Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21755 del 28/08/2019

Cassazione civile sez. III, 28/08/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 28/08/2019), n.21755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18740/2017 proposto da:

R.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

94, presso lo studio dell’avvocato MAURO LONGO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI POMEZIA, EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE

– RISCOSSIONE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 102/2017 del TRIBUNALE di VELLETRI, depositata

il 16/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/02/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.E. convenne davanti al Giudice di Pace di Velletri il Comune di Pomezia ed Equitalia Sud lamentando di aver ricevuto un’intimazione di pagamento emessa in ragione di cartella esattoriale per Euro 369,87, assumendo che la predetta cartella era stata già annullata con pregressa sentenza del Giudice di Pace.

Il Giudice di Pace di Velletri, con sentenza n. 889 del 2009, dichiarò l’inammissibilità della domanda stante il difetto di giurisdizione del giudice adito. Il R. presentò appello chiedendo di riformare la sentenza in punto di giurisdizione e chiedendo nel merito l’accertamento dell’inesistenza o nullità della cartella esattoriale, e l’insussistenza del credito azionato.

Il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 102/2017, ha dichiarato inammissibile l’appello perchè non conforme alle prescrizioni dell’art. 342 c.p.c., in quanto, avendo l’appellante avanzato specifica doglianza sulla erronea declaratoria di inammissibilità dell’azione compiuta dal primo giudice (per omessa/erronea dichiarazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1 e della L. n. 689 del 1981, art. 22 bis), egli si sarebbe limitato alla pars destruens del gravame senza provvedere alla parte costruens e cioè alla redazione di un progetto alternativo di decisione. L’appellante non si sarebbe attenuto al nuovo testo dell’art. 342 c.p.c., che prescrive, quali requisiti della motivazione a pena di inammissibilità, l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuto dal giudice di primo grado, con esposizione dei motivi specifici per i quali la decisione viene contestata, nonchè la redazione di un progetto alternativo di decisione e la presenza di una sufficiente motivazione. La mancanza di uno di questi elementi, nel nuovo testo dell’art. 342 c.p.c., può essere rilevata d’ufficio dal giudice e non è sanabile.

Avverso la sentenza che ha, per l’appunto, dichiarato inammissibile l’appello ai sensi e per gli effetti dell’art. 342 c.p.c. e condannato l’appellante alle spese del doppio grado del giudizio, liquidate in Euro 2.000, R.E. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Nessuno resiste al ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. – il ricorrente si duole della pronuncia di inammissibilità dell’appello, argomentando che, richiedendosi nel caso di specie la declaratoria di nullità di un atto, la “redazione di un progetto alternativo di sentenza ” in null’altro poteva consistere che non, per l’appunto, nella richiesta di annullamento, sicchè il riferimento del Tribunale si tradurrebbe in uno stanco clichè privo di alcun rilievo motivazionale, anche alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’art. 342 c.p.c., richiede soltanto che l’appellante individui in modo esauriente e chiaro il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata e formulando le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, ispirandosi, peraltro al favore per una decisione di merito piuttosto che di mero rito (Cass., S.U., 12/12/2014 n. 26242). Peraltro, anche nella prospettiva Eurounitaria, l’art. 6 del Trattato UE individua, tra i principi sanciti dalla Cedu, quello all’effettività della tutela giurisdizionale, escludendo gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi.

1.1. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente non soddisfa infatti i requisiti di autosufficienza del ricorso, perchè, limitandosi tralatiziamente a contestare il capo di sentenza che ha richiesto un progetto alternativo di sentenza, non esplicita nè quale sia stata la motivazione addotta dal giudice di prime cure nè come siffatta scelta decisoria sia stata contestata.

2. Con il secondo motivo – violazione dell’art. 92 c.p.c. – denuncia la sentenza nella parte in cui ha omesso di compensare le spese di lite. Ad avviso del ricorrente la sentenza, considerata la particolarità della questione e la possibilità di disporre sulle spese, indipendentemente dalla soccombenza, avrebbe dovuto disporre la compensazione delle spese di lite o, quanto meno, motivare in relazione alle ragioni della mancata compensazione.

2.1 Il motivo è infondato in quanto il Giudice di merito ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, non essendovi affatto i presupposti per la compensazione. Occorre a tal proposito rilevare che il motivo difetta anche di autosufficienza in quanto non consente di conoscere se la sentenza di primo grado avesse disposto la compensazione delle spese e se vi fosse stato sul punto appello incidentale della controparte.

3. Con il terzo motivo denuncia l’illegittima, erronea ed immotivata determinazione delle spese di lite a carico del soccombente. Segnatamente il ricorrente censura la sentenza per aver quantificato le spese del doppio grado del giudizio senza attenersi ai criteri imposti dal D.M. n. 55 del 2014. In base a detta normativa ed in presenza di un valore della causa di Euro 369,87, il giudice avrebbe dovuto liquidare, per il primo grado, applicando i valori medi, una somma di Euro 330,00 e per il grado di appello una somma di Euro 477,00, per un totale di Euro 807,00 oltre accessori, anzichè, come liquidato, la esorbitante somma di Euro 2.000, rispondente ad un’ottica punitiva.

3.1 Il motivo è inammissibile sotto diversi concorrenti profili. Innanzitutto il riferimento ai valori medi impinge in una valutazione del giudice del merito, sicchè questa Corte neppure può pronunciarsi su tale apprezzamento discrezionale. In secondo luogo il motivo pecca di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il ricorrente neppure deduce di aver fornito elementi per la quantificazione del dovuto e se l’altra parte avesse o meno presentato la nota spese sicchè non è possibile ipotizzare se il Giudice si sia attenuto o meno ad essa. In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, la liquidazione delle spese giudiziali deve essere compiuta dal giudice in modo tale da mettere la parte interessata in grado di controllare il rispetto dei limiti delle relative tabelle e, quindi, di denunciare le eventuali specifiche violazioni della legge o delle tariffe. Pertanto la liquidazione globale può essere ammessa solo se sia stata presentata la nota spese, ai sensi dell’art. 75 disp. att. c.p.c., dovendosi in tal caso presumere che il giudice abbia voluto liquidare le spese in conformità di tale nota; quando invece, questa, in violazione delle citata norma, non sia stata presentata, il giudice ha sì il potere-dovere di liquidare le spese sulla base degli atti di causa ma deve indicarli specificamente nella misura necessaria a consentire alla parte il suddetto controllo di conformità (Cass., L, n. 19269 del 3/10/2005, Cass., 1, n. 16993 del 1/8/2007).

4. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese per mancata attività difensiva da parte resistente. Occorre, invece, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2019

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