Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2178 del 29/01/2010
Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2178
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
V.A., rappresentata e difesa dall’avv. Marra A.L., come
da mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’economia e delle finanze, domiciliato in Roma, via dei
Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che per
legge la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 6812/2007 della Corte d’appello di Napoli,
depositato il 9 ottobre 2007;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;
Udite le conclusioni del P.M. Dr. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha
chiesto il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento della somma di Euro 4.000 in favore di V.A., che aveva proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un giudizio promosso il 15 settembre 2000 e non ancora definito in primo grado dal T.A.R. Campania in data 19 gennaio 2007.
Ricorre per cassazione V.A. e deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando l’inadeguatezza dell’indennità riconosciutagli e l’ingiustificata compensazione delle spese. Resiste con controricorso il Ministero convenuto.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il giudice investito della domanda di equa riparazione del danno derivante dalla irragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve preliminarmente accertare se sia stato violato il termine di ragionevole durata, identificando puntualmente quale sia la misura della durata ragionevole del processo in questione, essendo questo un elemento imprescindibile, logicamente e giuridicamente preliminare, per il corretto accertamento dell’esistenza del danno e per l’eventuale liquidazione dell’indennizzo” (Cass., sez. 1, 9 settembre 2005, n. 17999, m. 584619).
Nel caso in esame i giudici del merito hanno determinato in tre anni la durata ragionevole della procedura e, quindi, in quattro anni l’eccedenza irragionevole della sua durata. E questa valutazione non è censurabile nè risulta in realtà censurata. Corretta è anche la determinazione dell’indennizzo in Euro 4.000, dal momento che la giurisprudenza ha “individuato nell’importo compreso tra Euro 1.030,00 ed Euro 1.500,00 la base di calcolo dell’indennizzo per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale, da quantificare poi in concreto avendo riguardo alla natura e alle caratteristiche di ciascuna controversia” (Cass., sez. 1, 26 gennaio 2006, n. 1630, n. 585927).
Il ricorrente lamenta anche il mancato riconoscimento dell’integrazione per la natura previdenziale del giudizio. Ma secondo la giurisprudenza di questa Corte, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genero debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Cass., sez. 1, 14 marzo 2008, n. 6898, m. 602256). E nel caso m esame una tale particolare incidenza non è stata neppure allegata.
Quanto alle spese, i giudici del merito le hanno compensate per una metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale della domanda, proposta per un credito vantato nella misura di L. 11.500. E di tanto si lamenta il ricorrente, che peraltro non censura affatto la motivazione esibita dai giudici del merito, ma argomenta muovendo dalla implicita (ma erronea) premessa che la compensazione sia stata disposta integralmente.
I motivo è pertanto inammissibile, per difetto di specificità.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dell’Amministrazione resistente, liquidandole in complessivi Euro 800 per onorari, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010