Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21768 del 28/08/2019

Cassazione civile sez. III, 28/08/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 28/08/2019), n.21768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22736/2017 proposto da:

A.S., A.G., domiciliati ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati ANTONIO RUSSO, MARIALUCIA DI PAOLO;

– ricorrenti –

contro

P.G., F.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 426/2017 della CORTE D’APPELLO d± FIRENZE,

depositata il 28/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società F.lli A. s.n.c. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze P.G. e F.S.. La domanda venne rigettata con sentenza n. 2686/11 e la società attrice, soccombente, venne condannata alle spese in favore dei convenuti vittoriosi.

Quella sentenza passò in giudicato.

2. Le due parti vittoriose, in forza della suddetta sentenza di condanna, iniziarono l’esecuzione forzata nei confronti della società, con esito infruttuoso.

P.G. e F.S. chiesero allora ed ottennero dal Tribunale di Firenze un decreto ingiuntivo nei confronti dei due soci della F.lli A. s.n.c., e cioè A.S. e A.G..

Oggetto del ricorso monitorio e del conseguente decreto fu il pagamento delle stesse spese giudiziali che la F.lli A. era stata condannata a rifondere a P.G. e F.S. con la sentenza 2686/11 del Tribunale di Firenze.

3. A.S. e A.G. proposero opposizione al suddetto decreto, deducendo che:

-) il ricorso monitorio era inammissibile per carenza d’interesse ex art. 100 c.p.c., poichè la condanna pronunciata nei confronti della società era titolo per agire in executivis ed iscrivere ipoteca anche nei confronti dei soci;

-) le spese del ricorso monitorio dovevano restare a carico dei ricorrenti, perchè gli opponenti debitori non vi avevano dato causa.

4. Il Tribunale di Firenze, con sentenza i cui estremi non sono indicati nè nel ricorso, nè nella decisione d’appello, rigettò l’opposizione e condannò gli opponenti alle spese e ai danni ex art. 96 c.p.c..

Ritenne il Tribunale che i due intimanti avessero interesse a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti dei soci della F.lli A. s.n.c., “per ovviare ad un probabile rifiuto del conservatore di iscrivere ipoteca sui beni dei soci” sulla base del titolo esecutivo pronunciato nei confronti della sola società.

5. La Corte d’appello di Firenze, adita dai soccombenti, con sentenza

28.2.2017 n. 426 accolse in parte il gravame.

Ritenne il Giudice di secondo grado che:

-) l’azione monitoria era sorretta da giuridico interesse, rappresentato dall’obiettivo di ottenere un titolo esecutivo che consentisse di iscrivere ipoteca sui beni dei soci, dal momento che “non è consentito iscrivere ipoteca sui beni dei soci, sulla base di una sentenza pronunciata contro la società”;

-) la responsabilità degli opponenti ex art. 96 c.p.c., non sussisteva;

-) andavano compensate per metà le spese di tutti e due i gradi, e posta l’altra metà a carico dei due A..

6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da A.S. e A.G., con ricorso fondato su due motivi.

Gli intimati non si sono difesi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2291,2808,2829 c.c.; art. 447 c.p.c..

Sostengono che il creditore di una società in nome collettivo, già munito di un titolo esecutivo nei confronti di quest’ultima, non abbia interesse ex art. 100 c.p.c., a chiedere un decreto ingiuntivo nei confronti dei soci.

Osservano i ricorrenti che il titolo esecutivo ottenuto nei confronti d’una società in nome collettivo legittima il creditore sia ad iscrivere ipoteca sui beni dei soci, sia ad iniziare l’esecuzione nei loro confronti, e che di conseguenza nessun ulteriore vantaggio ritrarrebbe il creditore dall’acquisizione di un ulteriore titolo esecutivo.

1.2. Il motivo è infondato poichè non esiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto di duplicazione dei titoli esecutivi; nè, quand’anche esistesse, quel divieto sarebbe applicabile nel caso di specie.

I p.p. che seguono saranno dedicati separatamente all’esposizione di questi due principi.

1.3. (A) Sul divieto di duplicazione dei titoli esecutivi.

Che nel nostro ordinamento non esista un divieto assoluto, per il creditore, di munirsi di più titoli esecutivi per la stessa ragion di credito, e sinanche nei confronti del medesimo creditore, è principio che da tempo si è venuto consolidando nella giurisprudenza di questa Corte ed in quella della Corte costituzionale.

1.4. Il problema si pose, già molti anni fa, nell’ipotesi in cui il creditore munito di titolo esecutivo stragiudiziale, invece di iniziare l’esecuzione sulla base di questo, avesse preferito domandare un decreto ingiuntivo, allegando il titolo stragiudiziale quale prova scritta del proprio credito.

Chiamata a stabilire se ciò fosse consentito, questa Corte rispose affermativamente, sul presupposto che il decreto ingiuntivo era in grado di offrire al creditore una tutela maggiore e più stabile di quella offerta dal titolo stragiudiziale, ed in particolare l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (Sez. 1, Sentenza n. 1467 del 03/05/1969, Rv. 340269 – 01).

Tale principio, da allora, è stato costantemente ribadito ed ampliato ad altre ipotesi.

Si è ammesso, ad esempio, che il consulente tecnico d’ufficio, già in possesso del decreto di liquidazione dei compensi pronunciato dal giudice che l’aveva nominato, possa sulla base di quel provvedimento chiedere un decreto ingiuntivo, in quanto l’azione monitoria è “diretta a far valere una situazione giuridica che non ha trovato esaustiva tutela, suscettibile di conseguimento di un risultato ulteriore rispetto alla lesione denunziata” (Sez. 2, Sentenza n. 15084 del 30/06/2006, Rv. 590865 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 14737 del 26/06/2006, Rv. 590457 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 13518 del 21/07/2004, Rv. 576445 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10911 del 25/07/2002, Rv. 556188 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 135 del 05/01/2001, Rv. 542974 – 01).

Allo stesso modo, si è ammesso che il creditore munito di titolo esecutivo stragiudiziale, e che abbia già iscritto ipoteca volontaria a garanzia del proprio diritto non perde l’interesse ad agire in via monitoria: sia perchè l’ipoteca giudiziale iscritta a seguito dell’emissione del decreto ingiuntivo potrebbe riguardare anche ulteriori beni del debitore, diversi da quelli su cui è stata

originariamente iscritta l’ipoteca volontari ed acquisiti successivamente, sia perchè la stabilità tipica dell’accertamento giudiziale assicura alla successiva esecuzione coattiva basi più solide, restringendo i margini di errore e di possibile opposizione da parte del debitore (Sez. 1, Sentenza n. 23083 del 10/10/2013, Rv. 628184-01).

1.5. Quando, invece, è stato da questa Corte negato l’interesse del creditore a dotarsi di un secondo titolo esecutivo, ciò si è fatto non in ossequio ad un supposto divieto di duplicazione dei titoli esecutivi, ma in base a principi ben diversi: ora affermando che, consumata l’azione con la formazione di un titolo esecutivo giudiziale, la medesima azione non poteva essere riproposta per conseguirne un secondo (Sez. L, Sentenza n. 873 del 28/03/1974, Rv. 368768 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6525 del 16/07/1997, Rv. 506051 – 01); ora, invece, negando l’interesse ex art. 100 c.p.c., del creditore titolato ad agire per conseguire un secondo titolo esecutivo, quando quest’ultimo nessuna maggiore garanzia, tutela o vantaggio avrebbe offerto rispetto al primo (Sez. 2, Sentenza n. 1298 del 08/09/1970, Rv. 347002 – 01, con riferimento all’ipotesi della domanda di condanna specifica proposta dopo che il creditore aveva già ottenuto una condanna generica, provvisoriamente esecutiva; nonchè Sez. 1, Sentenza n. 18248 del 10/09/2004, Rv. 576964 – 01, la quale ha ritenuto improponibile, per difetto di interesse ad agire, la domanda di condanna all’adempimento del credito derivante dall’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione consensuale, sul presupposto che il relativo decreto di omologazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 1988, costituiva di per sè un titolo esecutivo in forza del quale era possibile iscrivere ipoteca giudiziale).

1.6. I principi fissati da questa Corte già negli anni Sessanta del secolo scorso, e ricordati nei due paragrafi che precedono, vennero condivisi dalla Corte costituzionale nella sentenza 31.12.1986 n. 303.

In quel caso la Consulta era chiamata a pronunciarsi sulla conformità a Costituzione dell’art. 641 c.p.c., comma 3, nel testo risultante dalle modifiche apportate della L. 10 maggio 1976, n. 385, art. 2, il quale stabiliva: “nel decreto (ingiuntivo), eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni, il giudice liquida le spese e le competenze e ne ingiunge il pagamento”.

La Corte costituzionale ritenne costituzionalmente illegittimo il complemento di limitazione “eccetto per quello emesso sulla base di titoli che hanno già efficacia esecutiva secondo le vigenti disposizioni”. Condividendo i dubbi del giudice rimettente, affermò in quel caso la Consulta che sarebbe irrazionale accordare al creditore, se già munito di titolo esecutivo, la possibilità di ottenere la condanna del debitore alle spese se decidesse di dotarsi di un secondo titolo giudiziale introducendo un ordinario giudizio di cognizione; e negargliela invece se, essendo già munito di un titolo esecutivo, decidesse di dotarsi di un ulteriore titolo giudiziale depositando un ricorso per decreto ingiuntivo.

Tale decisione conferma, dunque, che anche nel giudizio della Corte costituzionale non è affatto inibito al creditore già in possesso di un titolo esecutivo procurarsene un secondo.

1.7. Che al creditore titolato sia, sempre e comunque, inibito munirsi di un ulteriore titolo esecutivo, è principio poi non sostenibile anche dal punto di vista dogmatico.

E’ noto che la dottrina, chiamata a fornire una definizione del “titolo esecutivo” dal punto di vista della struttura e della funzione, si è divisa da cent’anni, ed è tuttora divisa: taluni ravvisando l’elemento unificante dei vari titoli esecutivi nel loro contenuto di “accertamento”; altri nella loro qualità di “prova legale”; altri ancora nella loro funzione di “semplificazione della fattispecie”, intesa a separare il comando precettivo (scilicet, l’efficacia esecutiva) dall’accertamento dei suoi presupposti, in ossequio al principio ab executione non est inchoandum; altri ancora hanno addirittura negato che il “titolo esecutivo” sia un fenotipo unitario.

Quale, tuttavia, che fosse l’opinione cui si volesse aderire a tal riguardo, nessuna delle soluzioni offerte dalla dottrina sarebbe incompatibile con la duplicazione dei titoli: non la teoria dell’accertamento, ben potendo ipotizzarsi che l’accertamento d’una situazione giuridica possa formare oggetto di più negozi o più giudizi; non la teoria della prova legale, dal momento che la prova dei fatti giuridici non soffre mai limitazioni quantitative; e nemmeno la teoria della semplificazione della fattispecie, dal momento che proprio la totale cesura tra accertamento del diritto e titolo esecutivo, propugnata da tale orientamento, rende teoricamente inconcepibile qualsiasi accertamento del diritto in sede esecutiva, ed irrilevante per converso l’esistenza d’un (altro) titolo in sede di cognizione.

1.8. In conclusione, deve negarsi che esista un principio, generale ed assoluto, ostativo alla duplicazione dei titoli esecutivi (nel senso che “nulla vieti” tale duplicazione, da ultimo, si veda Sez. 5 -, Ordinanza n. 6526 del 16/03/2018, Rv. 647490 – 01).

Così, ad es., il creditore che abbia già una cambiale, può in teoria chiedere un decreto ingiuntivo adducendo la cambiale quale prova scritta del credito; il creditore che abbia stipulato un contratto per atto pubblico, può in teoria introdurre un ordinario giudizio di condanna del debitore adducendo quel contratto come prova.

La possibilità per il creditore titolato di munirsi di un secondo titolo esecutivo trova ostacolo non già nel (supposto) divieto di duplicazione dei titoli esecutivi, ma in tre limiti derivanti da altri ed espliciti principi dell’ordinamento, e cioè:

a) il principio di consumazione dell’azione ed il divieto del bis in idem, i quali impediscono al creditore di iniziare un secondo giudizio di accertamento dell’esistenza del medesimo credito già dedotto in giudizio;

b) il principio dell’interesse (art. 100 c.p.c.), che non consente l’introduzione di giudizi dai quali il creditore non possa trarre alcun vantaggio giuridico concreto;

c) il principio (desumibile dagli artt. 1175 e 1375 c.c.) che vieta l’abuso del diritto (Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009, Rv. 610223 – 01) e del processo (ex multis, Sez. U, Sentenza n. 9935 del 15/05/2015 (Rv. 635325 – 01).

Così, per restare in tema di ricorso monitorio, non potrà domandare un decreto ingiuntivo il creditore che abbia già ottenuto una sentenza od un altro decreto ingiuntivo per il medesimo titulus obligationis e nei confronti della medesima persona, perchè ha ormai consumato l’azione, e si tratterà dunque solo di stabilire se la sua domanda sia impedita da litispendenza o giudicato; non potrà farlo chi ha già un titolo che gli consenta l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni della medesima persona, perchè nessun vantaggio ulteriore ne trarrebbe; non potrà farlo chi, in considerazione delle specificità del caso concreto, risulti mosso unicamente da intenti emulativi, fraudolenti o vessatori.

Nel caso di specie, nessuno di questi limiti sussiste: non quello del giudicato, giacchè la sentenza posta da P.G. e F.S. a fondamento del ricorso monitorio venne pronunciata nei confronti della società F.lli A. s.n.c., ma non nei confronti dei suoi soci; non quello della carenza di interesse, perchè – lo si dirà meglio tra breve – la sentenza pronunciata nei confronti della società non consentiva ai creditori di iscrivere ipoteca giudiziale sui beni dei soci; non, infine, quello dell’abuso del diritto o del processo, mai dimostrato nel presente giudizio.

1.9. (B) Sulla inesistenza di duplicazioni di titoli nel caso di specie. I ricorrenti hanno molto insistito nel sostenere che colui il quale possieda un titolo esecutivo giudiziale nei confronti d’una società di persone possa metterlo in esecuzione nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.

Tale principio, tuttavia, non viene in rilievo nel presente giudizio. E’ esatto che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui “la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile (salvo, ovviamente, il beneficio d’escussione, che nel caso di specie non è invocato dagli odierni ricorrenti), in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio, salvo il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale” (Sez. 3, Sentenza n. 19946 del 06/10/2004, Rv. 577542 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 613 del 17/01/2003, Rv. 559807 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7353 del 08/08/1997, Rv. 506564 – 01).

Da ciò tuttavia non discende affatto, come vorrebbero i ricorrenti, che chi abbia un titolo esecutivo nei confronti della società non possa avere, sempre e comunque, interesse a munirsi d’un titolo anche nei confronti dei soci.

La questione oggi in esame non è infatti stabilire se il creditore titolato della società possa agire in executivis nei confronti del socio illimitatamente responsabile, il che come già detto è indiscutibile.

La nostra questione è ben diversa: e cioè lo stabilire se il creditore titolato della società possa avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo, questa volta nei confronti dei soci.

Ed a tale quesito va data risposta affermativa.

1.10. Il creditore sociale titolato, infatti, anche se può agire in executivis nei confronti del socio illimitatamente responsabile, non può iscrivere ipoteca sui beni del socio avvalendosi del titolo giudiziale ottenuto nei confronti della società (vedasi più oltre). Sicchè nel caso di specie i due creditori avevano interesse ex art. 100 c.p.c., a domandare un decreto ingiuntivo nei confronti dei due soci illimitatamente responsabili.

1.11. Che il creditore sociale, munito di titolo esecutivo nei confronti della società, non possa, sulla base di quel titolo, iscrivere ipoteca sui beni personali dei soci illimitatamente responsabili, è conclusione che si impone in base alle seguenti considerazioni:

(a) l’art. 2818 c.c., attribuisce alla sentenza la qualità di titolo per iscrivere ipoteca “sui beni del debitore”, e il “debitore” non può che essere la persona che ha partecipato al giudizio che quella sentenza ha concluso;

(b) se così non fosse, si perverrebbe a conseguenze paradossali in tutti i casi di obbligazionì garantite da terzi: così, ad esempio, la sentenza pronunciata nei confronti del debitore principale potrebbe essere utilizzata per iscrivere ipoteca sui beni del fideiussore; quella pronunciata nei confronti di un condebitore potrebbe essere utilizzata per iscrivere ipoteca sui beni del coobbligato, e via fantasticando;

(c) nulla rileva, in senso contrario, che il creditore sociale titolato possa agire esecutivamente nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, dal momento che l’ordinamento ammette in non poche ipotesi che un certo titolo esecutivo consenta l’esecuzione forzata, ma non l’iscrizione di ipoteca;

(d) i titoli che consentono l’iscrizione dell’ipoteca sono tassativi (artt. 2818-2820);

(e) l’art. 2939 c.c., comma 2, esige che l’iscrizione dell’ipoteca debba indicare “il debitore”, e questi non può che essere la persona a carico della quale fu pronunciata la condanna contenta nel titolo esecutivo.

1.12. Anche questi principi sono stati ripetutamente affermati da questa Corte, allorchè è stata chiamata ad affrontare il tema connesso a quello odierno – della possibilità per il creditore sociale, onerato dal beneficium excussionis, possa agire in sede di cognizione per ottenere un titolo nei confronti dei soci: e questa Corte ha ripetutamente ammesso tale possibilità proprio sul presupposto che l’art. 2304, pur inibendo al creditore sociale aggredire esecutivamente il patrimonio del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, non gli impedisce d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, “per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo” (Sez. 3 -, Ordinanza n. 25378 del 12/10/2018, Rv. 651164-01; Sez. 1, Sentenza n. 1040 del 16/01/2009, Rv. 606371-01; Sez. L, Sentenza n. 15713 del 12/08/2004, Rv. 576756-01; Sez. 3, Sentenza n. 15700 del 08/11/2002, Rv. 558341-01; Sez. 1, Sentenza n. 13183 del 26/11/1999, Rv. 531525-01; Sez. 1, Sentenza n. 5434 del 03/06/1998, Rv. 516037-01; Sez. L, Sentenza n. 7100 del 26/06/1993, Rv. 482938-01; Sez. 1, Sentenza n. 7582 del 23/12/1983, Rv. 432181-01).

Affermazione, quest’ultima, che ovviamente non avrebbe avuto senso alcuno se il creditore sociale avesse potuto iscrivere ipoteca sui beni del socio avvalendosi del titolo da lui ottenuto nei confronti della società.

1.13. Per completezza, è opportuno chiarire che non confliggono con le conclusioni sopra esposte i due precedenti di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 24746 del 21/11/2006, e Sez. 3, Sentenza n. 13547 del 13/06/2014) nei quali si è affermato che l’iscrizione dell’ipoteca legale avrebbe la natura di “atto esecutivo”: formula, quest’ultima, non del tutto felice, e talora richiamata da parte della giurisprudenza di merito per giustificare la possibilità di iscrivere ipoteca nei confronti del socio (illimitatamente responsabile), sulla base di un titolo formato nei confronti della società.

Questa lettura che è stata data della giurisprudenza di questa Corte è tuttavia frutto di un fraintendimento. I due precedenti sopra ricordati, infatti, si occupavano di problema tutt’affatto diverso rispetto al presente: e cioè lo stabilire se il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo potesse, anche d’ufficio, ordinare la cancellazione dell’ipoteca iscritta in base a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ma revocato con la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione.

Chiamata a risolvere tale quesito, questa Corte gli diede risposta affermativa, affermando essere l’iscrizione dell’ipoteca “mero atto esecutivo della concessione della clausola di provvisoria esecutività” del decreto.

Con tale affermazione, dunque, questa Corte non intese affatto affermare che quando il titolo formato nei confronti della società sia eseguibile nei confronti del socio, esso consenta per ciò solo altresì l’iscrizione di ipoteca sui beni di quest’ultimo.

Affermò, invece, un principio ben diverso, e cioè che l’iscrizione dell’ipoteca è atto consequenzìale alla concessione della clausola di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo: sicchè, caduta questa, cadrà di risulta anche quella, senza ulteriori accertamenti.

Se l’iscrizione dell’ipoteca fu detta dunque in passato “atto esecutivo”, quella fu una formula metonimica per indicare che si trattava di atto consequenziale alla clausola di provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, e non che costituisse atto dell’esecuzione forzata.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Il secondo motivo contiene due censure, l’una formulata in via subordinata al rigetto dell’altra.

Con la prima censura i ricorrenti sostengono che la Corte d’appello non avrebbe esaminato un motivo di gravame, e precisamente quello con cui essi avevano domandato che dalla condanna alle spese del primo grado fossero espunte quelle del procedimento monitorio, cui essi non avevano dato luogo.

Con la seconda censura deducono che, nell’ipotesi in cui il loro motivo d’appello concernente il capo di condanna relativo alle spese del decreto ingiuntivo fosse stato implicitamente rigettato, tale valutazione sarebbe illegittima, perchè il decreto ingiuntivo era stato chiesto non per inadempimento di essi ricorrenti, ma per autonoma iniziativa dei creditori a maggior garanzia del loro credito.

2.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di omessa pronuncia (prima censura) il motivo è infondato.

La Corte d’appello, infatti, ha statuito sulle spese del primo grado, così implicitamente decidendo sul relativo motivo d’appello.

2.3. Nella parte in cui prospetta il vizio di violazione di legge (seconda censura) il motivo è parimenti infondato.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, gli odierni ricorrenti avevano invocato l’inammissibilità della domanda monitoria, e rispetto a tale motivo di opposizione rimasero soccombenti: correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha regolato le spese in base al principio di cui all’art. 91 c.p.c..

3. Le spese.

3.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio degli intimati.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.G. e A.S., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2019

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