Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21776 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 23/06/2017, dep. 07/09/2018), n.21776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 531/2011 proposto da:

CONCERIA RIVER SRL, elettivamente domiciliata in ROMA P.ZZA DELLA

LIBERIA’ 20, presso lo studio dell’avvocato ADA DE MARCO,

rappresentata e difesa dagli avvocati AGOSTINO SOMMA e GERARDO

PERILLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI

ARZIGNANO;

– intimati –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE DI ROMA in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 29/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 16/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La srl Conceria River propone ricorso per cassazione, con due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato il fondamento della pretesa manifestata con l’avviso di accertamento, ai fini dell’IRPEG e dell’IRAP per l’anno 2001, con il quale veniva determinato un maggior reddito per effetto del mancato riconoscimento della deducibilità dei costi per l’acquisto di pelli bovine documentati da una fattura dell’importo di 23.357 dollari emessa dalla società Sautham Trade, con sede a (OMISSIS), paese inserito nella cd. black list. La società contribuente, infatti, aveva portato in deduzione la detta somma, senza procedere ad alcuna separata indicazione dell’ammontare dedotto per tale motivo.

Il giudice d’appello ha anzitutto disatteso la tesi della società contribuente secondo cui nel verbale di constatazione sarebbe stata erroneamente definita l’operazione come “acquisto di pelli bovine”, laddove si era trattato di “restituzione, per difetti di lavorazione, di merce precedentemente esportata” – tesi confermata da una dichiarazione della Southam Trade nel senso che la fattura in discorso concerneva la restituzione di beni difettati prodotti dalla società ricorrente.

Ha in proposito rilevato che non era stata prodotta altra documentazione relativa alla partita di “beni difettosi”, quali lettere di contestazione, indicazione dei difetti riscontrati, e neppure al fatto che la Southam Trade svolgesse solo attività commerciale effettiva, ed ha ritenuto che “le dichiarazioni prodotte dalla società relative alla consistenza della merce resa non paiono di per sè sufficienti a dimostrare la effettività della restituzione di merce difettosa, ancor più se si considera il fatto che, in contrasto con quanto previsto dall’art. 76, comma 7 bis, del T.U.I.R., non è stata effettuata in dichiarazione” la necessaria separata indicazione dell’ammontare dedotto.

La norma è infatti “assolutamente chiara nel richiedere che le deduzioni delle spese e degli altri componenti negativi di reddito sia comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti”, e ciò al fine di portare in chiaro in dichiarazione le ragioni e le relative prove che suffraghino tale deduzione, a maggior ragione in quanto efettuate verso imprese aventi sede in territori extra comunitari e/o aventi regimi fiscali privilegiati”.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di mera costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, denunciando “insussistenza della fattispecie impositiva” prevista dall’art. 76 del T.U.I.R. del 1986, come modificato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 1, la contribuente, premesso che “nel caso in esame tale ipotesi (della indeducibilità dei costi relativi ad operazioni poste in essere tra imprese residenti e soggetti aventi sede in paesi a regime fiscale privilegiato) non sussiste perchè gli importi riportati in fattura non attengono ad una cessione di beni ma alla restituzione di merce venduta”, assume che per la reintroduzione nello Stato di beni precedentemente esportati fuori della CEE (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 66; L. n. 28 del 1997, art. 1, comma 2) – come sarebbe facilmente rilevabile dalla fattura, “che è simile (sia per la quantità, sia per il valore) alla precedente esportazione – è da escludersi il presunto danno per l’Erario. Nella predisposizione del bilancio si tratterebbe, si sostiene, del conto “resi su vendite”, che troverebbe espressa corrispondenza nell’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

Con il secondo motivo, denunciando “falsa rappresentazione della realtà”, la contribuente assume che non rientrando “l’addebito formulato nelle ipotesi previste, come detto, dal combinato disposto dell’art. 76 T.U.I.R. e della L. n. 342 del 2000, art. 1”, si avrebbe “una falsa rappresentazione della realtà operativa, del tutto irreale nella vita aziendale e del tutto illogica come ipotesi impositiva. Rettamente la CTP aveva accolto il ricorso sul presupposto del tutto evidente di quanto esposto, laddove la Commissione regionale poggia la sua decisione sull’effettività dell’acquisto di pelle bovina, pur ammettendo che esisteva una dichiarazione della Southam Trade con la quale si precisava che si trattava di restituzione di beni.

I due motivi, invero formulati in termini non del tutto perspicui, vanno trattati congiuntamente in quanto strettamente legati.

Essi sono inammissibili, perchè non colgono la ratio decidendi della pronuncia. Entrambi, infatti, muovono dal presupposto che l’operazione che ha dato luogo all’accertamento del’ufficio e ne costituisce il nocciolo non sia una cessione di beni – l’acquisto cioè da una società avente sede in un paese cd. black list di pelli bovine – ma la restituzione alla contribuente di merci da questa vendute, poi rivelatesi difettose.

Al contrario, la sentenza impugnata ha accertato, spiegandone le ragioni – come può rilevarsi dai passi della decisione riportati supra -, che si trattava di costi per l’acquisto di pelli bovine da un paese black list, costi per la deducibilità dei quali era prevista una specifica disciplina.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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