Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21780 del 29/08/2019

Cassazione civile sez. III, 29/08/2019, (ud. 22/01/2019, dep. 29/08/2019), n.21780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6322-2017 proposto da:

UNICREDIT SPA, quale mandataria per la gestione del credito DOBANK

SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 8, presso lo studio

dell’avvocato IGNAZIO ABRIGNANI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALDO BONGIARDO;

– ricorrente –

contro

D.G.P., I.A.M., C.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso lo

studio dell’avvocato VINCENZO MORICONI, rappresentati e difesi

dall’avvocato CLAUDIA CASSELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1296/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 01/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/01/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 13 gennaio 2014, la Unicredit S.p.A., conveniva davanti alla Corte d’Appello di Catania, D.G.P., C.M. e I.A.M. proponendo appello avverso la sentenza del Tribunale di Catania del 28 maggio 2013 con la quale, decidendo nella causa di simulazione e revocatoria promossa dall’istituto di credito nei confronti di Ci.Sa. e i predetti appellati, in relazione ad una serie di atti di costituzione di fondi patrimoniali ritenuti pregiudizievoli per le ragioni creditorie del deducente, aveva rigettato la domanda di simulazione e accolto la revocatoria nei confronti del solo Ci.;

di tale decisione la società appellante invocava la parziale riforma, lamentando l’erroneo rigetto delle domande e insistendo per l’accoglimento di tutte quelle avanzate in primo grado, con il favore delle spese di entrambi i gradi;

gli appellati, ritualmente costituiti, eccepivano preliminarmente l’inammissibilità dell’atto di impugnazione per difetto di legittimazione processuale e la nullità della procura; contestavano, quindi, la fondatezza dell’appello e, con impugnazione incidentale, riproponevano l’eccezione di carenza di legittimazione processuale, già sollevata in primo grado e disattesa dal Tribunale, chiedendo la riforma della decisione nella parte in cui aveva accolto l’azione revocatoria nei confronti della D.G., quale erede di Ci., nelle more deceduto;

con sentenza del 18 agosto 2016 la Corte d’Appello di Catania rigettava l’appello principale e quello incidentale compensando tra le parti le spese di lite e, con ordinanza del 1 marzo 2017, disponeva la correzione della sentenza, nel senso che la compensazione delle spese riguardava i rapporti tra l’appellante principale e quello incidentale, D.G.P., ponendo le spese di lite sostenute dagli appellati, C.M. e I.A.M., a carico dell’appellante principale Unicredit S.p.A.;

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione doBank S.p.A. (quale nuova denominazione della Unicredit Credit Management Bank S.p.A, in forma italiana Unicredit Gestione Crediti società per azioni – Banca per la gestione dei crediti ovvero UGC Banca S.p.A.) affidandosi a quattro motivi. Resistono con controricorso D.G.P., C.M. e I.A., che depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 214, 215, 216,217 e 219 c.p.c. e artt. 1414,2702,2727 e 2729 c.c. In particolare, la Corte avrebbe erroneamente affermato che, a fronte del disconoscimento delle firme apparentemente riferibili alle controparti, e relative al contratto di mutuo e alle fideiussioni, l’Istituto di credito non avrebbe proposto i mezzi di prova richiesti dall’art. 216 c.p.c., al contrario, con la seconda memoria dell’art. 183 c.p.c. la banca avrebbe proposto istanza di verificazione depositando i documenti in originale e alcune lettere di variazione del fido non disconosciute. Con l’atto di appello aveva evidenziato che erroneamente il Tribunale aveva rilevato che non sarebbero state prodotte le scritture di comparazione, poichè in realtà il giudice avrebbe potuto effettuare la verificazione sulla base dei documenti di comparazione già acquisiti al processo e tali dovevano ritenersi le firme rilasciate sulla procura per la costituzione in giudizio e i saggi di comparazione che la parte avrebbe potuto redigere sotto dettatura del giudice. Inoltre, il primo giudice non aveva considerato, quali scritture di comparazione, anche le lettere di variazione del fido non disconosciute. In ottemperanza all’art. 216 c.p.c., pertanto, la banca aveva proposto i mezzi di prova ritenuti utili e, cioè, l’originale dei documenti disconosciuti e le lettere di variazione del fido non contestate. La Corte territoriale erroneamente avrebbe affermato che nell’istanza di verificazione non vi sarebbe stato il riferimento alle scritture di comparazione, solo tardivamente depositate in atti appello;

con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., artt. 1414,1415,1416,2727 e 2729 c.c..

Con riferimento all’azione di simulazione proposta nei confronti di D.G.P., quale erede di Ci.Sa. e nei confronti di C.M. la prova logica posta a sostegno della decisione riguarderebbe la mancata dimostrazione della costituzione del fondo patrimoniale. Al contrario, la ricorrente avrebbe posto a sostegno della domanda di simulazione assoluta una serie di elementi presuntivi (mancata individuazione della ragione giustificativa della costituzione dei predetti fondi patrimoniali, la distanza temporale dal matrimonio, la successiva integrazione dei fondi con atti del 2007). Non avendo i convenuti individuato le ragioni giustificative della costituzione del fondo, i giudici di merito avrebbero dovuto trarre la conclusione della prova presuntiva della simulazione del fondo patrimoniale;

con il terzo motivo deduce le medesime violazioni oggetto delle precedenti censure oltre che dell’art. 2901 c.c. con riferimento alla statuizione di rigetto dell’azione revocatoria promossa nei confronti di C.M. riguardo all’atto di integrazione del fondo patrimoniale del 14 novembre 2007;

preliminarmente deve darsi atto della eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente sotto due profili: in primo luogo, per difetto di legittimazione attiva della società ricorrente, in quanto il ricorso è proposto da una nuova società la doBank S.p.A. senza documentare l’atto di fusione societaria tra Unicredit Credit Management Bank S.p.A. (oggi doBank) e Unicredit S.p.A. Sotto tale profilo l’atto del 19 ottobre 2010 esibito riguarda la fusione per incorporazione di Banco di Sicilia in Unicredit s.p.a., mentre non è documentato il successivo passaggio tra la società incorporante Unicredit S.p.A. e doBank. Quest’ultima agisce quale mandataria per la gestione dei crediti di Unicredit, quale capogruppo del gruppo bancario doBank;

in secondo luogo, deducono l’assenza di valida procura alle liti perchè la procura speciale è stata conferita non dal legale rappresentante di doBank, ma da un quadro direttivo del quale si contestano i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale. A fronte di tale eccezione la banca non produce, in questa sede, la procura notarile del 21 ottobre 2016, che individuerebbe i poteri conferiti ai funzionari della banca;

l’eccezione è fondata poichè parte ricorrente non ha documentato, con il deposito delle procure rilasciate in data 6 giugno 2016 e 12 ottobre 2016, i relativi poteri. La procura speciale in atti è stata conferita da S.D. nella qualità di “quadro direttivo” senza allegare la titolarità del rapporto sostanziale. La procura richiamata, a rogito del notaio P. del 21 ottobre 2016, non è stata depositata ed il suo contenuto non è stato trascritto, non consentendo alla Corte di legittimità di verificare la tesi della parte ricorrente e ciò in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6:

oltre a ciò il primo motivo è irritualmente formulato per evidente sovrapposizione e commistione tra motivi, in parte incompatibili, di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5;

inoltre, per come allegato a pagina 12, l’istanza di verificazione è stata tempestivamente proposta con le memorie, ma non risulta osservato l’art. 216 c.p.c., perchè la banca si è limitata a formulare l’istanza in relazione ai documenti indicati nella comparsa di costituzione e risposta, cioè i documenti disconosciuti, aggiungendo che l’istanza è stata ribadita nei verbali di causa e in comparsa conclusionale e di replica, ma non ha allegato, dedotto ed ovviamente trascritto il dato rilevato dalla Corte territoriale e, cioè, che non ha corroborato l’istanza di verificazione con alcun mezzo di prova dell’autenticità delle sottoscrizioni. Per il resto la questione prospettata in questa sede, e cioè che il giudice avrebbe potuto decidere sulla scorta degli elementi comunque acquisiti al giudizio, è stata già esaminata dalla Corte territoriale che, con riferimento all’art. 216 c.p.c. ha evidenziato che l’iniziativa dev’essere della parte, che deve “chiedere la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire da comparazione”. Nel motivo parte ricorrente non contesta tale profilo, e cioè non dimostra di avere proposto i mezzi di prova ritenuti utili e di avere prodotto o indicato le scritture che possono servire da comparazione;

la Corte ha evidenziato che la banca si è limitata a formulare istanza di verificazione e depositare alcuni documenti non disconosciuti, ma non ha proposto questi come mezzi di prova, e non ha indicato questi o altri come scritture di comparazione. In definitiva, risulta pacificamente che parte ricorrente, con la seconda memoria prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 6 si è limitata a formulare una generica istanza di verificazione, senza proporre, nè indicare, i mezzi di prova di cui intendeva avvalersi per la comparazione. Peraltro, non è in atti, sebbene indicata in ricorso, la memoria ex art. 183 c.p.c. e ciò rileva poichè i controricorrenti contestano che unitamente a tali memorie la banca abbia depositato anche le due lettere di variazione del fido del 23 maggio 2007, come emergerebbe dall’indice in calce alla memoria;

in secondo luogo, parte ricorrente avrebbe dovuto allegare, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, di avere sottoposto al giudice di appello tale specifica questione, e, cioè, di avere esibito nei termini, sin dal primo grado, le scritture di comparazione quale elemento di prova a sostegno dell’istanza di verificazione;

infine è inammissibile la censura relativa all’omessa valutazione delle prove decisive per il giudizio, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè il vizio dedotto si riferisce all’omessa valutazione di un fatto storico e non dei mezzi di prova;

il secondo motivo è inammissibile perchè non si confronta con la motivazione della Corte territoriale, la quale ha evidenziato il difetto della prova che l’atto di disposizione non era, in realtà, voluto, e ciò perchè non rilevano i motivi che potrebbero avere indotto le parti a costituire tardivamente dei fondi patrimoniali, perchè ciò non riguarda la prova della simulazione assoluta che, invece, manca per la considerazione di ordine logico, secondo cui l’intento elusivo si realizza più efficacemente con un atto di disposizione effettiva e non con un atto totalmente simulato;

per il resto, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti, secondo prudente apprezzamento, una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime. (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01) Profili, questi, non dedotti in ricorso;

la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni. Per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per integrare la violazione, deve avere giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte, invece,di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016);

per il terzo motivo vanno ribadite le censure relative alla mescolanza e indebita sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei. Anche in questo caso la censura non si confronta con la argomentazione della Corte territoriale che ha evidenziato che C.M. non aveva disposto di propri beni, ma aveva prestato il consenso ad un atto del proprio coniuge, di conferimento nel fondo di un immobile di sua esclusiva proprietà, rispetto al quale C. avrebbe potuto, al più, essere interessato in quanto beneficiario. Quanto alle doglianze relative all’istanza di verificazione va ribadito quanto già evidenziato con riferimento al primo motivo;

con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, sarebbe errata la statuizione in ordine alla compensazione delle spese legali del giudizio di appello senza alcuna valutazione riferita al primo grado, sostanzialmente confermata. In conseguenza dell’accoglimento dell’appello dell’istituto di credito la Corte avrebbe dovuto modificare la regolamentazione delle spese legali con condanna degli appellati al pagamento delle spese;

la censura è manifestamente infondata poichè la Corte territoriale ha rigettato l’appello proposto dall’Istituto di credito, provvedendo sulle spese sulla base del principio della soccombenza;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019

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