Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21789 del 27/10/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21789 Anno 2015
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 16026-2012 proposto da:
ALLIANZ SPA 05032630963 in persona dei procuratori
Dr. RICCARDO PORFIRI e Dr.ssa NICOLETTA BAITELLI,
FENATI ANNA MARIA FNTNMR45C46H501Q, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio
dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che li rappresenta e
2015
1615

difende giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrenti contro

GRAVINA GIULIO, domiciliato ex lege in ROMA, presso

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Data pubblicazione: 27/10/2015

la

CANCELLERIA

DELLA

CORTE

DI

CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO TOMASSINI,
giusta procura speciale del Dott. Notaio ANTONIO
MATELLA in ROMA il 24/9/2012, rep. n. 38797;
– controricorrente

D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/06/2012, R.G.N.
5691/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/07/2015 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
raccoglimento del 2 ° motivo di ricorso;

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avverso la sentenza n. 3022/2012 della CORTE

Svolgimento del processo

Giulio Gravina esponeva che il 28 maggio 1991 si era
verificato un incidente stradale tra la sua moto e l’autovettura
condotta dalla proprietari a Anna Maria Fenati, assicurata con
la Ras s.p.a.

responsabilità della Fenati che aveva omesso di dargli la dovuta
precedenza. La relativa responsabilità era stata riconosciuta,
anche in sede penale, con la condanna della Fenati per i reati
di cui agli artt. 590 e 583 c.p.
Tutto ciò premesso e ritenuto che la R.A.S. gli aveva
corrisposto, prima, la somma di £ 50.000.000 e successivamente
quella di ulteriori £ 25.000.000, ma che tali somme non erano
congrue rispetto ai danni che egli aveva riportato nel sinistro,
convenne in giudizio davanti al Tribunale di Roma la R.A.S. e
Anna Maria Fenati chiedendone la condanna all’integrale
risarcimento.
Si costituirono la R.A.S. e Anna Maria Fenati che eccepirono
l’idoneità della corrisposta somma di £ 75.000.000 a risarcire i
danni patiti dall’attore e chiesero il rigetto della domanda.
In corso di causa la R.A.S. versò all’attore la somma di £
100.000.000 e fu emessa sentenza non definitiva con la quale
venne dichiarata l’esclusiva responsabilità della Fenati per la
causazione dell’incidente.

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Assumeva l’attore che l’incidente era avvenuto per esclusiva

Il Tribunale di Roma, con sentenza definitiva, liquidò
all’attualità, il risarcimento dei danni dovuto al Gravina in
complessivi C 179.032,00 e, detratte le somme già corrisposte e
rivalutate alla data della sentenza, condannò i convenuti, in
solido, al pagamento della ulteriore somma di C 74.322,00, oltre

Avverso tale decisione propose appello Giulio Gravina che ne
lamentò l’erroneità in relazione all’insufficiente liquidazione
del danno patrimoniale e di quello morale, nonché in ordine al
calcolo degli interessi.
Si costituirono la R.A.S. e la Fenati le quali, a loro
volta, lamentarono che i danni erano stati liquidati dal
Tribunale in misura eccessiva rispetto alla loro consistenza.
La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della
sentenza impugnata, ha condannato la R.A.S. e la Fenati, in
solido, al pagamento, in favore di Giulio Gravina, della somma
di C 194.988,89, oltre interessi legali dal 14 giugno 2004 al
soddisfo, confermando nel resto l’impugnata sentenza. Ha
rigettato l’appello incidentale.
Propongono ricorso per cassazione Allianz, già R.A.S. s.p.a.
e Anna Maria Fenati, con due motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso Giulio Gravina.
Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia «violazione e falsa
applicazione degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c. in

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interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza.

relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.; vizi di motivazione (art.
360, n. 5 c.p.c.).»
Sostengono le ricorrenti che il Tribunale, nel riconoscere
gli interessi per ritardato pagamento, aveva fatto corretto uso
dei principi di diritto affermati da questa Corte secondo cui il

equitativa, con l’attribuzione degli interessi, la cui misura va
determinata secondo il pregiudizio sofferto.
Ad avviso delle ricorrenti ha perciò errato la Corte
d’appello allorché ha devalutato alla data dell’incidente
l’intera somma di e 179.032,00 (comprensiva del danno da
ritardo) ed attribuito, sulla somma rivalutata anno per anno,
gli interessi legali, così pervenendo ad una vera e propria
duplicazione della voce risarcitoria relativa al danno derivante
da ritardato pagamento, con l’effetto di far conseguire al
danneggiato più di quanto avrebbe ottenuto in caso di tempestivo
adempimento dell’obbligazione.
Il motivo è infondato.
Va anzitutto ribadito il seguente principio di diritto:
«poiché il risarcimento del danno da fatto illecito
extracontrattuale costituisce un tipico debito di valore, sulla
somma che lo esprime sono dovuti interessi e rivalutazione dal
giorno in cui si è verificato l’evento dannoso. La rivalutazione
ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale di cui
il danneggiato godeva anteriormente all’evento dannoso, mentre

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danno da lucro cessante può anche essere liquidato in via

il nocumento finanziario (lucro cessante) da lui subito a causa
del ritardato conseguimento del relativo importo, che se
corrisposto tempestivamente avrebbe potuto essere investito per
lucrarne un vantaggio economico, può essere liquidato con la
tecnica degli interessi; questi ultimi, peraltro, non vanno

momento della liquidazione, ma computati sulla somma originaria
rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma rivalutata in base
ad un indice medio» (Cass. 10 marzo 2006, n. 5234).
In altri termini, il ritardato adempimento dell’obbligo di
risarcimento causa al creditore un danno ulteriore,
rappresentato dalla perduta possibilità di investire la somma
dovutagli e ricavarne un lucro finanziario. Tale danno va
liquidato dal giudice in via equitativa, anche facendo ricorso
ad un saggio di interessi (cosiddetti “interessi compensativi”)
i quali non costituiscono un frutto civile dell’obbligazione
principale, ma una mera componente dell’unico danno da fatto
illecito.
La giurisprudenza di questa Corte applica perciò il
principio di diritto secondo il quale, in tema di obbligazione
risarcitoria da fatto illecito extracontrattuale, gli interessi
compensativi dovuti per il danno da ritardo non possono essere
calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per
capitale e rivalutata sino al momento della decisione, ma devono
essere computati con riferimento ai singoli momenti riguardo ai

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calcolati né sulla somma originaria né su quella rivalutata al

quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa
nominalmente, per effetto dei prescelti indici medi di
rivalutazione monetaria, ovvero anche in base ad un indice
medio, tenuto conto che la liquidazione del danno da ritardo
rientra pur sempre nello schema liquidatorio di cui all’art.

danno stesso ex art. 1226 c.c. (Cass., 9 marzo 2010, n. 5671).
Correttamente l’impugnata sentenza si è attenuta al suddetto
principio di diritto ritenendo che, essendo stato il
risarcimento dei danni liquidato dal Tribunale con criterio
equitativo, con somme attualizzate alla data della sentenza, non
si deve procedere ad ulteriore rivalutazione per il maggior
danno da svalutazione monetaria ma, trattandosi di un debito di
valore derivante da fatto illecito, la ricostruzione del
patrimonio del danneggiato va fatta con riferimento al momento
dell’evento dannoso.
L’intera somma di e 179.032,00 determinata dal Tribunale va
quindi devalutata alla data dell’incidente e rideterminata in e
119.994,64; su tale somma rivalutata anno per anno, fino alla
data della sentenza di 1 0 grado, sono dovuti gli interessi
legali.
La Corte ha dunque condiviso la decisione del Tribunale
circa la liquidazione con criteri equitativi, discostandosi dal
primo giudice esclusivamente nel momento dal quale far partire
la decorrenza degli interessi, in considerazione dell’esigenza

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1

q\‘,

2056 c.c., in cui è ricompresa la valutazione equitativa del

di reintegrare il patrimonio del debitore di una somma pari, al
momento della liquidazione, al potere d’acquisto espresso da
quella equivalente entità del danno al momento del suo
verificarsi.
L’oscura censura del ricorrente non coglie nel segno perché

la giurisprudenza di questa Corte.
Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano «violazione e
falsa applicazione dell’art. 1194 c.c. in relazione all’art.
360, n. 3 c.p.c.»
Sostengono le ricorrenti: a) che nei debiti di valore,
allorché il responsabile abbia corrisposto delle somme
nell’intervallo di tempo intercorso tra il fatto produttivo del
danno e la liquidazione definitiva, al fine di stabilire
l’eventuale debito residuo e il suo ammontare, occorre procedere
alla comparazione fra valori omogenei; b) che la Corte di merito
avrebbe errato nell’imputare gli acconti versati prima agli
interessi maturati e poi al capitale, applicando erroneamente al
credito risarcitorio la norma di cui all’art. 1194 c.c.
Il motivo è fondato.
La disposizione dell’art. 1194 c.c., secondo la quale senza
il consenso del creditore il debitore non può imputare il
pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle
spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e

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il ragionamento del giudice di merito dà conto di aver seguito

della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per
capitale che dell’altro, accessorio, per interessi o spese.
Pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di
somme effettuati in favore del creditore prima della
liquidazione (giudiziale o negoziale ) non sono imputabili agli

previsto dall’art. 1194 c.c., che presuppone l’esistenza di un
debito pecuniario, inesistente fino alla liquidazione del danno.
Il principio è del tutto pacifico nella giurisprudenza di
questa Corte (fra le tante Cass. 21 marzo 2011, n. 6357; Cass.
3 aprile 2013 n. 8104) e della suddetta regola di diritto il
giudice di merito non ha fatto corretta applicazione, avendo
imputato prima agli interessi e poi alla sorte capitale i
versamenti effettuati dall’assicuratore prima della definizione
della controversia.
Il motivo deve essere perciò accolto con conseguente
cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’appello
di Roma in diversa composizione affinché applichi il seguente
principio di diritto: in materia di risarcimento del danno da
fatto illecito, qualora – prima della liquidazione definitiva il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento
va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri di
cui all’art. 1194 cod. civ. (applicabile solo alle obbligazioni
di valuta, non a quelle di valore, qual è il credito
risarcitorio da danno aquiliano), ma devalutando alla data

9

lu

interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio

dell’evento dannoso sia il credito risarcitorio (se liquidato in
moneta attuale) che l’acconto versato, quindi detraendo
quest’ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da
ritardato adempimento (Cass., 3 aprile 2013, n. 8104).
In conclusione, deve essere rigettato il primo motivo del

dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Roma in
diversa composizione, anche per le spese del giudizio di
cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo;
cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Roma
in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di
cassazione.
Roma, 7 luglio 2015

ricorso ed accolto il secondo, con conseguente cassazione

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