Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21773 del 07/09/2018

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2018, (ud. 21/06/2017, dep. 07/09/2018), n.21773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14366-2011 proposto da:

G.C. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato ROCCO AGOSTINO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO LOGOZZO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI SIENA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 44/2010 della COMM.TRIB.REG. della TOSCANA,

depositata il 09/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La srl G.C. propone ricorso per cassazione, con due motivi, illustrato con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana che, rigettandone l’appello nel giudizio introdotto con l’impugnazione di due avvisi di accertamento, emessi, ai fini dell’IRAP per l’anno 2002 e dell’IVA, dell’IRPEG e dell’IRAP per l’anno 2003, sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza di Siena, con il quali si formulavano una pluralità di rilievi, e segnatamente con il secondo, per quel che ancora rileva, si contestava la illegittima deduzione delle somme corrispondenti al disavanzo di fusione di società, ha confermato la fondatezza della pretesa dell’ufficio.

Secondo l’atto di appello, C.G. e N.P. avevano dapprima rivalutato le quote di partecipazione detenute nella srl Edilizia Siena 2000 fino agli importi fissati dalla perizia giurata di stima 16112/2002, pagando l’imposta sostitutiva prevista dalla L. n. 448 del 2001, e successivamente, in data 29 maggio 2003, avevano ceduto le quote stesse alla srl G.C. optando per la tassazione della eventuale plusvalenza in sede di dichiarazione dei redditi: nessuna plusvalenza tuttavia veniva rilevata perchè la cessione era avvenuta al medesimo valore risultante dalla rivalutazione, assunto come nuovo valore fiscale. La società contribuente, acquistate le quote dalle due persone fisiche (il C. e la N.), aveva proceduto alla fusione per incorporazione della società (la srl Edilizia Siena 2000) oggetto della cessione delle quote, con delibera di fusione del 10 luglio 2003. A seguito della fusione per incorporazione totalitaria, la società contribuente aveva rilevato un disavanzo da fusione per annullamento di quote pari a Euro 2.326.000 derivante dal maggior prezzo pagato per il loro acquisto, e di conseguenza aveva iscritto in bilancio una posta a titolo di “avviamento” come spesa relativa a più esercizi”.

La CTR ha rigettato sul punto il gravame, confermando la sentenza di primo grado, in quanto l’opzione di affrancamento doveva essere espressa nell’esercizio in cui la fusione era stata effettuata, mediante pagamento dell’imposta sostitutiva del 19% sui maggiori valori iscritti.

Tale possibilità, osserva il giudice d’appello, non era stata esercitata dalla società contribuente nella forma prevista dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 6 che appunto detta il regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione o scissione di società, articolo il cui testo veniva trascritto.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la società contribuente denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: la CTR di Firenze avrebbe omesso di pronunciare in ordine all’eccezione sollevata da essa C. circa il difetto di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati. In via subordinata, nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61 e art. 36, comma 2, n. 4, art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè art. 111 Cost., comma 6, a fronte del difetto assoluto della motivazione sottesa al rigetto – che parrebbe implicito – dell’eccezione di essa C. di cui sopra.

Il motivo, nella sua duplice articolazione, è infondato ovvero inammissibile, atteso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, “in tema di IRPEF e IVA, il vizio di “nullità” dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 43 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 56 e 57), deve essere inteso come vizio di “annullabilità”; ne consegue che esso deve necessariamente (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 59) essere dedotto dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria di primo grado, e che si riveli inammissibile la sua deduzione per la prima volta innanzi alla Commissione Tributaria Regionale” (Cass. n. 8114 del del 2002; più di recente, cfr. Cass. n. 13126 del 2013, n. 10802 del 2010, nel senso che “nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio”.

La eccezione era quindi inammissibile in quanto nuova, rimanendo escluso ogni profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c.Analoghe considerazioni vanno svolte circa l’obbligo, insussistente, di motivazione sulla eccezione o domanda nuova e perciò inammissibile, in relazione alla quale il giudice di appello ha nondimeno sottolineato (pag. 2) che “la sentenza è impugnata dalla srl G.C. solo con riferimento alla indeducibilità del disavanzo di fusione e alla applicazione dell’IVA ordinaria al 10%”, e che “ritenendone la rilevabilità anche di ufficio, la srl C. ha anche eccepito la nullità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione assolta solo per relationem…”.

Col secondo motivo denuncia la nullità della sentenza ai sensi dellàart. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61 e art. 36, n. 4, art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè art. 111 Cost., comma 6: la CTR, nel respingere la tesi sostenuta dalla società circa la illegittima esclusione della deducibilità delle somme corrispondenti al disavanzo di fusione, ha omesso di indicare la motivazione sottostante al proprio decisum.

Il motivo è infondato, in quanto il giudice d’appello ha motivato il rigetto del motivo.

In materia di imposte sui redditi, con riguardo alla fusione di società per incorporazione, ed in tema di deducibilità del disavanzo da fusione, infatti, “solo con la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 27 è stato introdotto il principio di neutralità fiscale delle operazioni societarie di fusione e di scissione, con la conseguenza che, a partire dall’1 gennaio 1995 – data di entrata in vigore di detta legge -, il disavanzo di fusione, ai sensi dell’articolo citato, non è più utilizzabile “per iscrizioni di valori in franchigia d’imposta, a qualsiasi voce, forma o titolo operate” (Cass. n. 3413 del 2002).

La deduzione di tali componenti negativi, tuttavia, era riconosciuta, alle condizioni fissate dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 6 (ma fino al 31 dicembre 2003, a norma del D.Lgs.12 dicembre 2003, n. 344, art. 3, comma 2: “Sono abrogati gli articoli da 1 a 6 del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, con riguardo alle cessioni e ai conferimenti effettuati nonchè alle operazioni di fusione e scissione perfezionate dopo il 31 dicembre 2003”).

Il giudice d’appello, richiamando la sentenza di primo grado, ha “respinto” la tesi della contribuente, “in quanto l’opzione di affrancamento doveva essere espressa nell’esercizio in cui la fusione fu effettuata, mediante pagamento dell’imposta sostitutiva del 19% sui maggiori valori iscritti. Tale possibilità non era stata esercitata dall’appellante nella forma prevista dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 6”, recante Regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione o scissione di società, articolo del quale di seguito il giudice ha trascritto i quattro commi, l’ultimo dei quali appunto stabilisce che “i soggetti che intendono avvalersi delle disposizioni dei commi 2 e 3 devono chiederne l’applicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui ha effetto la fusione o la scissione. Restano ferme, in caso contrario, le disposizioni in materia di fusioni”.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 7.000 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2018

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