Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21775 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 23/06/2017, dep. 07/09/2018), n.21775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25124/2010 proposto da:

PIAZZA SRL, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA A. BAIAMONTI 10,

presso lo studio dell’avvocato ROSA PATRIZIA SANTORO, rappresentata

e difesa dall’avvocato LELIO FAUSTO SCAPATICCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MONZA E BRIANZA

UFFICIO TERRITORIALE DI MONZA, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE DI MONZA BRIANZA UFFICIO CONTROLLI;

– intimati –

nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

PIAZZA SRL, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA A. BAIAMONTI 10,

presso lo studio dell’avvocato ROSA PATRIZIA SANTORO,

rappresentato,e difeso dall’avvocato LELIO FAUSTO SCAPATICCI;

– controricorrente all’incidentale –

nonchè

L’AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MONZA E BRIANZA

UFFICIO TERRITORIALE DI MONZA, L’AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE DI MONZA BRIANZA UFFICIO CONTROLLI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 43/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 31/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La srl Piazza propone ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, rigettandone l’appello, ha confermato il fondamento dell’avviso di accertamento, ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP per l’anno 2002, con il quale, per quanto ancora rileva, all’esito di un’ampia verifica, venivano ripresi a tassazione costi pubblicitari per Euro 60.000 e ricavi non dichiarati per Euro 24.235.

La Commissione regionale, con riguardo al primo motivo, ha anzitutto ritenuto ammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, la produzione in appello del “contratto pubblicitario” – relativo all’obbligo assunto dalla srl Ciemme Racing di applicare sulle proprie autovetture partecipanti a gare automobilistiche il logo della società contribuente, “poichè nella sentenza di primo grado la Commissione lo riteneva fondamentale ai fini del disconoscimento della ripresa a tassazione effettuata dall’ufficio”. Nondimeno, “il contratto pubblicitario prodotto in appello, a titolo di pezza giustificativa, non influisce sulla legittimità della ripresa a tassazione operata dall’ufficio. Infatti il contribuente si limita solo a produrre il documento senza specificare il motivo per cui la sponsorizzazione era effettuata, in un territorio diverso da quello in cui la società operava”.

Con riguardo al secondo motivo, concernente il recupero a tassazione di Euro 24.235 quale ricavo non dichiarato “calcolato, a detta del contribuente, esclusivamente sulla base degli studi di settore”, la Commissione ha rilevato che la suddetta ripresa è frutto della verifica effettuata dalla Guardia di finanza e della differenza riscontrata tra i dati dichiarati dal contribuente sia negli studi di settore che nel bilancio di chiusura del 31/12/2002″.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, articolando un motivo di ricorso incidentale, al quale replica la società contribuente con controricorso a ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 108, comma 2, del T.U.I.R., la società contribuente, posto che la norma consente senza limiti la deducibilità dei costi di pubblicità, che sono quelli sostenuti sia per creare un’immagine favorevole dell’impresa presso il pubblico, “per farsi conoscere”, pubblicizzando il nome e l’attività dell’impresa, che per far conoscere al pubblico un certo prodotto dell’impresa stessa, censura la sentenza per aver posto un limite all’ambito territoriale entro il quale è possibile fare pubblicità, e ciò in contrasto con la lettera della norma e con la sua ratio.

Il motivo è fondato, ove si consideri che “in materia di imposte sui redditi delle persone giuridiche, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 2 (vigente “ratione temporis”: del medesimo tenore è la disposizione come formulata nel nuovo testo, all’art. 108, comma 2), sono spese di pubblicità o propaganda quelle aventi come scopo preminente di pubblicizzare prodotti, marchi e servizi dell’impresa con una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite” (Cass. n. 3087 del 2016).

Questa Corte ha già ricordato (Cass. n. 3087 del 2016, in motivazione) che ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74,comma 2, la deducibilità delle spese relative a più esercizi è diversamente regolata a secondo della finalità delle stesse: “Le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Le spese di rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare e sono deducibili per quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi”. Circa i criteri discretivi tra le due categorie la Suprema Corte ha affermato che “In materia di imposte sui redditi, rientrano tra le spese di rappresentanza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre ne restano escluse le spese di pubblicità e propaganda, aventi come scopo preminente quello di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti dall’impresa, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfare i bisogni al fine di incrementare le vendite…” (Cass. n. 17602/2008), ed ancora “… Vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi o comunque dell’attività svolta” (Cass. n. 3433/2012): in proposito è stato rimarcato che per qualificare la spesa come pubblicitaria deve sussistere una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite (Cass. n. 10959/2007) e che il contribuente deve provare una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Cass. n. 3433 del 2012).

Una limitazione territoriale come quella postulata dalla sentenza impugnata si palesa quindi come estranea alla logica della figura giuridica in discorso.

Con il secondo motivo, con riguardo al recupero a tassazione dell’importo di Euro 24.335 quale ricavo non dichiarato, calcolato sulla base dello studio di settore, denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto, “contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, il recupero a tassazione non sarebbe dovuto alla differenza riscontrata fra i dati dichiarati dal contribuente sia negli studi di settore che nel bilancio di chiusura del 2002, bensì dal ricalcolo dello studio di settore effettuato dai funzionari accertatori”. Ciò avrebbe fatto emergerVi maggiori ricavi, determinati “senza alcuna attività accertatrice, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che considera il risultato del software Gerico una presunzione semplice inidonea, senza ulteriori elementi, ad assumere efficacia probatoria”.

Il motivo è inammissibile, in quanto, sotto la veste del vizio di motivazione, viene censurato, a ben vedere, un error in iudicando.

Col terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando l’omessa pronuncia su un punto decisivo (per i motivi indicati nel precedente punto) della controversia, in quanto non sarebbe stata presa in esame la richiesta di essa contribuente di ricalcolare lo studio di settore tenendo conto delle sole rettifiche ritenute legittime ed operanti dalla CTP di Milano.

Il motivo è infondato, in quanto sul punto non è stata omessa ogni decisione, avendo anzi il giudice d’appello spiegato che il recupero a tassazione di Euro 24.235 quale ricavo non dichiarato, “calcolato, a detta del contribuente, esclusivamente sulla base degli studi di settore”, era frutto della verifica effettuata dalla Guardia di finanza e della differenza riscontrata tra i dati dichiarati dal contribuente sia negli studi di settore che nel bilancio di chiusura del 31/12/2002″.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale, denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, l’amministrazione si duole che non sia stato preso in considerazione dalla CTR il motivo di gravame incidentale proposto in appello “in relazione ai rilievi fiscali che la CTP aveva annullato”, e sui quali essa Agenzia delle Entrate era risultata in primo grado soccombente.

Il ricorso incidentale, come eccepito dalla Piazza srl, è inammissibile in quanto tardivo. L’appello della contribuente risulta infatti dal frontespizio della sentenza della CTR depositato il 31 luglio 2009, mentre l’udienza di discussione si è tenuta il 19 febbraio del 2010. A norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, l’appello incidentale va proposto, a pena di inammissibilità, nell’atto di controdeduzioni, nei modi e nei termini di cui all’art. 23, e cioè “entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto”.

Nella specie, come si evince dalla sentenza impugnata, “l’ufficio, in udienza (vale a dire il 19 febbraio 2010, e quindi oltre il termine di sessanta giorni) produceva la propria costituzione in giudizio e l’appello incidentale”.

In conclusione, il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto, mentre vanno rigettati il secondo ed il terzo motivo, e va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo in relazione alle spese di pubblicità.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre vanno compensate fra le parti le spese per i gradi di merito.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo ed il terzo motivo e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente in relazione alle spese di pubblicità.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.000 per compensi di avvocato, oltre a spese generali determinate forfetariamente nella misura del 15 per cento.

Dichiara compensate fra le parti le spese per i gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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