Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21788 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 09/10/2020), n.21788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Marcello – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21302-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.M., elettivamente domaci iato in ROMA, VIALE PARIOLI 43,

presse lo stuolo dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BODRITO ANDREA,

CONTRINO ANGELO;

– controricorrente –

avverso la sentenza 284/2013 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

deposita il 33/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

37/11/2019 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE;

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROPERARDINO PAOLA che ha

chiesto che ricorso sia accolto.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

Nel corso dell’anno 2004 L.M., in qualità di dipendente della società Avio s.p.a., riceveva diritti di opzione non cedibili a terzi per l’acquisto di azioni della società lussemburghese Aero Invest 1 S.A. (poi divenuta Aero Invest spa con sede in Italia), controllante di Avio spa, al prezzo di Euro 74.375, pari al valore delle azioni al momento dell’offerta. Nel corso dell’anno 2005 L.M. procedeva alla rivalutazione dei diritti di opzione ai sensi del D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 4, convertito nella L. 248 del 2005, mediante apposita perizia di stima che fissava il valore rivalutato dei diritti di opzione in Euro 115.824 con versamento della corrispondente imposta sostitutiva. In data 15.12.2006 L.M. esercitava il diritto di opzione ottenendo l’assegnazione delle azioni opzionate per il prezzo complessivo di Euro 432.284, procedendo contestualmente alla loro vendita per il medesimo prezzo. Il datore di lavoro, in qualità di sostituto di imposta, effettuava la ritenuta di imposta sull’importo di Euro 357.309, corrispondente alla differenza tra il valore delle azioni al momento della assegnazione (Euro 432.284) e l’ammontare corrisposto dal dipendente per l’esercizio del diritto di opzione (Euro 74.375), considerando tale differenziale quale reddito di lavoro dipendente, soggetto alla aliquota Irpef ordinaria, e non quale reddito di capitale soggetto alla minore aliquota del 12,5%; il sostituto di imposta si determinava in tal senso in ragione della mancanza dei requisiti richiesti dal D.P.R. 22 dicembre 198 n. 917, art. 51, comma 2-bis, nel testo vigente alla data di assegnazione delle azioni, necessari per escludere tale importo dal novero di “tutte le somme e valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro” che concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente a norma del citato art. 51 TUIR, comma 1.

In data 24.4.2008 L.M. presentava istanza di rimborso, chiedendo in via principale la restituzione di Euro 130.440, pari alla differenza tra aliquota Irpef ordinaria applicata e la inferiore aliquota del 12,5% applicabile sul “capita gain, costituito dalla differenza tra il prezzo di vendita delle azioni ed il prezzo di acquisto come risultante dalla rivalutazione; in subordine chiedeva la restituzione della somma di Euro 52.000 in quanto l’importo, anche se ritenuto tassabile con aliquota ordinaria, doveva essere calcolato considerando comunque quale valore iniziale quello risultante dalla effettuata rivalutazione ai fini fiscali del diritto di opzione.

A seguito di silenzio rifiuto della Agenzia delle Entrate il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli che, con sentenza n. 237 del 2011 rigettava la domanda principale ed accoglieva quella subordinata considerando quale valore di “acquisto” quello rivalutato in Euro 115.824.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello principale chiedendo l’integrale conferma del diniego di rimborso. L.M. si costituiva resistendo alle pretese dell’Ufficio e proponendo appello incidentale con cui chiedeva l’accoglimento integrale della propria istanza di rimborso. La Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza n. 284 del 3.7.2013 rigettava l’appello principale dell’Ufficio ed accoglieva l’appello incidentale del contribuente, considerando applicabile l’aliquota del 12,5%. Il giudice di appello riteneva l’inapplicabilità retroattiva delle modifiche alla disciplina del trattamento delle “stock options” contenute del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51 nella formulazione vigente alla data di attribuzione dei diritti di opzione, con richiamo al divieto di di applicazione retroattiva dei tributi periodici previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

L.M. resiste con controricorso. Deposita memoria

Diritto

Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso. CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo denuncia: ” Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 2, lett. g-bis, nel testo modificato dalla L. n. 286 del 2006 ed in vigore dal 3 ottobre 2006, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1, in relazione agli artt. 73 e 77 Cost. ed all’art. 10 disp. prel. c.c., comma 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, nella parte in cui la C.T.R.ha ritenuto che la nuova disciplina della tassazione delle “stock option” prevista dal D.L. n. 262, art. 3, comma 12, entrato in vigore in data 4 ottobre 2006 e poi trasfuso nella legge di conversione L. 24 novembre 2006, art. 2, comma 29, abbia efficacia a decorrere dal periodo di imposta 2007, nel rispetto del principio contenuto nella L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1.

2. Il secondo motivo denuncia;” ” Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 2, lett.g-bis, nel testo modificato dalla L. n. 286 del 2006 ed in vigore dal 3 ottobre 2006 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1, in relazione all’art. 73 e 77 Cost. ed all’art. 10 comma 1 disp. prel. c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”; osserva il ricorrente che, anche ritendo non applicabile la disciplina introdotta dal D.L. n. 286 del 2006 sarebbe applicabile l’art. 51, comma 2-bis nel testo introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 che parimenti comporta l’applicazione della aliquota ordinaria di tassazione dei redditi di lavoro dipendente.

2.1. I motivi primo e secondo, da esaminare congiuntamente, sono fondati. E’ dato pacifico che il dipendente ha esercitato il diritto di opzione acquistando le azioni in data 15.12.2006 nella vigenza del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 2-bis nel testo risultante dalle modificazioni introdotte dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 3, comma 12 (vigente dal 3 ottobre 2006), convertito nella L. n. 24 novembre 2006 n. 286, che aveva modificato i requisiti richiesti affinchè la differenza tra il valore delle azioni al momento della assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente fosse escluso dall’insieme di somme e valori che concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, (con conseguente tassazione quale plusvalenza finanziaria soggetto alla diversa aliquota del 12,5 % vigente ratione temporis). E’ ugualmente incontroverso che alla data di assegnazione delle azioni il dipendente non possedeva i requisiti richiesti dal D.L. n. 262 del 2006, art. 51, comma 2-bis nel testo introdotto vigente a decorrere dal 3 ottobre 2006. (in particolare, l’opzione era stata esercitata prima del decorso di tre anni dalla sua attribuzione; al momento in cui l’opzione era esercitabile la società non era quotata sul mercato regolamentato).

Ciò premesso, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, ai fini della applicazione del regime fiscale di tassazione delle “stock options” occorre fare riferimento alla normativa vigente al momento dell’esercizio della opzione e della conseguente effettiva assegnazione delle azioni, e non al momento della attribuzione del diritto di opzione. In tal senso si è affermato che, in tema di determinazione del reddito di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione applicabile “ratione temporis” alle cosiddette “stock options” va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio del diritto di opzione da parte del dipendente, indipendentemente dal momento in cui l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la tassazione non va identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio di tale diritto mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto dell’imposizione commisurata proprio sul prezzo delle stesse e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato. (Sez. 5 -, Sentenza n. 9465 del 12/04/2017; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 3458 del 06/02/2019Sez. 5 -, Ordinanza n. 17695 del 02/07/2019, Rv. 654704 – 01).

2.2. Non sussiste un problema di tutela del legittimo affidamento del contribuente poichè egli, nel momento in cui ha esercitato il diritto di opzione acquistando le azioni opzionate e rivendendole contestualmente, era in grado di sapere se, sulla base della normativa vigente nel momento in cui compva tale operazione, possedesse o meno i requisiti richiesti affinchè la differenza tra prezzo di acquisto delle azioni e valore delle azioni assegnate e contestualmente vendute era produttiva di un reddito di lavoro dipendente, soggetta ad aliquota Irpef ordinaria, ovvero di una plusvalenza finanziaria tassabile secondo la diversa aliquota prevista per il “capita) gain”.

2.3. E’ errata la qualifica del tributo erariale Irpef (e specificamente dell’Irpef applicabile in caso di attribuzione delle stock options) quale tributo “periodico” ai sensi e per gli effetti stabiliti dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, seconda parte, secondo cui “relativamente ai tributi periodici le modificazioni introdotte si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”. La nozione di tributo periodico à stata elaborata nell’ambito dei tributi locali, al diverso fine dell’applicazione della prescrizione breve di cinque anni prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4, ed ha riguardo a quei tributi locali (costituiti da tasse quali Tarsu e Tosap, ovvero i contributi di bonifica) “che si strutturano come prestazioni periodiche, con connotati di autonomia nell’ambito di una “causa debendi” di tipo continuativo, in quanto l’utente è tenuto al pagamento di essi in relazione al prolungarsi, sul piano temporale, della prestazione erogata dall’ente impositore o del beneficio da esso concesso, senza che sia necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame dell’esistenza dei presupposti impositivi (Sez. 5, Sentenza n. 4283 del 23/02/2010).

I tributi erariali in genere non possono ascriversi alla categoria dei tributi “periodici”, essendo a tal fine del tutto irrilevante l’obbligo di presentazione della dichiarazione con cadenza annuale. Con specifico riguardo all’Iva, ma con argomentazione estensibile a tutti i tributi erariali, questa Corte ha affermato che il credito erariale per la riscossione dell’imposta è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2948 c.c., n. 4, “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi. (Sez. 5, Sentenza n. 2941 del 09/02/2007, Rv. 596843). A maggior ragione il trattamento fiscale del reddito derivante dalla assegnazione delle stock options, a seguito dell’esercizio del diritto di opzione, non presenta alcun carattere di periodicità agli effetti della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, seconda parte, trattandosi all’opposto di eventi episodici. (In tal senso Sez. 5, Sentenza n. 9604 del 05/04/2019, in motivazione pagg.7/8).

3. Il terzo motivo denuncia:” Violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, art. 5 – a cui rinvia il D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 4, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 (ora 67), comma 1, lett.c e c bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto che, ai fini della determinazione dell’imponibile si dovesse tener conto non già del prezzo originario di acquisto indicato al momento della attribuzione del diritto di opzione, bensì del valore rivalutato della partecipazione.

Il motivo è fondato. A norma della L. n. 448 del 2001, art. 5, comma 1 la rideterminazione, mediante perizia, del valore di acquisto dei titoli non negoziati nei mercati regolamentati può essere effettuata “ai fini della determinazione delle plusvalenze o minusvalenze di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81 (ora 67), comma 1, lett. c) e c-bis), vale a dire ai fini della quantificazione dell’imposta applicabile sui “redditi diversi” costituiti da plusvalenze da cessioni finanziarie (pari alla differenza tra il corrispettivo percepito con la vendita delle azioni ed il prezzo di acquisto rivalutato (ex art. 68 TUIR, comma 6). Una volta stabilito che il differenziale positivo tra il valore delle azioni al momento della assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente per l’acquisto, costituisce reddito di lavoro dipendente in applicazione dell’art. 51) comma 2, lett. g bis) e comma 2 bis nel testo vigente al momento della effettiva assegnazione dei titoli, ne consegue l’inapplicabilità della rivalutazione del valore di acquisto, la cui efficacia è riservato alla determinazione del trattamento fiscale dei redditi diversi costituiti da plusvalenza finanziaria, peraltro insussistente nel caso in esame; infatti, considerato che il differenziale tra il valore delle azioni al momento della assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente al momento dell’acquisto è già stato tassato quale reddito di lavoro dipendente, la cessione del pacchetto azionario avvenuta contestualmente alla assegnazione presenta un differenziale nullo, ed è quindi insuscettibile di produrre ulteriore plusvalenza finanziaria tassabile

a titolo di “reddito diverso” ex art. 67 TUIR (conformi Sez. 5 n. 3458 del 06/02/2019; Sez. 5, Sentenza n. 9604 del 05/04/2019; Sez. 5 -, Sentenza n. 6118 del 01/03/2019).

In accoglimento del ricorso la sentenza deve essere cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Spese regolate come da dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito; condanna il controricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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