Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21777 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 20/10/2011), n.21777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGLIO Biagio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19050/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

B.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 115/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 07/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA CONCETTA SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE, che si riporta al ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M. ha impugnato il verbale con cui gli è stata irrogata la sanzione, del D.L. n. 12 del 2002, ex art. 3, comma 3, per la presenza sul luogo di lavoro di un dipendente, cittadino extracomunitario, non registrato sui libri paga e matricola. La CTP di Ravenna ha parzialmente accolto l’impugnazione, ritenendo trattarsi di lavoro stagionale, decisione che è stata riformata dalla CTR dell’Emilia Romagna, che, con sentenza n. 115/1/05, depositata il 7.10.2005, ha annullato l’atto, affermando che la data d’inizio del lavoro irregolare, la cui prova era consentita a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 144 del 2005, era, nei fatti, impossibile in conseguenza dell’inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario nè poteva desumersi dal processo verbale di constatazione, avendo il datore di lavoro a propria disposizione il termine di cinque giorni, per dichiarare l’avvenuta assunzione a norma del D.L. n. 510 del 1996, art. 9 bis, comma 2, convertito con L. n. 608 del 1996.

Per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

L’intimato non ha presentato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio, con compensazione delle spese. A seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum”, nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001, spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. Cass. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

Col primo, articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 73 del 2002, art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, della L. n. 608 del 1996, art. 9 bis, comma 3, del D.Lgs. n. 181 del 2000, art. 4 bis (introdotto dal D.Lgs. n. 297 del 2002, art. 6), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, l’Agenzia lamenta che, nel ritenere preclusa, per il datore di lavoro, la prova della data d’inizio del rapporto di lavoro irregolare, i giudici d’appello hanno: 1) modificato il dettato normativo, quale risultante dalla sentenza additiva della Corte Cost. n. 144 del 2005; 2) omesso di considerare la valenza delle presunzioni in ambito tributario; 3) infirmato il valore di piena prova da riconnettere al verbale di funzionari dell’INPS; 4) trascurato l’obbligo per il datore di lavoro di rilasciare al lavoratore la lettera di assunzione. Col secondo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’inadeguatezza della motivazione data nell’impugnata sentenza in riferimento della normativa di riferimento.

Il ricorso è fondato. Con sentenza n. 144 del 2005, la Corte Cost.

ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, nella parte in cui non prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al 1 gennaio dell’anno nel quale è stata elevata la contestazione della violazione: è, pertanto, consentita la prova relativa alla data di decorrenza del rapporto, successiva al 1 gennaio, ed il relativo onere grava sul datore di lavoro. Questa Corte (SU n. 356/2010, n. 23206/2009) ha, quindi, chiarito che la citata disposizione di cui all’art. 3, comma 3, introdotta per inasprire il trattamento sanzionatorio per coloro che continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante le agevolazioni volte ad incentivare l’emersione del lavoro sommerso, introduce un meccanismo presuntivo che esclude qualsiasi obbligo dell’ente, che irroga la sanzione, di provare l’effettiva prestazione di attività lavorativa subordinata per il periodo intermedio compreso tra il giorno di accertamento dell’infrazione ed il primo gennaio dello stesso anno e prescrive al medesimo ente di commisurare la sanzione a detta durata, presumendosi, appunto, che il rapporto decorra nel 1 gennaio e non dal giorno stesso dell’accertamento, in difetto di prova contraria facente carico all’autore della violazione.

Deve, poi, escludersi che il divieto di prova testimoniale innanzi alla commissioni tributarie renda impossibile tale prova da parte del datore di lavoro, in violazione del suo diritto di difesa. Tale tesi, come rilevato dalla ricorrente, si risolve in una sostanziale, inammissibile, abrogazione del precetto normativo, quale risultante a seguito della sentenza additiva della Corte Cost. n. 144 del 2005, sopra menzionata, e non considera, neppure, che la compatibilità del divieto di prova testimoniale con l’esercizio del diritto di difesa è stata positivamente affermata dalla Corte Cost. che, con la sentenza n. 18 del 2000, dopo aver rilevato che il divieto posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, consegue alla scelta, discrezionale, del legislatore riguardo all’ammissibilità ed ai limiti dei singoli mezzi di prova, ha escluso che detto divieto possa collidere con il principio di “parità delle armi” – che rappresenta l’espressione, in campo processuale del principio di eguaglianza – in quanto trova giustificazione, oltre che nella spiccata specificità del processo tributario, anche, nella circostanza che esso è, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale, in relazione alle regole che disciplinano il procedimento di accertamento della pretesa impositiva. A tanto, va aggiunto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4269/2002 11785/2010), cui si presta adesione, il divieto in esame si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo, mentre va riconosciuto il potere sia all’Amministrazione che al contribuente – in attuazione dei principi del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost. – di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (cfr. Corte Cost.

n. 18 del 2000 cit.). In concreto, oltre mediante i predetti elementi presuntivi, la prova ben avrebbe potuto esser fornita, come rileva la ricorrente, mediante la lettera di assunzione che il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore all’atto dell’assunzione, ai sensi dalla L. n. 608 del 1996, art. 9 bis, comma 3, obbligo tuttora vigente e confermato dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152, art. 1, comma 2, lett. b), (cfr. Cass. n. 12679/2008).

La sentenza impugnata che, in assenza di prova circa la data di inizio del rapporto di lavoro, ha tratto conseguenze contrarie ai suddetti principi, dev’essere cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, ex art 384 epe, col rigetto dell’opposizione del B.. Le spese, secondo il criterio legale della soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente ed in favore dell’Agenzia e si liquidano, per ciascuno dei due gradi di merito, in Euro 800,00 di cui Euro 500,00 per onorario, e, per il presente giudizio di legittimità, in Euro 1.200,00, oltre a spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, spese compensate; accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione del B.. Condanna quest’ultimo a pagare all’Agenzia le spese del giudizio liquidate in Euro 800,00, per ciascuno dei due gradi di merito ed in Euro 1.200,00, per il presente giudizio di legittimità, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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