Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21760 del 27/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 27/10/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 27/10/2016), n.21760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12615-2012 proposto da:

MISTRAL FVG SRL, (OMISSIS), IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE P.T.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 3 SC A,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO TRALDI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARCO DI BENEDETTO;

– ricorrente –

contro

DDS SANIFICAZIONE SRL IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO, IN

PERSONA DEL LIQUIDATORE, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

BARTOLOMEO GASTALDI 1, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

BENUCCI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CRISTINA CARPINELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 736/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 16/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato Matteo Del Vescovo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Di Benedetto Marco difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Cesare Romano Carello con delega depositata in udienza

dell’Avv. Carpinelli Cristina difensore della controricorrente che

si riporta agli atti difensivi depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ingiunto dal Tribunale di Pordenone alla s.r.l. D.D.S. Sanificazione il pagamento della somma di Euro 115.001,77, oltre accessori, in favore della s.r.l. Mistral F.V.G., quale corrispettivo per prestazioni di termo-combustione di rifiuti speciali sanitari fornite in esecuzione di contratto d’appalto intercorrente fra le parti, a sèguito di opposizione proposta dell’ingiunta D.D.S., la quale aveva dedotto grave inadempimento della società appaltatrice Mistral, la quale, avendo in più occasioni proceduto ad arrestare l’impianto aveva procurato danni alla committente, il predetto Tribunale, accogliendo parzialmente, con sentenza depositata il 20/8/2008, l’opposizione, revocato il provvedimento monitorio, compensato il credito vantato dalla Mistral, condannò quest’ultima al pagamento della differenza, ammontante ad Euro 60.860,23, oltre accessori in favore della D.D.S..

Proposto appello, la Mistral, e appello incidentale, la D.D.S., la Corte di Trieste, con sentenza depositata il 16/11/2011, rigettato l’appello principale, accogliendo quello incidentale condannò la Mistral a restituire alla D.D.S. la somma di Euro 60.049,06, corrispondente alla quota della somma ingiunta dichiarata a suo tempo provvisoriamente esecutiva, oltre interessi legali.

Con ricorso del 7/5/2012 la Mistral F.V.G. s.r.l. chiede l’annullamento della sentenza d’appello. Resiste, con controricorso del 18/6/2012, la D.D.S. Sanificazione s.r.l. in liquidazione per concordato preventivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità per difetto di rappresentanza, con violazione dell’art. 182 c.p.c. e L. Fall., art. 167 e ss., assumendo la carenza di legittimazione processuale del liquidatore di società ammessa al concordato preventivo, in quanto in sede di appello la D.D.S., costituitasi in giudizio, in persona del liquidatore giudiziario, aveva avanzato appello incidentale, nel mentre il regime liquidatorio al quale era sottoposta la predetta società, procurando solo uno spossessamento attenuato”, lascia, per il resto integra la legittimazione processuale del debitore, a differenza di quel che è previsto per il fallimento dall’art. 43 del relativo corpo legislativo.

L’esposta censura è infondata.

Secondo l’interpretazione, reiterata nel tempo, maturata in sede di legittimità, si è condivisamente chiarito che la procura generale “ad litem”, prevista dall’art. 83 c.p.c., comma 2, se proveniente da una società e, per essa, da organo abilitato a conferirla, resta imputabile all’ente medesimo anche in futuro e finchè non venga revocata, indipendentemente dalla sorte che nel frattempo abbia potuto subire l’organo che l’ha rilasciata, stante che l’atto negoziale della persona giuridica, posto in essere per il tramite del competente organo di rappresentanza esterna, è atto dell’ente in cui il rappresentante si immedesima in base al cosiddetto rapporto organico, senza che rilevi che tale organo non sia più esistente al momento dell’inizio del procedimento in cui si utilizza l’atto, in quanto sostituito da un organo diverso (Sez. 2, n. 8281 del 7/4/2006, Rv. 589944; nello stesso senso, Sez. 1, n. 13434 del 13/9/20283, Rv. 557383; S.U., n. 761 del 12/11/1999, Rv. 531036).

In primo grado la D.D.S., attraverso l’organo preposto, aveva rilasciato al difensore ampia procura “per ogni stato e grado del procedimento”. Procura che, pertanto, in assenza di revoca, ha continuato a svolgere i propri effetti in appello. La sottoscrizione di altra procura, nel giudizio d’appello, da parte del liquidatore giudiziale non ha privato di valenza giuridica quella rilasciata, ante litem, all’avv. C.G. da Monza dal legale rappresentante della società del tempo, in forza della quale il predetto professionista ha resistito in appello, avanzando anche impugnazione incidentale.

Può, semmai, discorrersi della qualità e funzione di una tale presenza aggiuntiva, che, vertendosi su domanda di condanna e comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e riparto del ricavato, è stata ritenuta (Sez. 1, n. 17748 del 30/7/2009, Rv. 609833) di contraddittore necessario. Una tale conclusione, ovviamente, non contrasta con l’affermazione condivisa secondo la quale, nel concordato preventivo con cessione dei beni, il debitore conserva il diritto ad esercitare in proprio le azioni e resistervi nei confronti dei terzi a tutela del suo patrimonio (Sez. 1, n. 11520 del 12/5/2010, Rv. 612924).

Con il secondo motivo la ricorrente si duole dell’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo la Mistral entrambe le sentenze di merito avevano affermato la sussistenza del prospettato pregiudizio patito dalla D.D.S. valorizzando le risultanze della C.T.U., la quale aveva illegittimamente tenuto conto di documentazione acquisita solo in sede peritale, sul presupposto erroneo della mancanza di contestazione, avendo, per contro, “la società ricorrente (…), sin dal primo atto difensivo, contestato l’esistenza di un qualsivoglia danno subito dalla resistente”. In specie, manca, per la ricorrente, la prova dell’effettività del danno (il pagamento delle fatture prodotte), apparendo, per contro, decisivo l’accertamento del fatto (l’effettività dell’esborso) sul quale si fonda la condanna risarcitoria. Sul punto non poteva reputarsi bastevole la mera astratta coincidenza delle partite contabili, occorrendo provare l’effettività dell’esborso, che non poteva ricavarsi dal solo riscontro delle fatture. La documentazione prodotta, costituita da bandi di gara che regolavano lo smaltimento dei rifiuti da parte dell’impresa assegnataria (la resistente), dagli attestati di conferimento e dalle annotazioni contabili, non giustificava l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale non si era registrata contestazione della veridicità della documentazione, anche bancaria, in realtà non esistente.

Trattasi di doglianza destituita di giuridico fondamento sotto più convergenti profili.

Occorre premettere, come di recente riaffermato in questa sede, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20X/81(2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’àmbito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

La ricorrente, infatti, pur enunciando di volere denunziare l’omesso esame di un fatto decisivo, lamenta, peraltro senza confrontarsi con la motivazione della sentenza censurata, la valutazione del materiale probatorio, così proponendo, in definitiva, una rilettura di fatto inammissibile in sede di legittimita) ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al tempo vigente, per quel che si è prima detto.

Infine, il ricorso mostra di confondere la prova del danno emergente con l’effettivo detrimento monetario, essendo bastevole l’imputazione patrimoniale negativa. La locuzione “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il “vinculum iuris”, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare. (cfr., Sez. 2, n. 22826 del 10/11/2012, Rv. 615830; Sez. 2, n. 4718 del 10/3/2016, Rv. 639071).

Con il terzo ed ultimo motivo la Mistral deduce falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c. e artt. 115, 116 e 184 (ante riforma), 194 e 195 c.p.c..

Era stato giudicato provato un danno, derivante dai maggiori costi affrontati per aver dovuto effettuare smaltimenti presso altri impianti, sulla base dell’elaborato di parte e delle fatture emesse dai predetti impianti, senza che fosse rimasto dimostrato il rapporto sottostante con i gestori degli impianti predetti, indicati nel prospetto, nonchè l’effettività dei pagamenti; nè, infine, il nesso causale.

Non condivide, la ricorrente, l’intervenuta sanatoria della produzione tardiva effettuata in sede di C.T.U., ove fatti e situazioni risultino posti a diretto fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, richiamando sul punto Cass., Sez. 1, n. 24549 del 2/12/2010. Inoltre, aver giudicato sanata la nullità della C.T.U. (art. 157 c.p.c.) perciò stesso non poteva implicare la rinuncia a congruamente apprezzare l’attendibilità dell’elaborato peritale.

La doglianza va disattesa, quanto al primo profilo, per le ragioni già svolte a riguardo del secondo motivo, stante che la falsa applicazione di legge non costituisce altro che mero paravento d’una inammissibile censura in fatto.

Quanto al secondo profilo deve ritenersi corretta la soluzione contraria adottata dalla Corte territoriale, la quale ha fatto puntuale applicazione dei principi enunciati condivisamente in sede di legittimità (Sez. 3, n. 2251 del 31/1/2013, Rv. 624974, Sez. 2, n. 12231 del 19/8/2002, Rv. 556941).

In tema di preclusione relative a produzioni documentali, nel corso di una consulenza contabile, secondo le indicazioni maturate più di recente in questa sede (Sez. 1, n. 24549 del 2/1272010, Rv. 615793; Sez. 1, n. 8403 del 27/4/2016, Rv. 639506), si deve escludere l’ammissibilità della produzione tardiva di prove documentali concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, essendo, al riguardo irrilevante il consenso della controparte atteso che, ai sensi dell’art. 198 c.p.c. tale consenso può essere espresso solo con riferimento all’esame di documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal giudice. (Nella fattispecie la pronuncia di secondo grado, con valutazione condivisa in sede di legittimità, aveva dichiarato l’inammissibilità della produzione di contabili bancarie in corso di ctu relativa a revocatoria fallimentare di rimesse).

Tuttavia, anche a voler ritenere che la documentazione acquisita dal CTU non abbia natura accessoria, resta ferma la tardività della denunciata preclusione.

L’epilogo impone condannarsi parte ricorrente al rimborso delle spese legali in favore della resistente. Spese che, tenuto conto della natura e del valore della causa possono liquidarsi siccome in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla resistente le spese di giudizio, liquidate in 200 Euro per esborsi e in 6.000 Euro per compensi, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016

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