai fini fiscali, una destinazione agricola;

in secondo luogo, con riferimento alla questione della ritenuta natura strumentale o accessoria della capacità edificatoria alla destinazione pubblica dell’area, va altresì osservato che la vocazione edificatoria di un terreno non può essere riferita soltanto a quella di carattere residenziale, in quanto questa Corte ha precisato che “la nozione di edificabilità non si identifica e non si esaurisce in quella di edilizia abitativa cosicchè anche un’area classificata in forza di previsione di P.R.G. in zona F/1, come indicata dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e comprendente “le parti del territorio destinate a attrezzature e impianti di interesse generale”, può considerarsi edificabile qualora il vincolo posto dalla classificazione introduca una destinazione realizzabile non necessariamente mediante interventi (o successive espropriazioni) di carattere pubblico ma anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico – privata (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa), non essendo un tale vincolo idoneo ad escludere la vocazione edificatoria del suolo e il potenziale sfruttamento economico del diritto dominicale da parte del privato proprietario” (Cass. civ. Sez. Quinta, 25 maggio 2018, n. 13129; conf., Cass. civ., n. 10247/2010);

la pronuncia censurata non si è conformato ai suddetti principio, avendo escluso la natura edificatoria dell’area in esame, nonostante che, come detto, risultava comunque una capacità edificatoria della stessa;

1.3. Sul quarto motivo di ricorso principale.

Le considerazioni sopra espresse hanno valore assorbente sul quarto motivo di ricorso principale con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere motivato sul fatto controverso e decisivo che l’area in esame, inclusa nel Piano regolatore generale del Comune, era soggetta a Piano esecutivo e ricadeva nel documento di inquadramento che aveva previsto la formazione tramite PII del quartiere stazione;

2. Sul motivo di ricorso incidentale.

2.1. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la controricorrenrte censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 18, 19, 21 e 25 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1;

in particolare, la controricorrente lamenta che il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto che la mancata autofatturazione della prestazione ricevuta dalla contribuente da soggetto professionista non residente, poichè violazione meramente formale, non era suscettibile di sanzione in quanto non comportava danno all’erario;

il motivo è fondato;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale solo quando ricorrono due concorrenti requisiti, ovvero quello di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, quello di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. civ., sez. Quinta, 6 ottobre 2017, n. 23352; Cass. civ., sez. Quinta, 10 febbraio 2016, n. 2605);

inoltre questa Corte (Cass. civ. Sez. Quinta, 19 maggio 2017, n. 12649, conf. Cass. civ. Sez. Quinta, 05 ottobre 2018, n. 24480) ha precisato che, in caso di obbligo di autofatturazione, come nel caso di reverse charge, le relative registrazioni assolvono a una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda, con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’Iva a monte e la successiva detrazione dell’Iva a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessione successive (cfr. Cass. n. 24022/2013);

si è, infine, precisato (Cass. civ. Sez. Quinta, 16 novembre 2018, n. 29529) che il principio fondamentale della neutralità dell’Iva esige sì che “la detrazione dell’imposta a monte sia accordata, nonostante l’inadempimento di taluni obblighi formali, se sono soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali, di cui le violazioni formali non impediscano la prova certa” (v. Cass. n. 7576 del 15/04/2015; Cass. n. 3586 del 24/02/2016), ma da esso non deriva, di necessità, anche la caducazione della sanzione per omessa autofatturazione, la quale, anzi, costituisce modalità di adempimento degli obblighi in materia di Iva idonea a consentire i controlli e gli accertamenti fiscali;

nella specie, il giudice del gravame non si è conformato a tali principi, non tenendo conto che la violazione della contribuente assumeva natura sostanziale sia per il fatto di arrecare pregiudizio alle azioni di controllo, sia per il fatto di incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta sul reddito e sul versamento del relativo tributo;

3. Conclusioni.

Per quanto sopra esposto, vanno accolti i ricorso principale e quello incidentale, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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