Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21785 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 07/07/2017, dep. 07/09/2018), n.21785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7616/2013 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE LEONARDO

DA VINCI 200, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO RESTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO COLALELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI TERNI, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 151/2012 della COMM. TRIB. REG. dell’Umbria,

depositata il 17/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.P., titolare di una impresa di produzione di infissi, propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha confermato la fondatezza della pretesa manifestata con l’avviso di accertamento con il quale venivano determinati, ai fini dell’IRPEF e dell’IVA per l’anno 2006, maggiori ricavi per Euro 67.036 per la mancata contabilizzazione di 127 tra finestre e porte.

Secondo il giudice d’appello, infatti, la ricostruzione induttiva dei ricavi cui s’era proceduto, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), era corretta e legittima in considerazione delle irregolarità riscontrate nella contabilità della controparte, quali i saldi negativi del conto cassa ed i correlativi versamenti anomali del contribuente effettuati allo scopo di coprire tali saldi, e della documentazione extra contabile rinvenuta dai verificatori presso l’azienda, come risultava dal verbale di constatazione richiamato dall’avviso di accertamento al momento dell’accesso.

Andavano perciò respinte, perchè non sufficienti nè idonee le eccezioni che contestavano il metodo per la ricostruzione induttiva dei ricavi basato principalmente su presunzioni correlate al consumo di maniglie ed altri accessori, anzichè su elementi più idonei come il consumo del vetro e del metallo-legno. In base all’attività svolta dal contribuente, infatti – di fabbricazione degli infissi -, le presunzioni dell’ufficio sul consumo delle maniglie utilizzate per la costruzione di finestre e porte ed il numero di prodotti finiti con esse realizzati, si ritenevano valide ed idonee, trattandosi di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di mera costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di trattazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso il contribuente, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), assume che nella specie non sarebbe stato legittimo il ricorso all’accertamento analitico induttivo, consentito “solo ed esclusivamente in presenza di una contabilità incompleta, inattendibile o in presenza di dichiarazioni false o inesatte da parte del contribuente, tali da evidenziare delle effettive incongruenze tra i valori dichiarati e quelli attesi in base alle caratteristiche dell’attività svolta dallo stesso”.

Il motivo è infondato, ove si consideri che secondo il consolidato orientamento di questa Corte “nell’accertamento tributario, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, anche se rinvenuta presso terzi, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e legittima di per sè, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Cass. n. 14150 del 2016); “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore (nella specie un quadernone contenente l’indicazione, in difformità dalle scritture di magazzino, degli effettivi quantitativi di materiale prodotto), rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e segg., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria” (Cass. n. 4080 del 2015); detta “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Cass. n. 24051 del 2011).

Nella specie, inoltre, le scritture non presentavano i caratteri della “completezza, esattezza e veridicità”, in considerazione delle irregolarità riscontrate, in sede di verifica, nella contabilità del contribuente, quali i saldi negativi del conto cassa ed i correlativi versamenti anomali del contribuente effettuati allo scopo di coprire tali saldi.

Col secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e difetto nonchè omissione di motivazione”, per avere la CTR fondato il proprio convincimento su una presunzione vertente su di un unico elemento indiziario – “il consumo di un accessorio nella specie maniglioni, maniglioni con comando esterno, cremonesi, maniglie e pomi” – che sarebbe contrario alle regole di comune esperienza e discordante con gli elementi desumibili dalla documentazione in atti; col terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla prova costituito dalla documentazione prodotta da esso contribuente, nonchè omessa motivazione sugli stessi fatti, vale a dire l’essere le maniglie ed i pomi utilizzati “anche per l’attività di manutenzione e riparazione e destinati autonomamente al commercio, anzichè essere impiegati esclusivamente nel processo produttivo per la realizzazione di prodotti finiti (porte e finestre), così come erroneamente ritenuto dal giudicante”.

I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente legati, sono infondati.

L’accertamento, come si è evidenziato supra, era fondato su una pluralità di indizi, del cui carattere, e quindi della cui idoneità probatoria, si è del pari appena discorso.

Quanto poi al vizio di omessa o insufficiente motivazione, questa Corte ha chiarito che esso, “deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 15355 del 2004).

Il giudice di merito ha infatti compiuto in proposito un accertamento di fatto privo di vizi logici, dando conto del criterio seguito (“andavano perciò respinte, perchè non sufficienti nè idonee le eccezioni che contestavano il metodo per la ricostruzione induttiva dei ricavi basato principalmente su presunzioni correlate al consumo di maniglie ed altri accessori, anzichè su elementi più idonei come il consumo del vetro e del metallo-legno. In base all’attività svolta dal contribuente, infatti – di fabbricazione degli infissi di cui al codice 28121, l’attività prevalente è quindi quella della fabbricazione di infissi, mentre solo marginalmente la stessa procede al montaggio e alla manutenzione degli infissi stessi, come hanno potuto appurare i verificatori dall’analisi delle fatture e più in generale dall’attività e come risulta dalla pagina 5 del citato PVC -, le presunzioni dell’ufficio sul consumo delle maniglie utilizzate per la costruzione di finestre e porte ed il numero di prodotti finiti con esse realizzati, si ritenevano valide ed idonee, trattandosi di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti”).

Nella specie, poi, trova applicazione ratione temporis alla denuncia del vizio di motivazione lo “scrutinio stretto” prescritto dall’art. 350 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione (Cass. sezioni unite, 7 aprile 2014, n. 8053).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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