Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21775 del 09/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 09/10/2020), n.21775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29393/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

contro

Gruppo Cartorama s.r.l. in fallimento, in persona del curatore pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 1968/07/15, depositata l’11 maggio 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2019

dal Cons. Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Luisa De Renzis, che ha concluso per

l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1968/07/15 dell’11/05/2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dalla Gruppo Cartorama s.r.l. (di seguito Cartorama), avverso la sentenza n. 22/03/14 della CTP di Como, che aveva parzialmente accolto i ricorsi riuniti della società contribuente avverso due avvisi di accertamento ed il conseguente atto di irrogazione sanzioni, con i quali erano state rettificate le dichiarazioni doganali presentate dall’importatore, contestato a quest’ultimo il mancato pagamento di dazi, IVA e interessi moratori, nonchè irrogate sanzioni.

1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, la vicenda traeva origine dalla mancata inclusione, nel valore delle merci importate, dei diritti di licenza o royalties pagati dalla Cartorama alle licenzianti di noti marchi registrati.

1.2. La CTR, previa ricostruzione del dato normativo, accoglieva l’appello principale della società contribuente e rigettava quello incidentale dell’Agenzia delle dogane concernente le sanzioni, evidenziando che: a) ai sensi del Reg. (CEE) 2 luglio 1993 (DAC), n. 2454, art. 157, p. 2, che fissa le condizioni di attuazione del Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario – CDC), “l’aggiunta al prezzo effettivamente pagato o da pagare dell’importo relativo al corrispettivo e diritto di licenza deve avvenire solo se il pagamento stesso si riferisce alle merci oggetto di valutazione e costituisce una condizione di vendita delle merci in questione”; b) dall’analisi dei contratti tra licenzianti e licenziataria l’unico controllo che il licenziante effettuava nei confronti dei venditori era un controllo di qualità e di rispetto di determinate condizioni di lavoro, mentre i licenzianti non imponevano i produttori terzi alla licenziataria, nè ne indirizzavano la scelta, restando la licenziataria libera di scegliere il produttore; c) per il produttore il pagamento delle royalties alla licenziante non aveva alcuna importanza, in quanto tale elemento non intersecava il rapporto di produzione e pagamento della merce da lui prodotta; d) le royalties venivano pagate dalla licenziataria alla licenziante sul venduto, sicchè tra il produttore/venditore e la licenziante del marchio non vi era alcun rapporto; e) non sussistevano, pertanto, in ipotesi, le condizioni per computare nel valore in dogana delle merci importate l’importo dei diritti di licenza, con conseguente annullamento dell’atto impositivo e delle relative sanzioni, oggetto di appello incidentale dell’Agenzia delle dogane, e assorbimento delle ulteriori eccezioni proposte dall’appellante principale.

2. L’Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

3. La Cartorama non si costituiva in giudizio.

4. Con ordinanza resa a seguito dell’udienza camerale del 27/03/2019, veniva dichiarata la nullità della notificazione eseguita nei confronti dei difensori domiciliatari della società, allora in concordato preventivo e, quindi, fallita.

5. L’Agenzia delle dogane provvedeva alla regolare rinnovazione della notificazione nei confronti della Cartorama in persona del curatore fallimentare, la quale, peraltro, restava intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e degli 115 e 116 c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 32 CDC, degli artt. 143,157 e 160 DAC, dell’art. 1362 c.c., e ss. e dei principi di ermeneutica contrattuale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi come lo sviluppo argomentativo della sentenza sarebbe del tutto apodittico e sganciato e/o smentito da una corretta valutazione delle risultanze emergenti dalla documentazione prodotta, dalle quali emergerebbero circostanze gravi, precise e concordanti ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore delle merci importate, in quanto condizioni di vendita. Invero, dall’esame delle clausole contrattuali si evincerebbe che le licenzianti assumono la veste di parte forte, in grado di controllare l’intera catena produttiva dei beni riportanti il marchio, assumendo il licenziatario e il fornitore estero la veste di contraenti deboli, come tali controllati direttamente o indirettamente.

2. La complessa censura è inammissibile.

2.1. Giova prendere le mosse da alcuni recentissimi arresti della S.C. (Cass. n. 8473 del 06/04/2018; Cass. n. 24996 del 10/10/2018; si vedano, altresì, Cass. n. 16695 del 21/06/2019; Cass. n. 22761 del 12/09/2019), le cui conclusioni – pienamente condivisibili – è opportuno riassumere qui di seguito.

2.1.1. Il valore in dogana delle merci importate è, di regola, il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve le rettifiche da effettuare conformemente all’art. 32 CDC (CGUE 12 dicembre 2013, causa C-116/12, Christodoulou e a., punti 38, 44 e 50; CGUE 21 gennaio 2016, causa C-430/14, Stretinskis, punto 15).

2.1.2. Detto valore deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (da ultimo, CGUE 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu). Ne consegue che anche i diritti di licenza, sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.

2.1.3. Pertanto, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa il relativo importo, l’art. 32, p. 1, lett. c), CDC stabilisce che al prezzo si addizionano “i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare (…)”;

2.1.4. Peraltro, ai sensi dell’art. 157, p. 2, DAC, ai fini di computare i diritti di licenza nel valore della merce devono ricorrere tre concorrenti condizioni: a) i corrispettivi o i diritti di licenza non devono essere stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; b) detti corrispettivi o diritti devono riferirsi alle merci da valutare; c) l’acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare.

2.1.5. In particolare, con riguardo al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: 1) il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione; 2) le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza; 3) l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore.

2.1.6. Ancora, per il caso in cui l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il regolamento prescrive che “(…) le condizioni previste dall’art. 157, par. 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento” (art. 160 DAC).

2.1.7. La disciplina generale fissata dall’art. 157, p. 2, DAC trova, dunque, specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardi un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. E le particolarità finiscono col contrassegnare, più di ogni altra, l’identificazione delle “condizioni di vendita delle merci in causa”, che devono rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate.

2.2. Nel caso di specie, non è dubbio che le condizioni sub a) e b) siano rispettate: da un lato, è pacifico che il corrispettivo dei diritti di licenza non è stato computato ai fini della determinazione del valore doganale delle merci importate; dall’altro, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR (che ha affermato che quando il dovuto è determinato in rapporto al venduto non esisterebbe alcun legame tra le importazioni e le royalties), l’art. 32, p. 1, lett. c), CDC non prevede che l’importo dei corrispettivi o dei diritti di licenza sia determinato al momento della conclusione del contratto di licenza o al momento dell’insorgenza dell’obbligazione doganale, affinchè i corrispettivi dei diritti di licenza siano considerati relativi alle merci da valutare (cfr. CGUE 9 marzo 2017, causa C-173/15, GE Healthcare GmbH).

2.3. La questione dirimente risulta, allora, quella concernente la terza condizione, data dalla configurabilità del versamento dei diritti di licenza come condizione di vendita della merce, nozione non precisata nè dall’art. 32, p. 1, lett. c), CDC, nè dall’art. 157, p. 2, DAC; peraltro, secondo CGUE 9 marzo 2017, causa C-173/15, cit., essa si traduce nella verifica se il venditore sia disposto, o no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza, nonchè, tenuto conto del fatto che ci si riferisce ad un marchio di fabbrica (cfr. art. 159 DAC), nella verifica se il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza.

2.3.1. Sul punto, l’allegato 23 al DAC – Note interpretative in materia di valore in dogana all’art. 143, p. 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), stabilisce che “si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda”.

2.3.2. Il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perchè è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perchè ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato.

Quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene.

2.3.3. Utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) sull’applicazione dell’art. 32, p. 1, lett. c), CDC (ormai parte dell’acquis communautaire, ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law): queste indicazioni, ha precisato CGUE 9 marzo 2017, cit., punto 45, “sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sè considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice”.

2.3.4. Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti:

– il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente;

– il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione);

– il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente;

– il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti;

– il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci;

– il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.;

– il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti;

– il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre;

– il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore;

– il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante;

– le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione, nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica);

– le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.

3.3.5. In definitiva, “in tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dal Reg. CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, artt. 157, 159 e 160, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza” (Cass. n. 8473 del 2018, cit.).

2.4. Nel caso di specie, la CTR, si è sostanzialmente conformata ai superiori principi di diritto. Invero, a seguito dell’esame dei contratti tra licenziante e licenziatario (che non può certo dirsi omesso, come sostenuto dalla ricorrente), ha, da un lato, evidenziato che il controllo del licenziante riguarda unicamente la qualità del prodotto, senza alcuna imposizione alla licenziataria circa la scelta dei produttori, e, dall’altro, affermato la sussistenza di un rapporto unicamente tra licenziante e licenziatario, essendo la licenziataria tenuta a fornire ai licenzianti “un rapporto completo sulla produzione e tutti i controlli sulle idee creative e sui materiali, gli imballaggi”.

2.4.1. In buona sostanza, la CTR si è fatta carico dell’esame compiuto dei singoli contratti prodotti ed ha espresso il convincimento che il pagamento del diritto di licenza non sia previsto come condizione di vendita della merce, escludendo la sussistenza di un vero e proprio potere di controllo da parte del titolare dei diritti immateriali.

2.5. A fronte di simili conclusioni, l’Agenzia delle dogane ha censurato la motivazione della sentenza impugnata sostanzialmente in quanto avrebbe violato le regole di ermeneutica contrattuale, mal comprendendo la portata delle clausole dei singoli contratti, che avrebbero dovuto indurre a differenti conclusioni.

2.5.1. Peraltro, il ricorso è formulato (per il vero, a mezzo del semplice richiamo del processo verbale di constatazione) mediante l’indicazione delle clausole del contratto di licenza che sarebbero rivelatrici del controllo indiretto del licenziante sul produttore-venditore delle merci, senza indicare quale dei criteri ermeneutici legali sia stato violato, ma limitandosi a prospettare quale sarebbe stata la lettura corretta delle clausole.

2.5.2. Tale metodo di prospettazione della violazione dei canoni ermeneutici legali dei contratti è stato più volte censurato e ritenuto insufficiente da questa Corte, la quale ha rilevato che “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui all’art. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata” (Cass. n. 28319 del 28/11/2017; Cass. n. 27136 del 15/11/2017; Cass. n. 25728 del 15/11/2013; Cass. n. 1582 del 24/01/2008).

2.5.3. Inoltre, la ricorrente finisce con il prospettare una interpretazione delle clausole contrattuali diversa da quella prospettata dalla sentenza impugnata: prospettazione inammissibile, atteso che “il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati” (Cass. n. 11254 del 10/05/2018; Cass. n. 2465 del 10/02/2015; Cass. n. 2074 del 13/02/2002).

2.5.4. I superiori indirizzi della S.C. (che si riferiscono anche, in generale, al vizio di violazione di legge: cfr. Cass. n. 24298 del 29/11/2016; Cass. n. 635 del 15/01/2015) sono conseguenza del rilievo che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (così Cass. n. 3240 del 05/02/2019).

2.6. In conclusione, l’Agenzia delle dogane afferma che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente interpretato i contratti inter partes, ma non chiarisce specificamente quale sia la regola ermeneutica violata e finisce con il volere accreditare una interpretazione dei contratti diversa da quella fornita dalla CTR, con ciò formulando una censura inammissibile in sede di legittimità.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico sulla legge doganale – TULD), art. 303, commi 1 e 2 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 70, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che le sanzioni applicate dall’Ufficio sono dovute.

4. Il motivo resta assorbito in quanto connesso alla fondatezza del primo motivo.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese in ragione della mancata costituzione della società contribuente.

5.1. Il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto che la presente sentenza è sottoscritta unicamente dal Presidente del Collegio per impedimento del Consigliere estensore a recarsi nella città di Roma in ragione dell’emergenza sanitaria Covid-19.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

 

 

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