Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21768 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 20/10/2011), n.21768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. FERRUA Giuliana – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23757-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

GIOIELLERIA BARDELLI & C. SNC, in persona del legale

rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. MAZZINI N. 55

presso lo studio dell’avvocato MASTROSANTI ROBERTO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSEI ARNALDO, giusta delegato in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 31/2005 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 06/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato BARBARA TIDORE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto.

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dagli atti di causa risulta che nei confronti della Gioielleria Bardelli e C. s.n.c. era stato formato il 28 dicembre 1993 un processo verbale di constatazione. La società, avvalendosi delle disposizioni di cui al decreto L. n. 564 del 1994 convertito nella L. n. 565 del 1994, aveva presentato il 31.3.95 istanza di definizione di lite fiscale ai sensi dell’art. 2 quinquies che estendeva la possibilità di definizione anche alle liti non ancora instaurate ma suscettibili di insorgere per atti notificati entro il 31.12.94 , compresi i processi verbale di constatazione pur non ancora seguiti da atto di imposizione. Il comma 9 prevedeva che il pagamento delle somme previste per la definizione doveva in questo caso avvenire entro 30 giorni dalla notifica dell’accertamento in rettifica. Entro tale termine la società pagava il 10% dell’imposta.

La controversia nasce dal fatto che secondo l’amministrazione doveva essere pagata anche la somma – pari al 50% dell’imposta – di cui al citato art. 2 quinquies, comma 6 che richiama il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60. Questa tesi era respinta dalle Commissioni tributarie provinciale e regionale che hanno richiamato al riguardo le sentenze della cassazione 13831 del 2001 e 16772 del 2002. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate richiama invece cass. 7436 del 2003.

Sulla questione appare esservi contrasto di giurisprudenza, ma l’interpretazione più persuasiva è certamente quella indicata dalla sentenza n. 7436 del 14/05/2003 secondo cui “in tema di disciplina di definizione delle liti fiscali pendenti dettata dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 “quinquies” (convertito nella L. 30 novembre 1994, n. 656), e con particolare riguardo alla definizione delle liti che potessero insorgere per atti notificati entro il 31 dicembre 1994, la disposizione di cui al citato art. 2 “quinquies”, comma 6 – secondo la quale “restano comunque dovute le somme il cui pagamento è previsto dalle vigenti disposizioni di legge in ipotesi di pendenza di giudizio, anche se non ancora iscritte a ruolo o liquidate” – deve essere interpretata nel senso che sono comunque dovute dal contribuente le somme il cui pagamento è stabilito (nella fattispecie) dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60 in tema di IVA, ancorchè il contribuente stesso non avesse proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento in rettifica davanti agli organi del contenzioso tributario e dette somme, a seguito delle definizioni, sono riscosse a titolo definitivo”. La motivazione di tale pronunzia rileva sul piano letterale che la norma non introduce il riferimento all’ipotesi di pendenza di giudizio come condizione per la sussistenza dell’obbligazione del pagamento della somma in questione, ma soltanto come elemento per l’identificazione dell’obbligazione, avendo invece regolato già nel comma 1 le condizioni in presenza delle quali tali somme “restano comunque dovute”; e tali condizioni si riassumono nella definizione delle liti fiscali che “possono” insorgere per atti notificati entro la data del 31 dicembre 1994 (ancorchè il contribuente non abbia attualizzato la lite con la proposizione di un ricorso in opposizione). Di conseguenza, solo considerazioni logiche o sistematiche potrebbero giustificare una diversa interpretazione. Tuttavia, considerazioni di ordine logico – sistematico conducono piuttosto a confermare l’interpretazione letterale sopra enunciata. Infatti, la pendenza (ancorchè potenziale) della lite è il presupposto logico dell’applicazione della norma, ed essa comporta l’iscrivibilità a ruolo della somma in questione. La parificazione della condizione del contribuente che abbia ricevuto la notifica dell’avviso di rettifica a quella di chi abbia presentato ricorso in opposizione, ai fini dell’esercizio della facoltà di definire la lite, comporta la parificazione anche sotto il profilo degli oneri connessi. Non vi è, del resto, alcuna valida ragione a giustificazione del diverso trattamento che la legge riserverebbe a coloro che, in presenza di un accertamento notificato dall’Amministrazione, decidano di definire la lite fiscale potenziale, rispetto a coloro che si rivolgano prima agli organi del contenzioso tributario, o ad essi si fossero già rivolti prima dell’emanazione della disposizione legislativa di favore. Nè v’è motivo per ritenere più meritevoli di tutela coloro che decidano autonomamente di avvalersi della disposizione di favore già emanata, senza mettere in discussione la legittimità dell’accertamento, da coloro che abbiano inteso far valere davanti agli organi del contenzioso dei motivi di illegittimità dell’accertamento medesimo (e che, nella maggioranza dei casi, non avrebbero potuto difendere altrimenti le proprie ragioni, prima dell’emanazione del decreto).

L’unico elemento di discriminazione tra le due categorie di contribuenti, delle quali solo la seconda sarebbe soggetta D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 60 al pagamento aggiuntivo di un terzo della maggiore imposta accertata, è costituito, infatti, dall’avvenuta presentazione, nel secondo caso, di un’opposizione all’accertamento. Ora, questo elemento, che si risolve nell’esercizio del diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 Cost., non potrebbe giustificare da solo un trattamento sensibilmente deteriore. In senso conforme si sono successivamente espresse Cass. n. 14060 del 16/06/2006, Cass. n. 1452 del 25/01/2006, Cass. n. 24993 del 24/11/2006, Cass. n. 8585 del 12/04/2006, Cass. n. 556 del 13/01/2005.

Solo apparentemente discordante è Cass. n. 12789 del 29/05/2006, secondo cui “nel caso in cui l’istanza si riferisca ad un processo verbale di constatazione per il quale non sia stato ancora notificato atto di imposizione, il contribuente non è tenuto a versare anche le somme il cui pagamento, in pendenza del giudizio, è previsto, in materia di IVA, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60 la parificazione delle liti potenziali a quelle effettive, conseguente alla previsione della possibilità di definizione agevolata anche in riferimento ai verbali di constatazione, non suscettibili di autonoma impugnazione, non comporta infatti l’estensione a quest’ultima fattispecie dell’obbligo di corrispondere le somme il cui pagamento è previsto dalle vigenti disposizioni di legge in ipotesi di pendenza di giudizio, il quale è riferibile esclusivamente a situazioni nelle quali il contribuente ha impugnato (o avrebbe potuto impugnare) l’atto impositivo dinanzi al giudice tributario”. La pronunzia infatti fa salvo e conferma l’orientamento espresso dalle pronunzie fin qui richiamate per i casi in cui vi sia stata notifica dell’accertamento. Così è avvenuto nella specie qui in esame ed appare difficile immaginare che possa non accadere così dato che a norma del comma 9, “limitatamente alle liti fiscali che possono insorgere a seguito di processo verbale di constatazione di cui al comma 1, il pagamento deve essere effettuato entro 30 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento”. E comunque la sentenza è basata su una presunta diversità tra la situazione di chi abbia ricevuto solo la notifica del processo verbale di constatazione e chi abbia ricevuto anche la notifica del conseguente verbale di accertamento, diversità che non appare motivata sotto il profilo del suo collegamento alla ratio e alla lettera della norma e della sua idoneità a spiegare la soluzione interpretativa accolta dalla pronunzia in esame in difformità dall’orientamento giurisprudenziale prevalente.

Con riferimento alla sentenza n. 13831 del 08/11/2001 (conf. Cass. 25000 del 24/11/2006) secondo cui “la chiusura delle liti fiscali pendenti ai sensi del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 “quinquies” (aggiunto dalla Legge di Conversione 30 novembre 1994, n. 656) a seguito del pagamento, da parte del contribuente, di una somma correlata al valore della causa, provoca, nel concorso di condizioni ed adempimenti prestabiliti, l’estinzione del giudizio in conseguenza della cessazione della materia del contendere e, unitamente a tale effetto processuale, il venir meno di ogni ulteriore debito del contribuente; ne consegue che la proposizione normativa, contenuta nel comma 6 di tale disposizione, secondo cui “restano comunque dovute le somme il cui pagamento è previsto dalle vigenti disposizioni di legge in ipotesi di pendenza del giudizio, anche se non ancora iscritte a ruolo o liquidate”, riguarda esclusivamente i versamenti compiuti prima del condono, che restano fermi e non danno luogo ad alcuna restituzione, ma non giustifica l’ultrattività della pretesa tributaria, non essendo predicabile la sopravvivenza di un’obbligazione verso il fisco per un titolo ormai estinto e sostituito dalla definizione per condono” la pronunzia stessa appare chiaramente erronea in quanto la disposizione contiene due norme distinte, una che stabilisce la debenza e l’altra la irripetibilità.

Il primo motivo deve quindi essere accolto mentre è inammissibile il secondo in quanto denunzia vizio di motivazione con riferimento non ad un accertamento di fatto ma ad una statuizione interpretativa della legge.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese dei tre gradi.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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