Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2177 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 15/11/2018, dep. 25/01/2019), n.2177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 27186 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Polytech s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Raimondo Fulcheri per procura

speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma,

via Marianna Dionigi, n. 29, presso lo studio dell’Avv. Marina

Milli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane;

– intimata –

e contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, sezione staccata di Livorno, n. 41/10/2013,

depositata il giorno 22 maggio 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre

2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva proposto separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Livorno avverso l’avviso di accertamento in rettifica nonchè l’atto di contestazione delle sanzioni con i quali era stato richiesto il pagamento di maggiori diritti doganali e le conseguenti sanzioni in relazione all’importazione di colli di fibre sintetiche in fiocco di poliestere, atteso che, a seguito di un successivo controllo, era risultato che il Paese di origine della merce importata non era la Malesia ma la Cina, con conseguente revisione del dazio sull’importazione; la Commissione tributaria provinciale di Livorno, con due distinte sentenze, aveva rigettato il ricorso relativo all’atto di accertamento in rettifica e accolto il ricorso avverso l’atto di contestazione delle sanzioni; avverso pronuncia relativa all’atto di accertamento in rettifica aveva proposto appello la contribuente e avverso la pronuncia relativa all’atto di contestazione delle sanzioni aveva proposto appello l’Agenzia delle dogane;

la Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione staccata di Livorno, in epigrafe, previa riunione dei procedimenti, ha rigettato l’appello della contribuente e accolto l’appello dell’Agenzia delle dogane;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a sei motivi di censura.

Non si è costituita l’Agenzia delle dogane;

si è costituita l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

la ricorrente ha, altresì, depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

va preliminarmente rilevata la tardività della costituzione dell’Agenzia delle entrate, atteso che il ricorso risulta notificato il 2 dicembre 2013 e il controricorso risulta notificato in data 2 aprile 2014, dunque oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c.;

priva di pregio, va osservato, è la circostanza dedotta nel controricorso di ammissibilità della costituzione in quanto il ricorso è stato notificato esclusivamente all’Ufficio delle Dogane di Livorno e non anche all’ufficio centrale nè all’Avvocatura generale dello Stato;

l’argomento è privo di fondamento, in quanto questa Corte (Cass. civ. Sez. Unite, 14 febbraio 2006, n. 3118) ha precisato che “anche gli uffici periferici dell’Agenzia, subentrati a quelli dei Dipartimenti delle Entrate, devono essere considerati – una volta che l’atto ha come destinatario l’ente – come organi dello stesso che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza in giudizio, ai sensi dell’art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2 e artt. 144 e 145 c.p.c.. Da ciò consegue, altresì, che la notifica della decisione, ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso, può essere indifferentemente effettuata all’Agenzia presso la sua sede centrale ovvero presso il suo ufficio periferico; inoltre, che il ricorso per Cassazione può essere proposto anche nei confronti dell’ufficio periferico dell’Agenzia (che è subentrata all’ufficio periferico del Ministero dell’Economia e delle Finanze e ne esercita, in via esclusiva, i poteri, curando il relativo contenzioso) e, ovviamente, ad esso notificato”;

pertanto, avendo parte ricorrente correttamente notificato il ricorso all’ufficio locale dell’amministrazione doganale, non può assumere valenza la tesi della controricorrente che, nella fattispecie, vi sarebbe un vizio di notifica che giustificherebbe la costituzione tardiva;

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per violazione del principio comunitario del contraddittorio preventivo. In via subordinata, ha chiesto la disapplicazione delle norme in esame, e, in via ulteriormente subordinata, ha prospettato questione di illegittimità costituzionale delle relative disposizioni;

in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice di appello, pronunciando in merito alla domanda di appello relativa alla illegittimità della pretesa per violazione del principio del contraddittorio preventivo ai fini dell’adozione dell’atto di accertamento in rettifica dell’imposta doganale, ha ritenuto che il termine di cui allo Statuto del contribuente, art. 12, non avesse natura perentoria e, inoltre, che la decisione della Corte di giustizia n. 349-07 del 18 dicembre 2008 non avesse efficacia retroattiva, mentre entrambi gli argomenti sarebbero contrari a legge, sicchè il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere la violazione del principio del contraddittorio, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato;

gli argomenti esposti non sono decisivi, potendosi fare applicazione della previsione di cui all’art. 384 c.p.c., comma 4, con conseguente infondatezza del motivo in esame;

rileva, infatti, ai fini della valutazione della fondatezza del presente motivo, la circostanza che il giudice del gravame ha, comunque, ritenuto che nella fattispecie non sussisteva violazione del principio del contraddittorio preventivo;

sul punto, va osservato che questa Suprema Corte (Cass. civ., Sez. Sesta, 23 maggio 2018, n. 12832) ha ribadito l’orientamento secondo cui, relativamente agli avvisi di rettifica in materia doganale precedenti alla entrata in vigore del D.Lgs. 24 gennaio 2012, n. 1 (art. 92, comma 1), convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha introdotto al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, il comma 4-bis, non trova applicazione la L. 20 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, (Cass. n. 8399/13; Cass. nn. 10070/14, 9799/14, 9800/14, 9801, 9802/14,9803/14,10070/14,15032/14,15033/14, 15034/14, 15035/14,15036/14,15037/14,2592/14,25973/14, 25074/14, 25975/14);

più in particolare, va precisato che la norma dello Statuto del contribuente che si assume violata, ed in ordine alla quale viene richiesto il sindacato di legittimità, è invocata a torto, in quanto la disciplina procedimentale in essa contenuta non trova, comunque, applicazione al procedimento di revisione doganale in esame che è regolato da uno “jus speciale”: invero, il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, nel testo vigente “ratione temporis”, prevedeva infatti che, quando dalla revisione eseguita d’ufficio dell’accertamento divenuto definitivo – ancorchè le merci che hanno formato l’oggetto siano state lasciate alla libera disponibilità dell’operatore o siano già uscite dal territorio doganale – emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato notificando apposito avviso” di rettifica motivato (commi 1, 5 e 6). Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica ed in tal caso viene redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dal TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 66 e ss.”;

in considerazione del suddetto quadro normativo, i procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, posto che il procedimento amministrativo in questione è preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente è posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica;

va, infatti, precisato che il sistema del TU n. 43 del 1973, cui rinviava il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, l’art. 117 realizzava, attraverso il procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio pieno, che, solo in seguito, è venuta ad essere sostituita da una diversa modalità di assicurazione della garanzia del contraddittorio “…ma soltanto a far data dalla entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (art. 92, comma 1) convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha introdotto al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, il comma 4-bis” – intervento normativo successivamente completato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 12, conv. dalla L. 26 aprile 2012, n. 44 (recante “disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficienza e potenziamento delle procedure di accertamento”) con l’abrogazione del comma 7 e parzialmente del comma 6 del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e la conseguente eliminazione del sistema dei ricorsi amministrativi contenziosi in materia doganale;

nè può valere la considerazione espressa dalla ricorrente secondo cui il procedimento amministrativo in esame non assolverebbe alla finalità di garantire il contraddittorio, in quanto presuppone che il provvedimento impositivo sia stato già adottato, mentre le scopo del contraddittorio preventivo sarebbe quello di evitare proprio la sua adozione;

a tal proposito si osserva che i procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, atteso che: a) il TU n. 43 del 1973, art. 66, prevede che l’operatore presenti ricorso gerarchico avverso l’avviso di rettifica “producendo i documenti ed indicando i mezzi di prova ritenuti utili”; b) dal combinato disposto del TU n. 43 del 1973, art. 70, u.c. e art. 76, comma 1, emerge che solo all’esito dell’indicato procedimento amministrativo contenzioso nel caso di decisione parzialmente o totalmente sfavorevole al ricorrente gerarchico – si determina la “definitività” dell’avviso di accertamento in rettifica ed il contribuente è legittimato ad esperire il ricorso giurisdizionale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, avverso l’atto impositivo. Sicchè il procedimento amministrativo in questione, è preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica;

nè sussiste, come invece sostenuto dalla ricorrente, una violazione dei principi unionali in materia di contraddittorio preventivo, con conseguente disapplicazione delle norme in esame, in quanto l’orientamento giurisprudenziale sopra indicato è in linea con i suddetti principi;

la Corte di giustizia, sez. 5, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics, dopo avere ricordato che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante (sentenze n. C-349/07 Sopropè, punti 33 e 36, nonchè sentenza n. C-277/11, M.M., punti 81 e 82), ha ricordato che, quando il diritto dell’Unione non fissa nè le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa nè le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purchè i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v. Corte giust., G. e R., punto 35, nonchè giurisprudenza ivi citata). Siffatta soluzione è applicabile alla materia doganale nella misura in cui l’art. 245 codice doganale rinvia espressamente al diritto nazionale, precisando che “le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri”, fermo restando che gli Stati membri possono legittimamente consentire l’esercizio dei diritti della difesa secondo le stesse modalità previste per la disciplina delle situazioni interne purchè esse siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, non compromettere l’effetto utile del codice doganale (sentenza G. e R.,cit., punto 36);

inoltre, la Corte, con la successiva sentenza resa in data 20.12.2017 nella causa C-276/16, Preqù, ha quindi precisato che le disposizioni del diritto dell’Unione, come quelle del codice doganale, devono essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali e che le disposizioni nazionali di attuazione delle condizioni previste all’art. 244 codice doganale, comma 2, per la concessione di una sospensione dell’esecuzione devono, in mancanza di una previa audizione, garantire che tali condizioni non siano applicate o interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C129/13 e C-130/13, EU:C:2014:2041, punti 69 e 70). Secondo la Corte UE, se il destinatario di avvisi di rettifica dell’accertamento come quelli di cui trattasi nel procedimento principale ha la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione di detti atti fino alla loro eventuale riforma e se il giudice nazionale verifica che nell’ambito del procedimento amministrativo, le condizioni di cui all’art. 244 codice doganale non sono applicate in modo restrittivo, non può ritenersi pregiudicato il rispetto dei diritti della difesa del destinatario degli avvisi di rettifica dell’accertamento;

in definitiva, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando al regolamento (CEE) n. 2913/92, art. 244, del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione di detto regolamento, art. 244, comma 2, da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato;

la Corte UE (con la medesima pronuncia 20.12.2017 nella causa C276/16, Preqù, cit.) ha, infine, tenuto a rimarcare che l’obbligo incombente sul giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione non ha sempre come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata, laddove quest’ultima sia stata adottata in violazione dei diritti della difesa. Ed infatti, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere ascoltati, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso;

le deduzioni di parte ricorrente, a tal proposito, si limitano a sostenere, in generale, la violazione del diritto al contraddittorio, senza, tuttavia, prospettare alcuna concreta lesione del proprio diritto di difesa;

pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non può ritenersi che, nel caso di specie, vi sia stata violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale e la pronuncia del giudice di appello, che ha ritenuto tutelato il diritto della contribuente al contraddittorio preventivo è, quindi, in linea con l’orientamento giurisprudenziale interno e unionale;

nè, infine, sussistono i presupposti per sollevare questione di costituzionalità delle norme in esame, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto, come detto, il particolare procedimento di ricorso amministrativo, previsto dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, tutela il diritto al contraddittorio del contribuente e, quindi, il diritto di difesa del medesimo;

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del Reg. Cee n. 2913 del 1992, art. 220, par. 2, lett. b);

in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha ritenuto non sussistenti, nella fattispecie, i presupposti configurati dal Reg. cit., art. 220, par. 2, lett. b), posto che, invece, vi era un errore attivo dell’autorità che aveva emesso il certificato di origine e la buona fede della contribuente, avendo questa svolto con diligenza quanto ad essa esigibile in relazione all’importazione della merce in esame;

il motivo è infondato;

il giudice di appello ha ritenuto che non poteva darsi luogo all’esimente di cui alla previsione normativa sopra citata in quanto non sussisteva un errore attivo delle autorità competenti, non potendo questo essere configurato quando sia accertato che l’attestazione d’origine rilasciata dall’autorità del paese di esportazione è falsa in quanto fondata sulle dichiarazioni non veritiere dell’esportatore;

a tal proposito si osserva che le Autorità doganali devono procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, a meno che sussistano contemporaneamente tutte le condizioni poste dal Regolamento CEE n. 2913/1992, art. 220, n. 2, lett. b), del Consiglio del 12 ottobre 1992;

in particolare, detto errore non può consistere nella mera ricezione di dichiarazioni inesatte dell’esportatore, dato che l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo, perchè il legittimo affidamento del debitore è protetto solo se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la sua fiducia, mentre la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (Cass. civ., n. 4022/2012);

di conseguenza all’Autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di dare dimostrazione delle irregolarità delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza necessità di alcun procedimento intermedio che convalidi la non autenticità, provvedendo gli stessi organi dell’esecutivo comunitario a fornire tramite le disposte commissioni di inchiesta le conclusioni cui debbono attenersi le Autorità nazionali (Cass. civ., n. 13680/2009); sotto tale profilo, parte ricorrente si limita ad affermare (pag. 22 e 23 del ricorso) che l’autorità dello stato esportatore che aveva rilasciato il certificato di origine, avendo affermato lo stato di produttore malese di fiocco di poliestere della società esportatrice, all’esito dell’istruttoria compiuta, si trovava a conoscenza o comunque nelle condizioni di conoscere la diversa origine della merce, sicchè sarebbe configurabile un errore attivo della medesima autorità;

la circostanza evidenziata è priva di pregio, in quanto la sentenza censurata ha precisato che il rilascio del certificato di origine era stato rilasciato sulla base delle dichiarazioni dell’esportatore, sicchè, rispetto a tale punto motivazionale, nessun elemento concreto viene prospettato col presente motivo che possa, invece, indurre a ritenere che l’autorità estera fosse a conoscenza della diversa provenienza della merce;

d’altro lato, nessuna rilevanza può avere la considerazione espressa dalla ricorrente in ordine alla propria buona fede, in quanto secondo questa Corte (Cass. civ. 23 novembre 2011, n. 24675) “è irrilevante lo stato soggettivo di consapevolezza della irregolarità della introduzione della merce in capo all’importatore, in considerazione dell’obbligo che grava su quest’ultimo di vigilare “sull’esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione dall’esportatore, al fine di evitare abusi”;

il suddetto principio, peraltro, trova conferma nella giurisprudenziale unionale, che ha affermato che: “il debitore non può nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati EUR 1 per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri dalla autorità doganale di uno Stato membro dato che le operazioni effettuate da detti uffici nell’ambito dell’accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all’esercizio di controlli successivi” (Corte giustizia, 9 marzo 2006, C-293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV, richiamata da Corte di giustizia, 8 novembre 2012, C438/11, Lagura, in riferimento ai certificati FORM A, documenti giustificativi utili a fruire delle preferenze generalizzate unilateralmente concesse dalla UE);

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5-bis e alla L. n. 212 del 2000, art. 7, per difetto di motivazione, per avere erroneamente affermato che il verbale OLAF era stato allegato all’avviso di accertamento, e, di conseguenza, contraddittoriamente affermato che l’atto era motivato;

il motivo è inammissibile;

in primo luogo, va osservato che il ricorso prospetta un vizio di motivazione della sentenza, ma non correttamente è stato proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che attiene, invece, ai vizi della sentenza per error in procedendo;

in secondo luogo, valutando il motivo in esame come censura per vizio motivazionale, parte ricorrente si limita a censurare la sentenza per avere affermato che il rapporto OLAF era allegato al ricorso, affermando genericamente, incorrendo in tal modo nel vizio di difetto di autosufficienza del motivo, che invece il rapporto era stato prodotto solo in udienza in sede di costituzione in primo grado da parte dell’ufficio doganale;

4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., per violazione dell’art. 2697 c.c., per avere erroneamente ritenuto che, in base alle risultanze del rapporto OLAF, sussisteva la prova della origine cinese della merce;

il motivo è inammissibile;

con il motivo in esame, formulato come vizio della sentenza per violazione di legge, in realtà parte ricorrente intende, anche in questo caso, proporre una ragione di censura che attiene, in realtà, alla motivazione della sentenza, senza tuttavia specificare, in difetto del principio di autosufficienza, quali elementi decisivi per la controversia non sono stati tenuti in considerazione dal giudice del gravame ai fini della valutazione della sussistenza della prova della legittimità della pretesa;

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per vizio di ultrapetizione;

in particolare, parte ricorrente lamenta che il riferimento all’art. 10 CDC, considerato dal giudice di primo grado ai fini della decisione non trovava fondamento in alcun modo nell’avviso di accertamento notificato;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, in realtà, non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia impugnata sulla questione in esame, cioè la ritenuta irrilevanza della questione, in quanto, comunque, era decisiva la circostanza che era stata comunque fornita la prova del fatto che in Malesia non era avvenuta alcuna lavorazione;

con il motivo in esame parte ricorrente ripropone la questione, senza alcuna specifica censura, invece, del passaggio motivazionale sopra indicato che, come detto, aveva ritenuto comunque irrilevante la questione;

6. Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del TULD, art. 303 e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia;

in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto che l’art. 303 TULD, nel prevedere che si applica la sanzione amministrativa pecuniaria nel caso in cui le dichiarazioni relative alla qualità, quantità e valore delle merci destinate alla importazione definitiva non corrispondono all’accertamento, possa trovare applicazione anche in caso di falsità del certificato di importazione;

secondo parte ricorrente, la previsione in esame si limita a sanzionare solo la non corrispondenza al vero della qualità, quantità e valore della merce, sicchè l’applicazione anche all’ipotesi in esame, in cui la pretesa si è fondata sulla falsità del certificato d’origine, comporterebbe una inammissibile applicazione analogica della medesima e violazione del principio, interno e internazionale, di legalità delle sanzioni tributarie; inoltre, la stessa evidenzia che la nozione di origine della merce ha significato diverso da quello di qualità delle medesime, sicchè non può, in via interpretativa, il primo essere ricondotto all’interno del secondo, anche tenuto conto del fatto che, a livello di normativa doganale, i due termini sono considerati in modo distinto e autonomo, sia sul piano logico giuridico che sistematico normativo, per cui non potrebbe essere utilizzata una interpretazione della nozione di qualità della merce desumibile dal codice civile, stante, appunto, l’autonomia del termine nell’ambito della normativa doganale che lo configura con caratteri di specialità;

il motivo è infondato;

va osservato, in primo luogo, che parte ricorrente, seppure ha rubricato il presente motivo di ricorso anche in relazione al vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non risulta avere espresso, nel contesto del motivo in esame, alcuna ragione di censura relativa al vizio motivazionale prospettato;

quindi, con riferimento al vizio di violazione di legge proposto, va precisato che questa Corte ha affermato che i termini adoperati dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 303, comma 1, (qualità, quantità, valore) costituiscono una esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione e specificamente considerato ai fini del pagamento del dazio e sottointendono la relazione di necessaria corrispondenza sostanziale che deve sussistere tra l’oggetto della dichiarazione doganale e l’oggetto dell’accertamento; poichè nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, vi rientra anche l’origine (o la provenienza), in quanto elemento sintomatico delle specificità del prodotto; si è, in particolare precisato che il TULD, art. 303, comma 1, punisce anche la dichiarazione non veritiera sull’origine delle merci, poichè l’origine è elemento distintivo della qualità, coperto dall’interpretazione estensiva (non analogica) della norma sanzionatoria (Cass. civ. Sez. Quinta, 21 aprile 2017, n. 10118; Cass. Cass. civ., Sez. Quinta, 20 gennaio 2017, n. 1541; Cass. civ., 27 luglio 2012, n. 13489; Cass. civ., 3 agosto 2012, n. 14030; Cass. civ., 3 agosto 2012, n. 14042; Cass. civ., 14 febbraio 2014, n. 3467; Cass. civ., 29 luglio 2016, n. 15872);

tale soluzione, del resto, è coerente con gli orientamenti della Corte di Giustizia, secondo la quale nella materia doganale “la finalità del controllo a posteriori è di verificare l’esattezza dell’origine indicata nel certificato”, che costituisce elemento costitutivo del diritto (sentenza 15 dicembre 2011, in C-409/10, p. 43 e ss.; sentenza 9 marzo 2006, in C-293/04, p. 32);

7. Infine, va esaminata la richiesta, formulata in sede di memoria dalla ricorrente, di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della questione se la normativa interna sia in contrasto con il principio generale del contraddittorio laddove non prevede, quando il contribuente non è stato previamente ascoltato prima dell’adozione dell’avviso di rettifica, il diritto alla sospensione automatica dell’atto in caso di presentazione del ricorso in via amministrativa, prevedendosi, invece, che la sospensione può essere consentita solo a seguito della prestazione di una garanzia;

la stessa non può trovare accoglimento;

il ragionamento della contribuent1si fonda sulla considerazione che la effettività della tutela del diritto di difesa del contribuente esige che la sospensione dell’esecutività della pretesa impositiva non sia subordinata alla prestazione di una garanzia, in quanto la stessa, prevista dall’art. 244 CDC, può essere configurata solo nel caso in cui sia stato preventivamente instaurato il contraddittorio, sicchè, nel caso di omesso preventivo contraddittorio, la previsione di una necessaria garanzia al fine di ottenere la sospensione dell’esecutività dell’atto, in quanto onerosa, costituirebbe violazione del principio di effettività del diritto di difesa;

in realtà, la Corte di giustizia, con la pronuncia n. 276/16 causa C276/16 Preqù’ Italia, ha esaminato la questione prospettata della possibilità di ottenere, nell’ambito del procedimento amministrativo relativo alla definizione di una controversia in materia doganale, la sospensione dell’esecuzione degli avvisi di accertamento, ed ha precisato che:

– Il rispetto dei diritti della difesa (di cui il diritto al contraddittorio preventivo costituisce parte integrante) è un principio fondamentale dell’Unione;

– Il suddetto principio non si configura come una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale la ledere la sostanza stessa dei diritti garantiti;

– l’interesse generale dell’Unione al recupero tempestivo delle entrate proprie impone che i controlli possano essere realizzati prontamente ed efficacemente, come nel caso delle decisioni delle autorità doganali;

– in caso di mancanza di audizione prima dell’adozione di una pretesa impositiva, la proposizione di un ricorso amministrativo avverso il medesimo non dovrebbe necessariamente avere l’effetto di sospendere automaticamente l’esecuzione al fine di garantire il rispetto del diritto ad essere ascoltati, mentre, d’altro lato, occorre che il procedimento nazionale di ricorso amministrativo avverso gli atti emessi dall’autorità doganale garantisca la piena efficacia del diritto dell’Unione e, in particolare, dell’art. 244 CDC;

– è in ragione dell’interesse generale dell’Unione al recupero tempestivo delle entrate proprie che l’art. 244, comma secondo, CDC prevede che la presentazione di un ricorso contro l’avviso di accertamento ha l’effetto di sospendere l’esecuzione dell’intimazione solo a determinate condizioni, cioè quando vi sia motivo di dubitare della conformità della decisione alla normativa doganale o vi sia pericolo di un danno irreparabile per l’interessato e che, conseguentemente, le disposizioni nazionali di attuazione delle condizioni di cui all’art. 244 CDC, comma 2, devono, in caso di mancata audizione, garantire che le stesse siano applicate o interpretate restrittivamente;

non è pregiudicato il rispetto del diritto di difesa del destinatario dell’avviso di rettifica quanto il contribuente ha la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione fino all’eventuale riforma e le condizioni di cui all’art. 244 CDC non sono applicate in modo restrittivo, profilo che spetta al giudice nazionale valutare;

in definitiva, secondo la suddetta pronuncia, nel caso di mancata audizione del contribuente prima dell’adozione dell’atto impositivo, la possibilità di attivare il ricorso amministrativo tutela il diritto al contraddittorio del contribuente, così come la circostanza che sia prevista la possibilità di ottenere la sospensione;

il riferimento alla non applicazione restrittiva delle condizioni di cui all’art. 244 CDC, cui parte ricorrente fa richiamo a sostegno della proprio tesi difensiva, si riferisce a quelle contenute al secondo comma del medesimo articolo, cioè alla valutazione della conformità della decisione alla normativa doganale o vi sia pericolo di un danno irreparabile per l’interessato, in quanto criteri di valutazione che possono prestarsi a diverse interpretazioni e, quindi, vanno applicate dal giudice nazionale in coerenza con la necessità di assicurare un diritto di difesa effettivo;

il medesimo art. 244 CDC, al comma 3, prevede dei limiti alla stessa possibilità di disporre la sospensione dell’esecutività dell’atto in sede di ricorso amministrativo, in linea con l’esigenza generale dell’Unione al recupero tempestivo delle entrate proprie, ed è quindi tale previsione, di origine unionale, che trova applicazione, anche nel caso in cui non si è provveduto alla previa audizione dell’interessato, atteso che, secondo quanto sopra riportato, la possibilità di attivare il ricorso amministrativo tutela il diritto al contraddittorio del contribuente, così come la circostanza che sia prevista la possibilità di ottenere la sospensione; non sussistono pertanto ragioni per prospettare la questione pregiudiziale prospettata dalle(contribuente, posto che dalla stessa pronuncia richiamata si evincono elementi chiari per l’irrilevanza della questione;

8. In conclusione, va dichiarata tardiva la costituzione di parte controricorrente, infondati il primo, secondo e sesto motivo di ricorso, inammissibili il terzo, quarto e quinto, con rigetto del ricorso.

Nulla sulle spese, attesa la tardività della costituzione della controricorrente.

PQM

La Corte:

dichiara infondati il primo, secondo e sesto motivo di ricorso, inammissibili il terzo, quarto e quinto, con rigetto del ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma delle stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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