Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2177 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., rappresentata e difesa dall’avv. Marra A.L.,

come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’economia e delle finanze, domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che per

legge la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5931/2007 della Corte d’appello di Napoli,

depositato il 14 settembre 2007;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento della somma, di Euro 16.250 in favore di C.A., che aveva proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un giudizio promosso il 12 gennaio 1988 e non ancora definito in primo grado dal T.A.R. Campania in data 23 aprile 2007.

Ricorre per cassazione C.A. e deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando l’inadeguatezza dell’indennità riconosciutagli e l’ingiustificata compensazione delle spese. Resiste con controricorso il Ministero convenuto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il giudice investito della domanda di equa riparazione del danno derivante dalla irragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve preliminarmente accertare se sia stato violato il termine di ragionevole durata, identificando puntualmente quale sia la misura della durata ragionevole del processo in questione, essendo questo un elemento imprescindibile, logicamente e giuridicamente preliminare, per il corretto accertamento dell’esistenza del danno e per l’eventuale liquidazione dell’indennizzo” (Cass., sez. 1, 9 settembre 2005, n. 17999, m. 584619).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno determinato in tre anni la durata ragionevole della procedura e, quindi, in sedici anni e tre mesi l’eccedenza irragionevole della sua durata. E questa valutazione non è censurabile nè risulta in realtà censurata.

Corretta è anche la determinazione dell’indennizzo in Euro 16.250, dal momento che la giurisprudenza ha “individuato nell’importo compreso tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 la base di calcolo dell’indennizzo per ciascun anno in relazione al danno non patrimoniale, da quantificare poi in concreto avendo riguardo alla natura e alle caratteristiche di ciascuna controversia” (Cass., sez. 1, 26 gennaio 2006, n. 1630, m. 585927).

li ricorrente lamenta anche il mancato riconoscimento dell’integrazione per la natura previdenziale del giudizio. Ma secondo la giurisprudenza di questa Corte, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Cass., sez. 1, 14 marzo 2008, n. 6898, m. 602256). E nel caso in esame una tale particolare incidenza non è stata neppure allegata.

Quanto alle spese, i giudici del merito le hanno compensate per una metà, in ragione delle incertezze giurisprudenziali in materia. E di tanto si lamenta il ricorrente, che peraltro non censura affatto la motivazione esibita dai giudici del merito, ma argomenta muovendo chiaramente (ancorchè implicitamente) dal fa erronea premessa che vi sia stata la compensazione integrale delle spese. Il motivo è pertanto inammissibile, per difetto di specificità.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dell’Amministrazione resistente, liquidandole in complessivi Euro 800 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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