Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21759 del 20/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/10/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 20/10/2011), n.21759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29052-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE TRE

MADONNE 18, presso lo studio dell’avvocato TUCCILLO MARIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE CASTELLO LUIGI,

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 139/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 21/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1. Con sentenza n. 139/23/05, depositata il 21.7.05, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, accogliendo parzialmente l’appello proposto da A.C. avverso la decisione di primo grado, in riforma dell’impugnata sentenza, riduceva i ricavi accertati, in via induttiva, dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Napoli (OMISSIS).

2. Il giudice di appello, invero, – pur riconoscendo la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo operato dall’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 per la rideterminazione del maggior reddito sottratto ad imposizione per l’anno di imposta 1998 – riteneva di poter ridurre detto imponibile, tenendo conto dell’incidenza percentuale dei costi sui ricavi presuntivamente accertati.

3. Per la cassazione della sentenza n. 139/23/05, ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando un unico motivo, al quale l’intimata ha replicato con controricorso.

Diritto

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dei principi generali in materia di contenzioso tributario, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

1.1. Rileva, invero, l’Ufficio che il giudice di appello sarebbe incorso nella palese violazione della regola processuale enunciata dall’art. 112 c.p.c., che sancisce, con riferimento alla decisione giudiziale, il limite della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Ed invero, la CTR avrebbe, per un verso, considerato legittimo l’accertamento analitico-induttivo effettuato dall’Ufficio che, avendo riscontrato la contabilizzazione da parte del contribuente di ingenti importi registrati, con cadenza periodica, come finanziamenti, ne aveva tratto il convincimento – fondato su presunzioni desunte dal modesto reddito dichiarato dal contribuente, e dalla mancata dimostrazione, da parte del medesimo, dell’esistenza di altre fonti di guadagno – che si trattasse di ricavi non contabilizzati.

Per altro verso, il giudice di appello – muovendo dal rilievo secondo cui, in caso di rettifica induttiva, alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata sui costi – aveva provveduto a ridurre la base imponibile determinata dall’Ufficio sulla base dei ricavi presuntivamente accertati, tenendo conto dell’incidenza percentuale dei costi nella determinazione del reddito imponibile.

Ne sarebbe derivato, a parere dell’amministrazione ricorrente, il dedotto vizio di ultrapetizione, nel quale sarebbe palesemente incorsa l’impugnata sentenza.

1.2. La censura è fondata e deve, pertanto, essere accolta.

1.2.1. Osserva, invero, la Corte che, di certo, non può non condividersi l’affermazione di principio contenuta nella decisione impugnata, secondo la quale la determinazione del reddito di impresa – nel caso di accertamento induttivo – presuppone l’individuazione ed il computo dei costi che, nella ricostruzione del reddito, valgono a bilanciare i ricavi accertati in via presuntiva. Ed infatti, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, in materia di imposte sui redditi inerenti ad attività di impresa, il principio sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (e ribadito dal D.L. n. 90 del 1990, art. 6 bis), secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili, non si applica in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi (Cass. 640/01, 2946/06).

1.2.2. Senonchè, dall’esame dell’impugnata sentenza e del controricorso – nel quale la A. ha compiutamente trascritto i motivi di appello proposti nel giudizio di secondo grado – si desume agevolmente che, nei gradi di merito, la questione relativa alla mancata detrazione dei costi dai ricavi non era stata affatto prospettata dalle parti. E, d’altro canto, la stessa intimata non ha in alcun modo dedotto di avere posto siffatta questione nei precedenti gradi del giudizio, essendosi la difesa spiegata dalla medesima incentrata esclusivamente sul rilievo – che, peraltro, come di qui a poco si dirà, non si rivela affatto concludente e decisivo – secondo cui la cognizione del giudice tributario è estesa anche al merito della pretesa fiscale.

1.2.3. Da quanto suesposto deve necessariamente inferirsi, ad avviso della Corte, che la CTR – nel pronunciarsi sulla questione della mancata detrazione dei costi dai ricavi, non dedotta nei gradi di merito – ha violato il limite della domanda di parte, sancito dal disposto dell’art. 112 c.p.c., incorrendo nel vizio di ultrapetizione.

Ed invero – secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr.

per tutte, Cass. 3670/96, 14424/00, 16809/08)- incorre nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, espresso dall’art. 112 c.p.c., e segnatamente nel vizio di ultrapetizione, il giudice che superi i limiti quantitativi del petitum di parte, pronunciandosi su domande ed eccezioni in aggiunta a quelle espressamente proposte dalla parte interessata.

1.2.4. Nè giova all’intimata – come dianzi detto – fare riferimento ai poteri estimativi del giudice tributario e, segnatamente, al fatto che essendo il processo dinanzi alle Commissioni tributarie configurabile in termini di impugnazione-merito, il giudice ben potrebbe, anche d’ufficio, rideterminare la pretesa tributaria, riducendo, se del caso, il quantum accertato dall’Ufficio. E’ bensì vero, infatti, che il giudizio tributario – come più volte affermato da questa Corte (v. ex plurimis, Cass. 4280/01, 3309/04, 28770/05) – non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è diretto soltanto all’eliminazione dell’atto impugnato, bensì ad una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria. Sicchè il giudice tributario che ritenga solo in parte fondato il ricorso del contribuente, non può – di certo – limitarsi ad annullare l’atto impugnato, essendo, per contro, tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria ed a quantificare la pretesa erariale. E tuttavia, il giudice deve procedere a siffatta rideterminazione pur sempre entro i limiti posti dal petitum delle parti, costituenti un limite invalicabile ai poteri cognitivi ed estimativi del giudice tributario (cfr., ex plurimis, Cass. 3309/04, 28770/05, 11212/06, 9774/10).

Ed invero, osserva la Corte che la connotazione di tale giudizio come “impugnazione” comporta, in ogni caso il vincolo del giudice ai motivi di censura dell’atto impugnato fatti valere dalla parte. Nel giudizio tributario, infatti, l’oggetto del dibattito processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato, e dall’altro dagli specifici motivi di impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. e) (Cass. 10779/07).

Il riferimento al “merito”, che connota tale tipo di impugnazione, non può essere inteso, dunque, nel senso di una sostituzione piena del giudice tributario all’amministrazione, con potere di diretta riforma degli atti impugnati, come accade nel processo amministrativo di merito, ma solo come necessaria indagine sul rapporto tributario – evitando, in tal modo, una decisione meramente rescindente – limitata, però, al riscontro della consistenza della pretesa erariale, nei limiti delle censure mosse dalla parte all’atto impugnato.

1.2.5. Il motivo di ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria, per tutte le ragioni esposte, non può, pertanto, che essere accolto.

2. L’accoglimento della censura mossa all’impugnata sentenza ne comporta la cassazione.

3. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte nell’esercizio del potere di decisione nel merito, di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso proposto da A.C. nel primo grado del processo.

4. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente;

compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2011

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