Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21761 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 20/10/2011), n.21761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25701/2006 proposto da:

CASEIFICIO COOP. MARENO DI PIAVE SCARL incorporato nella “LATTERIA DI

SOLIGO”, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo

studio dell’avvocato MARINI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato AMATO CARLO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO UFFICIO DI TREVISO in persona del Direttore

pro tempore, AGENZIA DEL TERRITORIO DIREZIONE CENTRALE in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 47/2005 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 10/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato COREA, per delega dell’Avvocato

MARINI, che si riporta agli atti e insiste per l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Caseificio Cooperativo di Mareno di Piave s.c. a r.l. impugnava avanti la CTP di Treviso due avvisi di accertamento emessi dal Comune di Mareno di Piave con i quali veniva contestata la omessa presentazione della dichiarazione ICI per gli anni dal 1996 al 1999 e veniva accertata la imposta liquidata in base alla rendita catastale del compendio immobiliare sito nel medesimo Comune, appartenente alla società, che comprendeva unità immobiliari assegnate alle categorie D/7, C/6, C/1, A/3.

La società deduceva che il complesso immobiliare era costituito da un fabbricato rurale strumentale all’esercizio della impresa agricola ed allo stesso avrebbe dovuto, pertanto, essere attribuita la categoria D/10 come previsto dal D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139.

La CTP di Treviso con sentenza n. 100 del 2003 rigettava il ricorso.

L’appello proposto dalla società veniva rigettato con sentenza della CTR di Venezia in data 10.1.2006 n. 47.

La società ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR del Veneto affidando il ricorso a due motivi, deducendo, con il primo motivo, violazione del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 1, comma 5, nonchè vizio di motivazione, e con il secondo motivo, violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, oltre a vizio motivazionale.

Resiste con controricorso l’Agenzia del Territorio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. La motivazione della sentenza impugnata.

I Giudici territoriali hanno motivato la sentenza di rigetto dell’appello rilevando che:

– le unità appartenenti al complesso immobiliare risultavano tutte già da tempo accatastate, con assegnazione delle relative categorie, in base a denunce di variazione presentate nel 1983 e 1988;

– Il D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 1 – regolamento di attuazione emanato ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 156, – prevedeva che non dovesse procedersi a variazione, nella formazione del nuovo catasto fabbricati, qualora l’immobile – anche se presentava i caratteri di ruralità – fosse già iscritto al catasto edilizio urbano;

– la categoria D/10 doveva considerarsi residuale ed utilizzabile solo per gli immobili non censibili in altre categorie;

– il riconoscimento del carattere rurale dell’immobile, a fini fiscali, prescindeva del tutto dall’inserimento del bene nella categoria D/10, dipendendo esclusivamente dalla applicazione dei criteri stabiliti nel D.P.R. n. 139 del 1998, art. 2;

– la istanza subordinata di modifica della rendita catastale, formulata dalla società, non poteva essere accolta, non avendo il contribuente assolto alla indicazione degli elementi di comparazione richiesti dal D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 75;

– la censura concernente gli altri vizi di legittimità degli avvisi impugnati, per difetto di motivazione e mancata allegazione degli atti richiamati, non poteva avere accesso nel giudizio in quanto proposto ai sensi della L. n. 342 del 2000, art. 74, avverso il classamento del fabbricato e l’attribuzione della rendita catastale portati a conoscenza del contribuente mediante la notifica dell’avviso di accertamento ICI, sicchè eventuali vizi dell’avviso avrebbero dovuto essere fatti valere in separato giudizio nei confronti dell’ente impositore.

p.2.1 motivi del ricorso principale.

La società ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello denunciando i seguenti vizi di legittimità:

1- violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, nonchè omessa motivazione.

La società assume che il compendio immobiliare di proprietà è adibito in parte alla trasformazione dei prodotti conferiti, in parte a magazzino per la conservazione dei prodotti, ed in minima parte ad abitazione del custode, e che l’attività svolta consiste – come da statuto – nella lavorazione di prodotti caseari. Ne consegue che, ricorrendo i presupposti previsti dal D.P.R. n. 139 del 1998 – che rinvia all’art. 29 (ora art. 32) del T.U.I.R. – per il riconoscimento dello svolgimento di attività agricola e della strumentalità a tale attività dei predetti immobili, gli stessi debbono qualificarsi come rurali ed in quanto tali debbono essere censiti nella categoria D/10 e non assoggettati ad ICI. Deduce inoltre che la CTR ha fatto errata applicazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 75, dichiarando inaccoglibile la istanza subordinata di riduzione della rendita, in quanto, da un lato, la società aveva indicato “numerosi casi in cui la giurisprudenza di merito locale ha riconosciuto per compendi immobiliari simili…il classamento nella categoria D/10”; dall’altro la norma non trova applicazione per i fabbricati rurali sottratti al l’accertamento catastale D.P.R. n. 1142 del 1949, ex artt. 38 e 39.

2- violazione della L. n. 241 del 19900, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè omessa motivazione.

La società sostiene che i Giudici territoriali hanno ritenuto erroneamente infondato il motivo di appello con il quale veniva eccepita la nullità degli avvisi di accertamento ICI, affermando che tali vizi avrebbero dovuti essere fatti valere nei confronti del Comune ente-impositore e non nel giudizio avente ad oggetto esclusivamente gli atti di classamento. La critica mossa con il motivo di appello concerneva infatti il vizio di motivazione degli atti classamento e la mancata allegazione degli atti (rendite, verifiche, delibere, ecc.) sui quali la Agenzia del Territorio avrebbe dovuto basarsi per il classamento.

p.3. Il controricorso.

La Agenzia delle Entrate ha chiesto il rigetto del ricorso allegando che gli immobili erano iscritti nel NCEU con assegnazione di categoria A/3, C/1, C/6 e D/7 ed attribuzione di rendita, in seguito alle denunce di variazione presentate dalla società in data 4.5.1983 e 24.2.1988. Da ciò consegue chetali immobili non erano stati considerati fabbricati rurali dalla stessa società la quale, altrimenti, avrebbe chiesto la iscrizione nel Catasto Terreni R.D.L. n. 652 del 1939, ex artt. 4, 6 e 28.

Le successive modifiche legislative introdotte dal D.L. n. 557 del 1993, conv. in L. n. 133 del 1994, e dal D.P.R. n. 139 del 1998, avevano disciplinato l’inventario dei beni immobili da iscrivere nel Nuovo Catasto Fabbricati, nel quale dovevano essere ricompresi anche i fabbricati rurali a destinazione abitativa e le costruzioni strumentali all’esercizio di attività agricole qualificale anch’esse rurali.

La stessa normativa prevedeva, tuttavia, che ove l’immobile fosse già censito al NCEU, l’eventuale riconoscimento del carattere rurale dello stesso non comportava variazione catastale. Tale ultima ipotesi ricorreva nel caso di specie sicchè alcun obbligo di variazione della categoria attribuita al complesso immobiliare della società sussisteva a carico della Agenzia.

p.4. Valutazione della Corte in ordine i motivi di ricorso.

Occorre premettere che. come risulta dalla sentenza impugnata e trova riscontro anche nella esposizione dei fatti svolta dalla resistente nel controricorso, attraverso gli avvisi di accertamento ICI per gli anni dal 1996 al 1999, notificati al contribuente in data 20.12.2001, la società ha inteso impugnare avanti la giurisdizione tributaria, ai sensi della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 3, (norma che consente la impugnazione, entro il termine perentorio D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, decorrente dalla notifica dell’avviso di accertamento della imposta dovuta in base alla rendita, degli atti attributivi o modificativi della rendita adottati anteriormente alla data 31.12.1999 e non ancora recepiti a tale data in atti impositivi della Amministrazione finanziaria o degli enti locali: “i relativi atti impositivi costituiscono a tutti gli effetti anche atti di notificazione della predetta rendità”), gli atti di classamento ed attribuzione della rendita catastale ai beni del complesso immobiliare di sua proprietà sito in Comune di Mareno di Piave, venuti a conoscenza della società soltanto con la notifica in data 20.12.2001 degli avvisi di accertamento ai fini ICI emessi dall’ente locale.

4.1. Il primo motivo è fondato ed il ricorso trova accoglimento nei limiti indicati di seguito.

Rileva il Collegio che sino al 30 dicembre 1993, data di entrata in vigore delle modifiche normative introdotte nella disciplina catastale dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, convertito in L. n. 133 del 1994, i fabbricati rurali (qualifica all’epoca attribuita anche in funzione della loro appartenenza allo stesso proprietario del terreno agricolo cui erano asserviti) non erano iscritti nel “catasto edilizio urbano”, a norma del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 4, e del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 38 e 39.

Successivamente, i medesimi fabbricati, pur mantenendo la qualificazione di rurali, dovevano essere comunque iscritti nel catasto edilizio urbano, ridenominato “catasto dei fabbricati”.

Non deve essere affrontata in questa sede – essendo circoscritto l’oggetto della controversia di merito alla impugnazione dell’atto di classamento ed attribuzione della rendita catastale – la questione della incidenza che la iscrizione degli immobili rurali nel catasto fabbricati, esplica ai fini dell’assoggettamento al tributo comunale (ICI), essendo sufficiente rilevare, al fine che ne occupa, che il contrasto giurisprudenziale (vedi: Cass. sez. trib. 27 settembre 2005, n. 18853 e Cass. sez. trib. 27.7.2007 n. 16701 – secondo le quali la nuova disciplina catastale non aveva immutato la esenzione di tali immobili dal tributo, sempre che sussistesse la coincidenza tra proprietario del terreno e del fabbricato; in mancanza il beneficio della esenzione doveva riconoscersi al fabbricalo soltanto in seguito alla modifica del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994, introdotta dal D.P.R. n. 138 del 1998, a valere sugli anni di imposta successivi alla sua entrata in vigore. Diversamente vedi: Cass. sez. trib. 10.6.2008 n. 15321 – la quale riteneva che l’imposta comunale fosse applicabile, indipendentemente dalla qualificazione rurale, per il solo fatto della iscrizione dell’immobile in catasto e della attribuzione di rendita) è stato risolto da Corte Cass. SU 2.8.2009 n. 18565: la sentenza, preso atto del sopravvenuto intervento del Legislatore che con norma interpretativa retroattiva aveva disposto la esclusione dall’ICI dei fabbricati rurali iscritti in catasto (D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009), ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di ICI, l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. in L. n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), come interpretato dal D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, aggiunto dalla Legge di Conversione n. 14 del 2009. Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impusnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, alfine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’impostà.

Tanto consente di affermare che il Giudice di appello non ha individuato nè interpretato correttamente la norma di dritto regolativa della fattispecie, atteso che la società impugnando l’atto di classamento, per la prima volta comunicatole con la notifica dell’atto impositivo recettivo della rendita catastale (fatto incontestato), ha inteso proporre autonomo ricorso D.P.R. n. 1142 del 1949, ex art. 75, proprio per contestare la attribuzione della categoria catastale, ed evitare le conseguenze, concernenti l’assoggettamento alla imposta locale, evidenziate dalla sentenza risolutiva del contrasto giurisprudenziale.

Risultano pertanto privi di pregio gli argomenti svolti a sostegno delle “rationes decidendi” dai Giudici di appello secondo cui gli immobili, in quanto già iscritti con attribuzione di rendita nel catasto edilizio, non necessitavano, all’atto della istituzione del catasto fabbricati, di variazione di categoria anche se presentavano i requisiti propri della ruralità, tenuto conto, da un lato, che la affermazione della parte resistente secondo cui “le unità immobiliari…devono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento” (cfr. D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 61, comma 2) non può risolversi nella immodificabilità della classe originariamente assegnata all’immobile, atteso che tale operazione non può ritenersi definitiva ed immutabile come è dato evincere dal R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 17, comma 1, lett. b), che impone all’Amministrazione di aggiornare il catasto anche in relazione allo stato dei beni “per quanto riguarda la consistenza, la attribuzione della categoria e della classe”: dall’altro, che non può ritenersi ostativa alla richiesta di variazione del classamento la disposizione del il D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 1, comma 3, che ai soli “fini inventariati” prescrive che “le unità immobiliari già cernite al catasto edilizio urbano non sono oggetto di variazione qualora vengano riconosciute rurali ai sensi dell’art. 2”, in quanto l’espresso richiamo all’art. 2 del medesimo decreto (che ha sostituito il comma 3 ed introdotto il D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3 bis, conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133), deve essere coordinato con le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 del medesimo D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, e pertanto risulterebbero assoggettati alla previsione di invariabilità della categoria e del classamento soltanto gli immobili, “riconosciuti rurali” e già iscritti al NCEU, “destinati ad edilizia abitativa” (D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3, conv. L. n. 133 del 1994, come modificato dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 2), ovvero privi dei requisiti indicati dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, per la iscrizione alla categoria D/10.

Ed infatti gli altri fabbricati, diversi da quelli abitativi, strumentati all’esercizio delle attività agricole (ai quali viene riconosciuto “carattere rurale a fini fiscali” dal D.L. n. 557 del 1993, art. 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994, introdotto dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 2) sono espressamente regolati dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, che, per le “costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola, diverse dalle abitazioni”, prevede l’assegnazione alla “categoria speciale D/10 – fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole” a condizione che le caratteristiche di destinazione e tipologiche dell’immobile non ne consentano una diversa utilizzazione senza procedere a radicali trasformazioni edilizie.

Peraltro, come si è detto, la variazione della categoria e della classe catastale di un immobile si giustifica nella necessità di garantire la corrispondenza con la effettiva “destinazione ordinaria” dell’immobile e con le caratteristiche influenti sulla capacità reddituale (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 6 e 7; artt. 61 e 62) desunte dalle condizioni intrinseche ed estrinseche dell’immobile (R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 8) non potendo ritenersi a ciò ostativa la mera preesistente iscrizione dell’immobile – riconosciuto rurale ai sensi del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 2 – nel Nuovo Catasto Edilizio Urbano: se dunque la disposizione del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 3, consente all’Amministrazione finanziaria – per agevolare l’attività da svolgere a “fini inventariali” in occasione della istituzione del Nuovo Catasto Fabbricati- di mantenere la originaria categoria e classe agli immobili già iscrittici NCEU qualora gli stessi dovessero essere riconosciuti rurali ai sensi dell’art. 2del medesimo decreto presidenziale, ciò non preclude al contribuente di richiedere, sussistendone i presupposti, le variazioni necessarie volte al riconoscimento anche “ai fini catastali” (cfr. D.P.R. n. 139 del 1998, art. 3) della ruralità dell’immobile, con conseguente assegnazione della corretta categoria e classe catastale (A/6 “abitazioni di tipo rurale”; D/10 “fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”).

Occorre rilevare, in proposito, come la espressa previsione normativa del requisito delle “caratteristiche di destinazione e tipologiche tali da non consentire impieghi non agricoli senza una radicale trasformazionè”, richiesto dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, per l’assegnazione della categoria D/10 all’immobile rurale strumentale” è venuta a colmare la lacuna che -in assenza di detta disposizione modificativa – si era venuta a determinare al momento della istituzione del Nuovo Catasto Fabbricati (D.L. n. 557 del 1993, conv. in L. n. 133 del 1994), non essendo stata originariamente prevista per gli immobili rurali una disposizione analoga a quella del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 8, che disciplinava il classamento degli immobili “costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale e commerciale non suscettibili di una destinazione estranea, alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni” (rispettivamente assegnati alle categorie D/7 e D/8).

La rilevanza che la classificazione catastale (A/6; D/10) dell’immobile rurale viene ad esplicare sul piano fiscale in applicazione delle diverse imposte (nella specie l’ICI) liquidate in base alla rendita, è stata ulteriormente ribadita, anche in seguito alla espressa esenzione dall’ICI dei fabbricati rurali (D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009), osservandosi “che la ruralità, del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale”, con la conseguenza che “il fabbricato che sia stato classificato rurale con attribuzione della relativa categoria, perchè in possesso dei requisiti indicati dalla richiamata norma (ndr. art. 9 n. 557/1993 conv. in L. n. 133 del 1994) sarà automaticamente escluso dall’area di imponibilità ai fini ICI. Ciò significa che qualora un fabbricato sia stato catastalmente classificato come rurale (categoria A/6 per le unità abitativa, categoria D/10 per gli immobili strumentali alle attività agricole), resta precluso ogni accertamento, in funzione della pretesa assoggettabilità ad ICI del fabbricato in questione, che non sia connesso ad una specifica impugnazione della classificazione catastale riconosciuta nei riguardi della amministrazione competente:

allo stesso modo, e in senso inverso, qualora il fabbricato non sia stato catastalmente classificato come rurale, il proprietario che ritenga, tuttavia, sussistenti i requisiti per il riconoscimento come tale, non avrà altra strada che impugnare la classificazione operata al fine di ottenere la relativa variazione” (cfr. Corte Cass. SU n,, 18565/2009 cit. in motivazione, cui si sono uniformate le successive sezioni semplici: Corte Cass. 5^ sez. 24.3.2010 n. 7102; id. 5^ sez. 14.4.2010 n. 8845).

Se, in conseguenza, viene smentito l’assunto della CTR del Veneto secondo l’inserimento dell’immobile rurale nella categoria D/10 sarebbe irrilevante a fini fiscali (cfr. da ultimo Corte Cass. 5^ sez. 29.10.2010 n. 2214), non trova, altresì, fondamento normativo l’affermazione del Giudice di appello secondo cui la categoria D/10 avrebbe carattere “quasi residuale, utilizzabile per gli immobili non censibili in altre categorie” (cfr. motiv. semenza CTR veneziana), atteso che, se l’immobile deve essere riconosciuto “rurale”, in quanto presenti i requisiti prescritti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, commi 3 e 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994 (come modificato dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 2), allo stesso non può che essere attribuita la corrispondente categoria catastale prevista per gli immobili rurali a destinazione abitativa ovvero strumentali all’esercizio dell’attività agricola (A/6; D/10).

Può dunque affermarsi il seguente principio di diritto: in tema di assegnazione della categoria e del classamento catastale ai sensi del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, conv. con modificazioni nella L. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dal D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 2 (“regolamento recatile norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 156”), il carattere rurale dei fabbricati diversi da quelli destinati ad abitazione (categoria D/10), non può essere negato, anche se detti immobili risultavano, al momento della istituzione del Nuovo Catasto Fabbricati, già iscritti con assegnazione di diversa categoria e classe nel Nuovo Catasto Edilizio Urbano, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 29 (ora art. 32), od anche di quelle aggiunte dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3 bis, e presentino, inoltre, le caratteristiche richieste dal D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5.

Il Giudice territoriale, pertanto, ha errato nel ritenere immodificabile l’attuale categoria catastale attribuita in sede di iscrizione al NCFU. ed applicando correttamente le norme di cui al D.P.R. n. 139 del 1998, artt. 1 e 2, avrebbe, invece,, dovuto accertare le caratteristiche del compendio immobiliare valutando, sulla scorta del materiale probatorio acquisito, la fondatezza della richiesta della società di variazione della categoria catastale assegnata ai beni del complesso immobiliare.

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata ed il Giudice del rinvio attenendosi all’enunciato principio dovrà accertare, ai fini del riconoscimento della “strumentalità” che 1) il fabbricato della cooperativa abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci; 2) tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; 3) la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni (conf. Corte Cass. 5^ sez. 1.8.2008 n. 20953).

Del pari censurabile è l’applicazione della norma di diritto (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 75) da parte del Giudice territoriale che ha dichiarato inaccoglibile “la richiesta dell’appellante avanzata in via subordinata di ridurre la rendita attribuita” al compendio immobiliare in quanto la società non avrebbe assolto all’onere di indicare nel ricorso introduttivo altre unità immobiliari aventi caratteristiche simili ma collocate in classi o categorie diverse: è stato, infatti, affermato da questa Corte, e deve essere ribadito nel presente giudizio, che “in tema di classamento ed accertamento catastale, la disposizione del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 75, che fa obbligo al contribuente che impugni l’accatastamento del proprio fabbricato di indicare le altre unità immobiliari aventi le medesime caratteristiche, e tuttavia collocate in una diversa classe o categoria, va letta in sintonia con i principi in materia di diritto di difesa in giudizio, sicchè non può essere considerata norma in grado di derogare alle comuni regole in tema di inammissibilità dell’azione e di contenuto e ripartizione dell’onere della prova. Ciò comporta che il contribuente può impugnare il classamento anche senza dedurre la detta disparità di trattamento, la quale, pur rappresentando una circostanza indubbiamente rilevante, non rappresenta per l’interessato l’unico modo per dimostrare la spettanza di una diversa collocazione del bene” (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 24.2.2006 n. 4238).

Rimane quindi escluso che l’onere di allegazione previsto dal D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 75, comma 1 e 2, venga ad integrare un presupposto processuale di ammissibilità del ricorso, esaurendo piuttosto i suoi effetti sul mero piano probatorio, in quanto eventuali elementi comparativi forniti dal contribuente possono rappresentare “un parametro di riferimento utilizzabile ai fini della formazione del suo convincimento dal giudice adito, il quale può però attingere ad ogni altro elemento acquisito agli atti di causa” (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 7.7.2004 n. 12446).

I vizio della sentenza denunciato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), emerge, peraltro, in tutta evidenza dalla lettura del testo della norma in esame che, al comma 3, sottrae espressamente all’onere di indicazione degli elementi comparativi i ricorsi concernenti immobili a “destinazione speciale o particolare” (cat. D) qual è – secondo l’allegazione formulata nel ricorso ìntroduttivo del contribuente – l’immobile appartenente alla società (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 24.6.2003 n. 10037: “in tema di reddito dei fabbricati a fini fiscali, la regola secondo la quale il reclamo avverso il provvedimento di attribuzione della categoria e della classe ad un immobile è inammissibile, a norma del D.P.R. primo dicembre 1949, n. 1142, art. 75, (Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano), se non reca l’indicazione delle unità immobiliari della stessa zona censuaria che risultino, nei confronti con quella del ricorrente, collocati in una categoria o in una classe diverse, benchè abbiano la stessa destinazione ordinaria e le stesse caratteristiche, si riferisce esclusivamente all’area applicativa definita dall’art. 75, comma 1, non anche a quella di cui al comma 3, che – in combinato disposto con l’art. 8 dello stesso D.P.R. n. 1142 – eccettua da tale previsione gli immobili a destinazione speciale o particolare, e fra questi i fabbricati costruiti per esigenze industriali o commerciali e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni. Ciò sia per ragioni letterali, sia perchè un’applicazione estensiva della regola si porrebbe in contrasto con il principio di stretta interprefazione delle cause limitative del diritto costituzionale di agire in giudizio a tutela dei propri diritti”).

La CTR non si è attenuta nell’applicazione della indicata norma alla portata precettiva alle stesse attribuita dalla uniforme interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, incorrendo nel vizio di legittimità denunciato e va dunque cassata con rinvio, dovendo attenersi il Giudice del rinvio agli indicati principi di diritto, ove l’esito del giudizio di merito richieda l’esame della domanda subordinata (riduzione della rendita).

4.2 Il secondo motivo di impugnazione è inammissibile.

La ricorrente, infatti, censura la sentenza della CTR per violazione e falsa applicazione delle norme che sanzionano a pena di nullità gli atti impositivi privi di motivazione e che non recano in allegato gli atti presupposti da essi richiamati.

La censura è del tutto inconferente rispetto alla “ratio decidendi” della sentenza della CTR del Veneto che ha rigettato l’appello rilevando che la eccezione di nullità, avendo ad oggetto gli avvisi di accertamento ICI emessi dal Comune, doveva essere proposta nei confronti dell’ente locale che aveva emessogli atti tributari, in un autonomo giudizio avente ad oggetto principale la impugnazione di tali avvisi.

E’ appena il caso di rilevare che, ove la cesura dovesse, invece, essere riferita all’atto di classamento ed attribuzione della rendita, il motivo sarebbe egualmente inammissibile non avendo la parte assolto all’onere di specificità previsto dall’art. 366 c.p.c., avendo omesso del tutto di indicare in ricorso il contenuto degli atti impugnati al fine di consentire alla Corte, alla quale è precluso in relazione allo specifico vizio denunciato l’esame diretto degli atti del giudizio di merito, di verificare la esattezza della critica rivolta alla sentenza impugnata.

p.5. Il ricorso deve pertanto essere accolto in relazione alle censure prospettate con il primo motivo, inammissibile il secondo motivo, e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Veneto che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto enunciati in parte motiva, e liquidando all’esito le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, dichiarato inammissibile il secondo motivo, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Veneto che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto enunciati in parte motiva, e liquidando all’esito le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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