Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21767 del 28/08/2019

Cassazione civile sez. III, 28/08/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 28/08/2019), n.21767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16875/2017 proposto da:

D.M., D.S., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA G. A. SARTORIO 60, presso lo studio dell’avvocato MARCO

CAMARDA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLA

GILI;

– ricorrenti –

contro

SICI COSTRUZIONI GENERALI SRL, in persona del proprio legale

rappresentante pro tempore P.F., domiciliata ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GABRIELE TORELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 598/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.I.C.I. Costruzioni Generali s.r.l. convenne in giudizio, con citazione del 5/12/2008, davanti al Tribunale di Chieti, D.S., M., G. e Pa.Ma.Si., in qualità di eredi di D.B., per sentir pronunciare sentenza ex art. 2932 c.c., avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un immobile sito in (OMISSIS) promesso in vendita con preliminare da D.B. alla società Elle Emme Costruzioni s.a.s. (la quale aveva poi ceduto alla S.I.C.I. i diritti nascenti dal preliminare).

Con il suddetto atto il D. si era obbligato a vendere al prezzo complessivo di Euro 150.000 il terreno, con allegato permesso di edificare una palazzina, impegnandosi a stipulare il definitivo entro il 15/11/2006 e riscuotendo dalla promissaria acquirente la somma di Euro 120.000. I convenuti si costituirono tardivamente, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva per aver rinunciato all’eredità del proprio dante causa, e la società, in sede di precisazione delle conclusioni, modificò la domanda chiedendo la risoluzione del preliminare in luogo dell’adempimento e la condanna al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Chieti dichiarò l’estromissione dal giudizio della sola Pa.Ma.Si. per avere validamente rinunciato all’eredità, ritenendo che gli altri eredi, avendo accettato, sia pur con beneficio d’inventario, non potessero rinunciare e dichiarò la risoluzione del preliminare per inadempimento, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 180.000, ciascuno per un terzo (somma poi rettificata a seguito di correzione di errore materiale, in Euro 170.000) a titolo di restituzione dell’acconto versato e di penale per inadempimento dell’obbligo a contrarre.

La Corte d’Appello de L’Aquila, adita in via principale da D.M. e G. ed in via incidentale da D.S., per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato l’appello principale e dichiarato inammissibile l’incidentale per carenza di interesse.

Quanto al motivo di appello relativo alla carenza di legittimazione passiva degli originari convenuti esso è stato rigettato per l’effetto preclusivo della rinunzia all’eredità conseguente all’accettazione con beneficio d’inventario (che poi, in difetto di inventario, si era tradotta in accettazione pura e semplice); quanto al motivo di appello relativo alla pretesa “mutatio libelli, è stato rigettato in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la sostituzione dell’originaria domanda di adempimento con quella di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., comma 2, può essere esercitata in qualunque stato e grado del giudizio, anche in deroga alle preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., qualora, come nel caso in esame, non vengano allegati distinti fatti costitutivi e, dunque, inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria, idonei a configurare una diversa causa petendi. Lo jus variandi si estende, oltre che alla restituzione della prestazione eseguita, anche al risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale. Il Giudice di merito ha altresì sottolineato la gravità del comportamento del promittente venditore che, non solo si era sottratto alla stipula del definitivo ma aveva anche promesso in vendita lo stesso immobile ad altra persona, Q.M., al quale aveva poi definitivamente trasferito la proprietà con sentenza del Tribunale di Chieti del 2007. Rigettato l’appello principale e dichiarato inammissibile l’incidentale per difetto di interesse, la Corte d’Appello ha condannato gli appellanti in solido alle spese del grado.

Avverso la sentenza i D. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Resiste la S.I.C.I. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 487 c.c., art. 505 c.c., art. 519 c.c., art. 526 c.c., art. 101 c.p.c., art. 112 c.p.c. omessa motivazione, violazione dell’art. 24 Cost., art. 2909 c.c. – i ricorrenti censurano la sentenza perchè avrebbe del tutto omesso di considerare che l’accettazione con beneficio d’inventario e la rinuncia all’eredità, entrambe accettate e registrate dal Tribunale di Chieti, non erano state in alcun modo disconosciute o impugnate dalla parte che ne aveva interesse. Ciò avrebbe determinato, ad avviso dei ricorrenti, la violazione del loro diritto di difesa e del contraddittorio in quanto, pur in presenza di una questione rilevabile d’ufficio, quale una questione di legittimazione, il giudice avrebbe dovuto assegnare alle parti un termine per poter contraddire.

1.1 Il motivo è infondato. Premesso che, in ordine alla questione della impossibilità per chi ha accettato l’eredità anche con beneficio di inventario, di rinunciare alla stessa, la sentenza si pone in continuità con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale la rinunzia è preclusa (Cass., 2, n. 801 del 17/3/1972; Cass., 2, n. 4373 del 9/7/1980; Cass., 2, n. 7695 del 23/6/1992), il motivo ruota intorno alla pretesa violazione del principio del contraddittorio, ed è manifestamente infondato, sia perchè la nullità di un atto che, nel caso in esame comportava la persistenza della legittimazione passiva dei D. nella causa (divenuta) di risoluzione del contratto per inadempimento e condanna al risarcimento dei danni era una questione certamente rilevabile d’ufficio, e dunque non afferente in alcun modo alla potenziale violazione del contraddittorio, sia perchè sulla questione della rinunzia le parti avevano avuto modo di interloquire e difendersi nei gradi di merito sicchè il contraddittorio sulla predetta eccezione non avrebbe arrecato alcun vantaggio pratico ai ricorrenti (Cfr. sul punto Cass., 3, n. 3432 del 22/2/2016: “Non sussiste un obbligo per il giudice di sollecitare, ex art. 183 c.p.c., comma 4, la previa instaurazione del contraddittorio quando la questione rilevata d’ufficio sia di mero diritto, e, quindi, di natura processuale, nè tale obbligo assume rilievo se la parte non prospetti la specifica lesione del diritto di difesa che ne avrebbe patito, quantomeno allegando, quale verosimile sviluppo del processo svoltosi nel rigoroso rispetto della norma, l’insussistenza delle circostanze di fatto poste a base della decisione, potendosi vantare un diritto al rispetto delle regole del processo solo se, in dipendenza della loro violazione, ne derivi un concreto pregiudizio”; Cass., 2, n. 29098 del 5/12/2017).

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione del principio di cui all’art. 99 c.p.c., art. 100 c.p.c., art. 101 c.p.c., art. 112 c.p.c., artt. 113,183,189,190 c.p.c., art. 1453 c.c., ed omessa motivazione – il ricorrente censura la sentenza per non aver rilevato che la “mutatio libelli”, ancorchè astrattamente ammissibile sarebbe stata illegittimamente introdotta con la comparsa conclusionale e sarebbe stata illegittimamente estesa anche alla domanda risarcitoria ancorchè la stessa non facesse in alcun modo parte del petitum.

2.1 Il motivo è inammissibile perchè la sentenza impugnata si pone in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, sia con riguardo alla possibilità di esperire la mutatio libelli in deroga alle norme sulle preclusioni processuali nell’ambito dell’art. 1453 c.c., in ogni stato e grado del giudizio (Cass., 3, n. 10927 del 24/5/2005), sia con riguardo all’estensione della mutatio libelli non solo dalla domanda di adempimento a quella di risoluzione per inadempimento, ma anche con riguardo alla domanda accessoria di danni (Cass., 2, n. 26325 del 31/10/2008; Cass., S.U., n. 8510 dell’11/4/2014; Cass., 1, n. 16682 del 25/6/2018).

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 99,100 e 101 c.p.c., ed omessa motivazione – i ricorrenti censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui ha omesso di considerare che la citazione originaria introduttiva del giudizio era stata notificata in data 4/12/2008 mentre l’immobile di cui è causa non era già più nella disponibilità del promittente venditore per essere stato trasferito, con sentenza del 18/1/2007, registrata in data 4/5/2007, al secondo promissario acquirente Q.M.. Ciò inciderebbe sull’interesse ad agire.

3.1 Il motivo è infondato. L’interesse ad agire va posto in relazione alla domanda di risoluzione legittimamente esercitata a seguito dell’avvenuta conoscenza di una circostanza prima ignorata e che ha indotto la deducente ad optare per la richiesta di declaratoria di risoluzione contrattuale, non essendo più possibile o comunque problematico oltre ogni misura proseguire per altre vie.

E’ chiara la malafede del de cuius che era solito concludere più preliminari di vendita con più soggetti al fine di incassare gli acconti. Così come è chiara la malafede dei convenuti che, non costituendosi nei termini, cercavano di far passare in giudicato la sentenza che riguardava il trasferimento nei loro confronti della proprietà del bene. Ciò induce a ritenere la sussistenza della legittimazione ad agire in capo alla resistente anche all’inizio della causa di primo grado, poichè completamente ignara dell’avvenuto trasferimento dello stesso bene. La legitimatio ad causam consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa.

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, ed al cd. “raddoppio” del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.600 (più Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2019

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