Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21787 del 27/10/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21787 Anno 2015
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: PELLECCHIA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 366-2013 proposto da:
CELEBRE

MAURO

CLBMRA62B25D086R,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BORGOGNONA 47, presso lo
studio dell’avvocato GIANLUCA BRANCADORO, rappresentato
e difeso dall’avvocato CARLA CELEBRE giusta procura
speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

TELECOM ITALIA SPA 00471850016, in persona del dott.
AMEDEO PARENTE, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio

1

Data pubblicazione: 27/10/2015

dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato ANTONIO ARMENTANO
giusta procura speciale a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 507/2012 della CORTE D’APPELLO

1379/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2015 dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PELLECCHIA;
udito l’Avvocato ENZO PARINI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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di CATANZARO, depositata il 04/05/2012, R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
Nel 2006, l’avvocato Celebre convenne in giudizio la Telecom Italia per
accertare l’inadempimento di detta Società ed ottenere il risarcimento
dei danni, patrimoniali e non, oltre quelli da perdita di chanche.
Espose l’attore di essere titolare di un’utenza telefonica relativa al

di inserire i dati relativi alla sua utenza nell’elenco telefonico del 2002.
Affermò anche che, negli anni 2003, 2004 e 2005, la Telecom avrebbe si
inserito i suoi dati personali omettendo però di allegare la dicitura
‘Studio Legale’ e, che tutto ciò, avrebbe prodotto una serie di danni a
suo carico.
Si difese la Telecom chiedendo il rigetto di tutte le domande perché
infondate.
Il Tribunale di Cosenza, con la sentenza numero 2391/2008, accolse
parzialmente la domanda dell’attore e accertato l’inadempimento della
Telecom, la condannò al pagamento della somma di € 3500 a titolo di
risarcimento del danno patrimoniale.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro,
con sentenza n. 507, del 4 maggio 2012. I giudici del merito hanno
ritenuto la documentazione offerta dall’avv. Celebre inidonea a
dimostrare che la riduzione dei compensi relativi all’anno 2002 fosse
collegata al mancato inserimento del suo nominativo nell’elenco degli
abbonati del 2002, atteso che, per il tipo di professione svolta
dall’appellato, occorresse tener conto del tempo intercorrente tra la data
di conferimento dell’incarico e quella di percezione dell’onorario. In
ogni caso, avrebbe dovuto produrre anche la dichiarazione dei redditi
degli anni successivi al 2002 per dimostrare l’andamento del reddito nei
periodi successivi.
3

proprio studio professionale e che la società convenuta avrebbe omesso

3. Avverso tale decisione, l’avvocato Celebre propone ricorso in
Cassazione sulla base di 2 motivi.

3.1 Resiste con controricorso la Telecom.

MOTIVI DELLA DECISIONE

112, 115,116 c.p.c. e artt. 1226, 2723 e 2727 c.c., e dei principi in ordine
al fatto notorio del processo in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.”.
Lamenta che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato la
documentazione prodotta a supporto della domanda risarcitoria, ed in
particolare le sue dichiarazioni dei redditi degli anni 2001 e 2002. Che
tale documentazione, invece, era idonea a dimostrare anche in via
presuntiva e con un elevato grado di probabilità, l’esistenza di un danno
patrimoniale risarcibile.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “omessa o insufficiente
motivazione in ordine alla mancata ammissione della prova
testimoniale, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte d’Appello non ha
ammesso la prova testimoniale perché valutata come generica.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente perché, anche se
sotto profili diversi, censurano lo stesso aspetto della sentenza e cioè
quello relativo alla mancanza di prova e sono entrambi infondati.
La Corte territoriale non è incorsa in nessuna delle violazioni
attribuitegli. Né quello della violazione di legge né quello della omessa o
contraddittoria motivazione.
Ha applicato il principio espresso da questa Corte secondo cui in sede
di liquidazione equitativa del lucro cessante ciò che necessariamente si
4

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione degli artt.

richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto
della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione
patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all’entità del
pregiudizio medesimo, in considerazione dell’impossibilità o della
grande difficoltà di dimostrarne la misura (Cass., 11 maggio 2010, n.
11353; Cass., 29 luglio 2009, n. 17677). Prova che nel caso di specie,

logica, è totalmente mancata.
E, in particolare, per quanto riguarda il primo motivo, le censure
sollevate dal ricorrente sono meramente generiche e assertive in quanto
basate su un preteso nesso automatico tra mancato inserimento negli
elenchi e calo del fatturato. Affermazione, tra l’altro, in relazione alla
quale è incongruo richiamare “le nozioni di fatto che rientrano nella
comune esperienza”.
Per quanto riguarda poi il secondo motivo, la Corte territoriale ha
ritenuto di non ammettere la prova testimoniale richiesta da
controparte perché ininfluente per la decisione e generica. E argomenta
che sarebbe stato necessario dimostrare, invece, che proprio a causa del
disservizio telefonico, potenziali clienti dell’utente si sarebbero rivolti ad
altri studi professionali. E’ di tutta evidenza l’inidoneità della prova
testimoniale richiesta.
E comunque le doglianze del ricorrente, non sono tali da scardinare
l’anzidetta complessiva delibazione della Corte territoriale, mancando di
aggredire in modo adeguato l’apprezzamento sulla sussistenza in
concreto della mancata prova del danno.
Per il resto le censure si risolvono in una non consentita richiesta di
rivalutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una
lettura favorevole agli interessati, ma diversa da quella fornita dal
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come affermato dai giudici del merito con motivazione congrua e

giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del
proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee
a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro
mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un
valore legale è assegnato alla prova stessa (tra le altre, Cass., sez. lav., 26

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente
che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui 200 per esborsi, oltre
accessori di legge e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte suprema di Cassazione in data 26 giugno 2015.

marzo 2010, n. 7394; Cass., sez. lav., 6 marzo 2008, n. 6064).

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