Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21768 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 04/04/2017, dep.20/09/2017),  n. 21768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28869/2013 R.G. proposto da:

GEO CONSULT s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

Dott. F.A., rappresentata e difesa, per procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. Prof. Claudio Preziosi ed

elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 84/09/12, depositata il 13

marzo 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 aprile 2017

dal Cons. Dott. Lucio Luciotti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo motivo, assorbiti i restanti, in subordine,

il rigetto del ricorso.

udito l’Avv. Pietro Garofali, per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 84 del 13 marzo 2012 la Commissione Tributaria Regionale della Campania, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate, riformava integralmente la sentenza di primo grado che su ricorso della Geo Consult s.r.l. aveva annullato l’avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria, a seguito delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. a carico di altra società, aveva rettificato il reddito di impresa della società contribuente ai fini IVA, IRAP ed IRES relativamente all’anno di imposta 2004, disconoscendo i costi risultanti da quattro fatture emesse dalla ditta A.G. in relazione ad operazioni ritenute inesistenti.

1.1. Secondo i giudici di appello era del tutto irrilevante l’omessa allegazione all’avviso di accertamento del processo verbale di constatazione poichè l’atto impositivo non vi faceva alcun rinvio e dal medesimo, congruamente motivato, potevano evincersi le ragioni dell’inesistenza delle operazioni fatturate, che dovevano desumersi, non tanto dalla correzione apportata alla numerazione delle fatture, ma dal fatto che i lavori di importo considerevole (perchè pari ad Euro 360.000,00) non risultavano da alcun contratto scritto, nè vi erano riscontri di pagamenti, che era inverosimile che fossero stati effettuati per contanti, la cui disponibilità la società contribuente neppure aveva dimostrato di avere. Sostenevano, inoltre, che la società non aveva dimostrato di aver aderito al concordato preventivo.

2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione la società ricorrente sulla base di cinque motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di censura viene dedotta, sotto un primo profilo proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere i giudici di appello omesso di considerare pacifico perchè non contestato dall’Agenzia delle Entrate e, quindi, provato, il fatto dell’adesione di essa società contribuente al concordato preventivo di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003. Sotto un secondo profilo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del citato art. 33 per avere i giudici di appello legittimato l’accertamento tributario pur “in presenza del concordato preventivo” cui la ricorrente aveva aderito.

2. Con il secondo motivo viene dedotta, sotto un primo profilo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove i giudici di appello hanno omesso di spiegare le ragioni che li hanno indotti, da un lato, a ritenere che l’inesistenza delle operazioni descritte nelle quattro fatture oggetto di accertamento potesse ricavarsi solo ed esclusivamente dall’errata numerazione delle stesse, benchè l’avviso di accertamento facesse riferimento a dichiarazioni rilasciate alla G.d.F. dai legali rappresentanti delle società coinvolte nelle operazioni ritenute inesistenti (la ricorrente Geo Consult s.r.l. e la ditta A.G.), racchiuse in un p.v.c. mai comunicato o consegnato e neanche riportate nell’atto impositivo, e, dall’altro, a negare che l’avviso di accertamento vi facesse rinvio. Sotto un secondo profilo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla negata circostanza che l’avviso di accertamento facesse rinvio ad un processo verbale di constatazione, peraltro mai notificato o consegnato alla ricorrente, viene dedotta la violazione dell’art. 1362 c.c., art. 12 preleggi, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e L. n. 212 del 2000, art. 7.

3. Con il terzo motivo, viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’avviso di accertamento impugnato per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in quanto la motivazione dell’atto impositivo rinviava al contenuto di un processo verbale di constatazione redatto nei confronti di altro soggetto (ditta A.G.), mai notificato o consegnato alla ricorrente.

4. Con il quarto motivo viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione della sentenza impugnata laddove i giudici di appello non spiegano le ragioni per le quali la mera correzione della numerazione di una soltanto delle quattro fatture oggetto di verifica consentisse di far presumere l’insussistenza delle operazioni in esse descritte.

5. Con il quinto motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente, in relazione allo ius superveniens di cui alla nuova formulazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 44 del 2012, successiva alla pronuncia della CTR, sostiene che la mancata qualificazione delle operazioni fatturate come oggettivamente o soggettivamente inesistenti da parte dell’amministrazione finanziaria, impedisce alla ricorrente di beneficiare della deduzione dei costi, consentita dalla citata disposizione solo con riferimento ad operazioni soggettivamente inesistenti ed anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del loro carattere fraudolento.

6. E’ preliminare il rigetto dell’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso perchè notificato a mezzo posta dal difensore ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1, in quanto fondata sull’erroneo rilievo che il giudizio di cassazione in materia tributaria sia un rito speciale al pari di quelli di primo e secondo grado, mentre è pacifico che “il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, non ha connotazioni di specialità” (Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), e quindi è sottoposto alle regole del rito ordinario “in materia civile”, secondo l’espressione usata dalla disposizione in esame.

7. Venendo ai motivi di ricorso, ritiene il Collegio che, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost.(Cass., Sez. un. n. 9936 del 2014 e n. 23542 del 2015; cond. Cass. n. 5453 del 2017, n. 17214 del 2016, n. 23160 del 2015) – deve procedersi all’esame in via prioritaria, in quanto idonei a definire il giudizio, del secondo e terzo motivo di cassazione, laddove viene dedotta la nullità dell’avviso di accertamento in quanto il contenuto motivazionale dello stesso faceva rinviava ad un processo verbale di constatazione redatto nei confronti di altro soggetto (ditta A.G.), mai notificato o consegnato alla ricorrente.

8. Al riguardo, è principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, ed al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, se la motivazione dell’avviso di accertamento fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ovvero l’atto richiamato dall’avviso di accertamento sia stato sottoscritto e consegnato al contribuente (come accade nella generalità dei casi per i processo verbale di constatazione redatti dai funzionari dell’amministrazione finanziaria o della G.d.F.). Tale interpretazione della norma è coerente allo Statuto dei diritti del contribuente. Come affermato da questa Corte, infatti, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione; infatti, un’interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli (cfr., ex multis, Cass. 5418 del 2017, n. 407 del 2015, n. 18073 del 2008). In tale ottica si è affermato che “l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, citato art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità integrativa delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore narrativo), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione” (Cass. n. 26683 del 2009; conf. n. 22118 del 2010, n. 7654 del 2012, n. 2614 del 2016).

8.1. Ciò posto in linea di principio, con riferimento alla specie di causa deve osservarsi che nell’avviso di accertamento emesso nei confronti della ricorrente – riprodotto per autosufficienza a pag. 20 del ricorso – l’amministrazione finanziaria fa espresso rinvio alle dichiarazioni rese da A.G., titolare dell’omonima ditta sottoposta a verifica, e di P.N., amministratore unico della Geoconsult, alla G.d.F. e da questa allegate al p.v.c., affermando che “in virtù delle (predette) dichiarazioni”, da intendersi ivi “integralmente richiamate”, i verbalizzanti erano giunti a ritenere che le fatture emesse nei confronti della Geoconsult s.r.l. fossero “relative ad operazioni inesistenti”. E’ quindi evidente che quelle dichiarazioni avessero funzione integrativa della motivazione dell’atto impositivo e sulla combinazione delle stesse con le acquisizioni documentali l’amministrazione finanziaria avesse fondato la pretesa fiscale. Ed è altrettanto evidente che, se da un lato non risulta che il p.v.c. redatto nei confronti di un soggetto diverso dalla ricorrente sia stato notificato o consegnato a quest’ultima o che la stessa sia venuta in altro modo a conoscenza del suo contenuto (e sul punto la controricorrente, che avrebbe avuto più facilità a dimostrare il contrario, tace del tutto), dall’altro è evidente che la mancata conoscenza delle dichiarazioni rese da A.G., titolare dell’omonima ditta sottoposta a verifica, contenute nel predetto p.v.c., abbia impedito alla società contribuente di avere una conoscenza integrale degli elementi fondanti la pretesa fiscale, incidendo negativamente anche sulle scelte difensive della contribuente.

9. Da quanto detto consegue l’accoglimento dei motivi in esame che comporta la cassazione della sentenza impugnata, privando di interesse la ricorrente dalla pronuncia sulle restanti censure, che restano pertanto assorbite.

10. Il vizio che affligge l’avviso di accertamento è tale da consentire a questa Corte di pronunciare nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, con accoglimento del ricorso proposto dalla società ricorrente.

11. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, mentre quelle dei giudizi di merito vanno compensate tra le parti in ragione della evoluzione giurisprudenziale in materia.

12. Deve, infine, darsi atto che essendo rimasta soccombente l’Agenzia delle entrate, non sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, assorbiti tutti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente, condannando la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compenso, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento del compenso ed agli accessori di legge, compensandosi le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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