Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21779 del 20/09/2017
Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 06/06/2017, dep.20/09/2017), n. 21779
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18887/2010 R.G. proposto da:
Comas Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Domenico Angelini e
dall’Avv. Michele Tumminelli, con domicilio eletto presso il primo,
in Roma, via Gavinana n. 4, giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso
la quale è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia n. 29/32/10, depositata il 26 febbraio 2010.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 6 giugno 2017
dal Consigliere Dott. Giuseppe Fuochi Tinarelli;
Letta la memoria depositata dal Sostituto Procuratore Generale Dott.
Giovanni Giacalone, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Letta la memoria depositata dagli Avv.ti Domenico Angelini e Michele
Tumminelli per la ricorrente.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
Che:
– Comas Srl impugna per cassazione la decisione della CTR della Lombardia che, in riforma della sentenza della CTP di Como, aveva ritenuto legittimo l’accertamento induttivo del maggior reddito d’impresa per il 2004, di cui assume con quattro motivi:
– (a) la nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per ultrapetizione perchè fondata su elementi di fatto diversi da quelli originariamente considerati a fondamento della pretesa fiscale;
– (b) la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 2, per aver ritenuto la congruità dei maggiori ricavi in base alla circostanza, non dedotta, delle condizioni di operatività della società, mentre l’accertamento induttivo si fondava sulla grave incongruenza discendente dalla percentuale di ricarico accertata;
– (c) insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alle circostanze poste a fondamento dell’accertamento medesimo;
– (d) la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, art. 116 c.p.c., artt. 2697,2727,2729 c.c., anche con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione, per aver ritenuto la pretesa erariale fondata su elementi privi dei requisiti di gravità, precisione e fondatezza e con una procedura estimativa del ricarico inadeguata e illogica.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
– il primo motivo è infondato: come risulta dall’atto di costituzione e d’appello proposti dall’Agenzia delle Entrate – per come riprodotti dallo stesso ricorrente – vi è stata piena corrispondenza tra quanto dedotto e richiesto e quanto deciso, avendo l’Ufficio posto in evidenza gli “indici di redditività” e gli altri elementi (luogo di svolgimento dell’attività, costo del personale, oltre ad ulteriori circostanze) per ritenere comprovata l’incongruenza dei ricavi e nello stesso avviso di accertamento – nella specie non riprodotto e con riproduzione solo parziale del pvc, dunque in difetto di autosufficienza – si fa esplicito riferimento a “eventuali incongruenze tra il giro d’affari contabilizzato dalla verificata e quello desumibile dalle caratteristiche di esercizio dell’attività stessa” e “ad elementi certi ed inequivoci con riferimento specifico all’attività e alla dimensione dell’azienda interessata”, ancorchè la determinazione del (maggior) ricavo d’impresa sia stata in concreto ancorata al “c. d. ricarico medio ponderato applicato dalla verificata sulla merce esitata alla clientela”;
– l’asserita divergenza tra l’originaria contestazione (ossia quella contenuta nell’avviso di accertamento per come sostenuta dal ricorrente) e domanda formulata nell’atto di appello (ovvero di costituzione in giudizio) decisa dal giudice, infatti, avrebbe dovuto, eventualmente, essere dedotta (e nel rispetto del principio di autosufficienza, con necessaria specifica riproduzione dell’intero avviso di accertamento) come violazione del divieto ex art. 345 c.p.c., di esaminare domande nuove proposte per la prima volta in sede di impugnazione (ovvero, in primo grado, su fatti diversi rispetto all’accertamento);
– il secondo motivo è inammissibile, esito che deriva dalla infondatezza del primo motivo;
– del resto gli elementi considerati dalla CTR (l’indice ROS; le dimensioni dell’azienda; i numeri ed il costo del personale), in uno con il margine di utile del tutto esiguo (15.282,82 Euro a fronte di un ricavo dichiarato di oltre 5 milioni di Euro) dedotto dall’Ufficio e condiviso dalla CTR (“La Commissione, esaminato il fascicolo, condivide il percorso e le argomentazioni dell’Ufficio”), integravano i presupposti presuntivi per dare corso all’accertamento D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 39, comma 1, lett. d, in concreto operato, e, dunque, assumevano rilievo come indici di incongruenza e non ragionevolezza della gestione d’impresa;
– correlato, poi, era il ricorso, per la commisurazione del reddito d’impresa, alla verifica sulla merce esitata con determinazione del cd. ricarico medio ponderato, le cui percentuali “non sono astratte, ma sono ricavate da listini prezzi, da altri documenti contabili e dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società…, certi ed inequivoci con riferimento specifico all’attività e alla dimensione dell’azienda”;
– il terzo e il quarto motivo, il cui esame deve essere effettuato unitariamente in quanto strettamente connessi, sono fondati nei termini che seguono;
– il ricorrente censura i singoli elementi considerati nel percorso argomentativo della CTR (e, comunque, ai fini dell’accertamento), ritenendone la sostanziale estraneità rispetto all’accertamento operato, sicchè valuta la motivazione della CTR illogica prima ancora che insufficiente perchè fondata su elementi asseritamente estranei e non pertinenti al ragionamento seguito;
– la valutazione della CTR, invero, non si è limitata a prendere in esame i singoli elementi in quanto tali ma ha li ha considerati congiuntamente, in vista della necessaria verifica di una loro concordanza e di una interiore coerenza e congruenza;
– tale percorso argomentativo, tuttavia, risulta meramente formale poichè non emerge in alcun modo quali siano i collegamenti, ritenuti funzionali a giustificare l’accertamento, tra l’indice ROS e i costi sostenuti per il personale ed il fabbricato, e in quale modo tali circostanze giustifichino una (maggior) percentuale di ricarico dell’84,24%, sicchè solo in apparenza la valutazione della CTR è stata unitaria, essendosi invece risolta nell’accostamento di elementi differenti senza chiarirne il rapporto di pertinenza e di reciproca interrelazione, limitandosi ad affermare, in termini del tutto apodittici, la congruità del maggior ricarico accertato;
– la sentenza va pertanto cassata con rinvio alla CTR competente per nuovo esame e regolamento delle spese.
PQM
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza e rinvia alla CTR della Lombardia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017