Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21755 del 27/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 27/10/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 27/10/2016), n.21755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16011-2011 proposto da:

F.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Via G

Caccini 1, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO VILLATA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREINA DEGLI

ESPOSTI, come da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale –

contro

P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Via

L. Mantegazza 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIAGABRIELLA SPATA, come da

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 250/2011 della CORTI d’appello di LECCE,

depositata il 23/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Emanuela Romanelli per delega Villata e l’avvocato

Maria Gabriella Spata, che si riportano agli atti e alle conclusioni

assunte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che conclude per il rigetto del primo motivo del

ricorso principale, assorbiti gli altri; assorbito ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale.

1. “Con citazione notificata il 5.9.2000 P.G. conveniva in giudizio F.C. esponendo: 1) di essere proprietario di un immobile sito in (OMISSIS) in catasto censito al fg. (OMISSIS) p.lla (OMISSIS), confinante con quello di proprietà del F.; 2) questi aveva realizzato a distanza inferiore di quella legale la propria costruzione illegittima e foriera di danni. Chiedeva quindi, previo accertamento di quanto esposto, condannarsi il convenuto all’arretramento della propria costruzione sino alla distanza legale e al risarcimento dei danni, con vittoria di spese. Costituendosi F. contestava l’avverso dedotto, chiedendone il rigetto. Con vittoria di spese”.

2. Acquisita in atti pertinente documentazione ed espletata CTU, con sentenza ex art. 281 sexies, resa all’udienza del 26.11.2007, il G. U. presso il Tribunale di Brindisi – sede distaccata di Francavilla Fontana – accoglieva per quanto di ragione la domanda attrice condannando F. ad arretrare la propria costruzione fino a mt. 5 dalla linea di confine tra le due proprietà in causa, mentre rigettava la domanda risarcitoria. Compensava nella misura del 50% le spese di lite ponendo l’obbligo del pagamento del residuo a carico del convenuto ed in favore dell’attore”.

2.1 – “A fondamento della decisione il primo giudice evidenziava la fondatezza della domanda attrice proposta in via principale posto che la costruzione del convenuto, in base alle indagini espletate dal CTU, risultava effettivamente essere stata realizzata a una distanza dal muro di confine tra le propietà delle parti variabile da mt. 2,60 a mt. 2,48 e come tale certamente inferiore a quella stabilita dal programma di fabbricazione vigente nel Comune di (OMISSIS), in base al quale la distanza minima tra costruzioni era fissata in mt. 5 dal confine. Ritenendo quindi non applicabile alla fattispecie – diversamente da come opinato dalla difesa del convenuto – la distanza di metri tre stabilita dalla relazione tecnica allegata al P.d.F. sul rilievo della prevalenza delle disposizioni del P.d.F., il Tribunale evidenziava inoltre che – fermo dunque restando il limite dei 5 mt – il convenuto avrebbe potuto realizzare il proprio edificio sul confine facendo valere il principio della prevenzione e obbligando in tal guisa il proprietario confinante a costruire in aderenza, ovvero a distaccarsi dal confine di 5 metri, ma che di tale facoltà il F. non si era avvalso preferendo edificare a distanza variabile tra mt. 2,60 e 2,48 vale a dire in posizione illegittima, così giustificandosi l’ordine di arretramento. Rigettava invece la domanda risarcitoria proposta da P. evidenziando sostanzialmente l’insussistenza di nesso causale diretto tra la realizzazione della costruzione da parte del convenuto a distanza inferiore di quella legale e il diniego da parte della P.A. all’approvazione di un progetto da lui presentato per la realizzazione di un immobile da destinare a deposito (con conseguente lamentato pregiudizio economico), posto che a base della decisione – peraltro confortata dalla pronuncia giurisidizionale confermativa del TAR Lecce – l’Ente comunale aveva posto il rilievo che “l’area su cui edificare è estesa per mq 710 circa, mentre il P.d.F. impone per il comparto A43 un lotto minimo pari a mq. 800″”.

3. “Avverso tale decisione con citazione notificata il 28.4.2008 interponeva appello F.. Resisteva P., il quale proponeva a sua volta appello incidentale”.

B. La adita Corte territoriale rigettava entrambi gli appelli.

1. Osservava, quanto alla distanza, che il piano di lottizzazione (in quanto accordo fra ente comunale e privato ed in assenza di approvazione regionale) non può derogare alle regole urbanistiche definite dal piano di fabbricazione. Le distanze applicabili erano quindi definite dal piano di fabbricazione che prevedeva la distanza “assoluta” tra costruzione e confine di 5 metri e la distanza di 10 metri tra le costruzioni. Inoltre, il piano di fabbricazione non prevedeva la possibilità di costruire in aderenza con conseguente esclusione della possibilità di applicare il principio della prevenzione.

2. Quanto risarcimento del danno in tesi sofferto dal P., la corte locale osservava che il diniego da parte dell’amministrazione comunale era conseguente alla carente superficie del lotto, inferiore a quella minima necessaria prevista dal piano di fabbricazione. Ciò escludeva il nesso di causalità con la costruzione effettuata a distanza inferiore a quella legale.

C. Impugna tale decisione F.C. con ricorso articolato in sei motivi. Resiste con controricorso il signor P., che a sua volta avanza ricorso incidentale affidato ad un motivo. Il signor F. resiste con controricorso al ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A. Il ricorso principale.

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo si deduce: “Ex art. 360, n. 3 violazione di norme di legge, in particolare violazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 e della L. n. 47 del 1983, art. 23”. Osserva il ricorrente che il giudice di merito ha errato nel disapplicare “il P.d.L. di iniziativa comunale, approvato dal Comune di (OMISSIS) nel 1984 – che prevedeva per le distanze degli edifici dal confine una disciplina meno rigorosa del P.d.F., soltanto sulla base di alle affermazioni teoriche ed astratte in merito ad una sua natura “subordinata”, prescindenti dal dettato della prima norma (D.M. n. 1444 del 1968, art. 9) nonchè in conflitto con il dettato della seconda (L. n. 47 del 1983, art. 25). Osserva che “la giurisprudenza citata dalla sentenza impugnata non coglie nel segno, trattando di questioni del tutto diverse da quella oggetto di causa”, posto che nel caso in questione è stata “la stessa Amministrazione a deliberare ed approvare un P.d.L. di interesse pubblico”. Ricorda che il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 prevede che “Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino Oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche” ed osserva che “nel caso che ci occupa ricorre proprio tale ultima previsione e cioè, un P.d.L. di iniziativa comunale che prevede distane inferriori – oltretutto solo con riferimento alle distanze dal confine – rispetto a quelle indicate nel P.d.F”. Di qui la legittimità della deroga da parte del P.d.L. alla disciplina urbanistica generale.

Inoltre, “al Comune di (OMISSIS) è lo stesso P.d.F. che richiama espressamente il suddetto D.M. n. 1444 del 1968, art. 9”, posto che “nelle “prescizioni particolari” della Tabella dei tipi edilizi annessa al Programma di Fabbricazione datato 1972 e definitivamente approvato nel 1977 “valgono le norme di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, agli artt. 7-9 e 9). Aggiunge che “la legittimità del P.d.L. discende a maggior ragione dall’applicazione della L. n. 47 del 1985, asrt. 25 solo astrattamente richiamato ma invero disapplicato dalla sentenza impugnata”. Risulta, secondo il ricorrente, non comprensibile il riferimento effettuato dalla Corte locale “alla L. n. 47 del 1985, art. 25 nel passo della motivazione già citato, alfine di implicitamente dedurre la presunta illegittimità del P.d.L. “stante la mancanza della necessaria approvazione da parte dell’autorità regionale” (b. 5 sentenza impugnata). Quest’ultima affermazione è stata fatta senza far riferimento ad alcun documento agli atti dal quale poter eventualmente desumere una tale mancanza ed illegitllinità, ed ha portato alla disappliccazione di fatto della L. n. 47 del 1983, art. 25 solo astrattamente richiamato”. E ciò malgrado risulti che “il P.d.L è stato emanato legittimamente e regolarmente, tanto che è stato sottoposto anche al vaglio del TAR locale e giudicato legittimo nelle sue prescrizionio”. Inoltre, “dai documenti acquisiti in causa, nelle delibere di approvazione del p.d.r. prodotte in atti (documenti da n. 11 a n. 15 allegate alla memoria istruttoria di parte F.), si legge che “con nota n. 426 del 24.1.1980, si sono inviati alla Regione Puglia Assessorato dell’Urbanistica, gli elaborati relativi alla lottizzazione per l’esame e la relativa approvazione” (si vedano ad esempio le premesse alle Delib. n. 12 e 13 tutte le Delib. comunali sono corredate dal visto di presa d’atto della “Regione Puglia – Sezione provinciale di controllo Brindisi”; ed in calce alle stesse si legge testualmente che viene conferito espressamente incarico al sindaco “di procedere a tutti gli obblighi conseguenti previsti dalla L.R. n. 36 del 1980, art. 21 e art. 35″ (si vedano le ultime pagine dei docc. n. 14 e 15), i quali prevedono, appunto, la procedura semplificata prevista dalla Regione Puglia per l’adozione di piani particolareggiati”.

Rileva il ricorrente che “sono, poi, l’art. 16 e 16bis medesima L.R. suddetta a prevedere che le varianti al PRG non necessitano della previa approvazione dell’autorità regionale ma seguono l’iter previsto dallo stesso art. 16 per l’approvazione del PRG stesso, iter semplificato nella fase istruttoria per i Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti come nel caso di specie e pienamente rispettato”.

Aggiunge che “in ogni caso, tale circostanza è irrilevante alla luce del fatto che la presunta illegittimità del P.d.L., per mancato controllo regionale o per qualsivoglia altro motivo, non è stata mai neanche dedotta da alcuna delle parti e la sua deduzione ad opera del giudice, dovendosi ritenere rivelazione di una invalidità dell’atto amministrativo la cui deduzione è riservata alle parti, è stata fatta in violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per cui si veda il successivo motivo di ricorso”.

1.2 – Col secondo motivo si deduce: ex art. 360, n. 4, nullità della sentenza per contrasto con l’art. 112 c.p.c.. ultrapetizione per aver ritenuto la Corte illegittimo il P.d.L. in virtù di un presunto mancato rispetto dell’iter di approvazione da parte della regione, circostanza mai dedotta in atti da alcuna delle parti e sulla quale non vi è stato contraddittorio. Omessa pronuncia sul giudicato amministrativo esistente tra le parti in causa”.

Osserva il ricorrente che “la legittimità del P.d.L. era pacifica tanto che lo stesso P. lo aveva invocato a più riprese (…) atto di citazione avversario in cui lo stesso P. invoca l’applicabilità al caso di specie del P.d.L”.

Rileva ancora che “la presunta illegittimità dell’iter di approvazione del P.d.L. stata dichiarata dalla Corte di Appello senza far riferimento ad alcun documento agli atti dal quale poter eventualmente desumere una tale mancanza ed illegittimità”, mentre “il P.d.L. è stato emanato legittimamente e regolarmente e tale circostanza risultava perfettamente agli atti, per cui vedi le evidenze documentali riportate testualmente nel precedente motivo di impugnazione”..aggiunge che “tanto ciò è vero che il P.d.L. è stato sottoposto anche al vaglio del TAR locale e giudicato legittimo nelle sue prescrizioni “.

Aggiunge ancora il ricorrente che “sussiste nel caso di specie anche violazione del giudicato formatosi tra le odierne parti in causa, con la sentenza sopra, già richiamata del TAR Lecce, nella quale si afferma la piena legittimità dello stesso P.d.L. e dei limiti di edificazione dal confine in esso previsti”.

1.3 – Col terzo motivo si deduce: “Ex art. 360, n. 4, nullità della sentenza per contrasto con gli artt. 115,116 e 132 c.p.c.. Motivazione apparente ed omessa valutazione ad opera della Corte di appello del contenuto di un documento agli atti la Tabella di annessione al Programma di Fabbricazione del comune di (OMISSIS), (anche soltanto “P.d.F.”)) da cui emergeva la possibilità di costruzione in aderenza in alternativa al rispetto di distanze minime dal confine e dai fabbricati”.

Osserva il ricorrente che “sotto un diverso profilo la sentenza si palesa comunque nulla in quanto il P.d.L. derogava al P.d.F. esclusivamente per la distanza dal confine ma non certo per la possibilità di costruire in aderenza, già prevista dal P.d.F. e semplicemente confermata dal P.d.L.”. Infatti, “il Programma di fabbricazione prevedeva la possibilità di costruire in aderenza ma tale circostanza è stata del tutto ignorata dal Giudice di merito che ha affermato l’esatto contrario senza nulla motivare in merito”.

Secondo il ricorrente, ciò risulterebbe dalla Tabella di annessione degli indici (doc n 8 allegato all’elaborato peritale) nella quale è inserito il limite “L” di distanza dal confine come L inferiore o uguale a 5, simbolo matematico che – come noto – significa inferiore o uguale a 5, il che implica la possibilità di costruire in aderenza o ad una distanza inferiore a 5 metri dal confine qualora non vi siano edifici sul lotto confinante”. Aggiunge il ricorrente che “non c’è da stupirsi che una tale facoltà sia stata prevista anche solo implicitamente con l’uso di simboli, in quanto si tratta pur sempre di normativa che intera le disposizione del codice civile ed in particolare l’art. 873 c.c. nel quale la costruzione in aderenza è prevista espressamente. Rileva che anche per “il CTU, in applicazione del P.d.F. si sarebbe potuto costruire in aderenza, facendosi applicazione del principio di prevenzione, circostanza che non è stata presa in alcuna considerazione da parte della Corte di appello”. Aggiunge che non rileva che sul “significato dell’indice edilizio ci sarebbe stata una nota esplicativa da parte dell’Ufficio Urbanistico Regionale, nota mai citata, non presente agli atti e della cui esistenza sinceramente si dubita”, posto che “il significato del simbolo è evidente”.

Secondo il ricorrente, la Corte locale ha errato ritenendo che “non si sarebbe potuto costruire in aderenza (…), al solo fine di poter fare riferimento alla giurisprudenza consolidata di Codesta Ecc.ma Corte nei casi in cui effettivamente una tale previsione non ci sia”.

1.4 – Col quarto motivo si deduce: ((Ex art. 360, n. 5. Contraddittoria o comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e cioè sulla possibilità di costruzione in aderenza in alternativa al rispetto di distane minime dal confine e dai fabbricati”. In ogni caso, anche ove non fosse ritenuta la suddetta violazione di legge, vi sarebbe “quanto meno un vizio assoluto di motivazione in cui è incorsa la Corte di appello di Lecce”, che non ha motivato “il perchè abbia valutato la Tabella di annessione al P.d.F. stesso in contrasto con quanto dalla presente difesa già argomentato in sede di comparati conclusionale nonchè (…)in contrasto con le conclusioni svolte dalla CTU”. Ha utilizzato l’avverbio “pacificamente”, ma non spiegato perchè “avrebbe ritenuto non sussistente la possibilità di costruire in aderenza”.

Aggiunge il ricorrente che tale carenza di motivazione è “il punto cruciale e fondante la decisione della sentenza oggi impugnata in quanto, qualora fosse possibile per gli strumenti urbanistici generali costruire in aderenza, il Sig. P. non avrebbe mai potuto agire per la riduzione in pristino e l’arretramento della costruzione, come da sempre sostenuto dalla presente difesa”. Osserva ancora “il difetto di domande alternative ad opera della parte attrice avrebbe dovuto portare al rigetto della richiesta di arretramento sic et simpliciter mentre non può costituire un argomento a fortiori per riconoscergli una tutela illegittima”.

1.5 – Col quinto motivo si deduce: Ex art. 360, n. 3, violazione del combinato disposto degli artt. 872,873 e 875 c.c.nonchè delle norme dei regolamenti locali che stabilivano la facoltà di costruire in aderenza o sul confine”. Rileva che la Corte di appello “è incorsa in un ulteriore violazione di legge, non giungendo ad applicare correttamente il combinato disposto degli artt. 872 e 873 c.c. e dei regolamenti locali da quest’ultima disposizione richiamati, disapplicando il principio di prevenzione che trova la sulla base normativa nell’art. 875 c.c.”.

Osserva che “non è possibile condannare alla riduzione in pristino e/o all’arretramento della costruzione edificata in violazione delle distanze imposte dai regolamenti edilizi, qualora questi stessi regolamenti prevedano la facoltà di costruzione sul confine”.

Conclude, quindi, affermando che “dovrà farsi applicazione nel caso che ci occupa al principio di prevenzione e dovrà rigettarli definitivamente la domanda di arretramento della costruzione di proprietà F. dal confine, vuoi in applicazione delle previsioni del P.d.L. approvato nel 1984 vuoi – in via subordinata – in applicazione delle previsioni del P.d.F., comunque previdenti – sebbene in modo implicito nell’utilizzazione di un segno matematico – la facolta di costruzione in aderenza o sul confine”. Osserva in aggiunta che “il combinato disposto degli artt. 872 e 873 c.c., stante l’esplicito riferimento di quest’ultima disposizione alle sole distanze “tra fabbricati” e non anche alle distanze dal confine, va interpretato restrittivamente come legittimante la richiesta di arretramento, in forza del richiamo dell’art. 872 c.c., comma 2 solo in caso di violazione di distanze minime tra fabbricati”, posto che “la disciplina urbanistica delle distanze sembra rivestire natura pubblicistica inderogabile soltanto laddove impone delle distanze minime tra fabbricati, mentre analoga natura inderogabile non sembra potersi attribuire alle previsioni di distanze dal confine in assenza di fabbricati sul fondo finitimo”. Tale “più ristretta interpretazione del c.d. degli artt. 872 e 873 c.c. trova sostegno anche nel dettato del D.M. n. 1444 del 1965, art. 9 il quale anche parla esclusivamente di distanza tra fabbricati e non di distanza dai confini, richiamo limitato che avvalora la natura pubblicistica inderogabile esclusivamente di tali limitazioni”.

Osserva, quindi, che “in un caso come quello che ci occupa la corretta applicazione del principio suddetto non avrebbe potuto portare in ogni caso alla condanna di arretramento, stante l’avvenuta sanatoria da un punto di vista amministrativistico del fabbricato stesso, ma soltanto ad una richiesta di risarcimento degli eventuali danni, in quanto pacificamente sul fondo del Sig. P. non c’era e non c’è ancora oggi alcuna costruzione”.

Aggiunge che “in assenza di una specifica domanda risarcitoria legata al solo fatto che il Sig. F. avesse costruito a distanza inferiore dal confine, la Corte avrebbe in ogni caso dovuto rigettare tutte le domande formulate dal sig. P..

1.6 – Col sesto motivo si deduce: “Ex art. 360, n. 3, violazione del combinato disposto degli artt. 872,873 e 875 c.c. per mancato rilievo dello ius superveniens e cioè l’approvazione medio tempore del giudizio in appello, in particolare con Delib. 23 marzo 2010, art. 9 il cui controllo di compatibilità regionale è avvenuto con Delib. G.R. 23 febbraio 2010, n. 461, del Piano Urbanistico Generale (di seguito anche solo “PUG”) del Comune di (OMISSIS) che prevede inequivocabilmente in modo espresso e chiaro la legittimità delle costruzioni in aderenza.

Rileva il ricorrente che “la sentenza impugnata si mostra ulteriormente censurabile per violazione del combinato disposto degli artt. 872 e 873 c.c. e dei regolamenti locali da quest’ultimo richiamati, in quanto non ha dato rilievo alla nuova normativa regionale in materia di distanze dal confine e tra edifici sopravvenuta nelle more proprio del giudizio di appello e, cioè, all’intervenuta approvazione dello PUG del Comune di (OMISSIS), avvenuta nel marzo del 2010”. Chiarisce di aver sollecitato l’applicazione di tale nuova normativa, peraltro applicabile d’ufficio, nella memoria conclusionale in appello. Aggiunge che “oggi, in forza del PUG sopra citato, la costruzione in aderenza è possibile, come si può evincere dalle Norme Tecniche di Attuazione che si depositano unitamente al presente ricorso (doc n. 4), nelle quali si legge espressamente nella riga della zona A2 TUC Centro urbano consolidato, CUI appartengono i lotti in oggetto (doc. n. 5), ed esattamente nella colonna relativa al Distacco minimo “m5 o in aderenza” dai confini e dai fabbricati “con fabbricati esistenti non in aderenza: 5m dal confine. In aderenza o m5″”. Secondo tale nuova normativa oggi ben potrebbe il Sig. F. ricostruire il proprio fabbricato esattamente dove si trova, stante la mancanza di edifici costruiti nel terreno del Sig. P.”.

Lo ius superveniens meno restrittivo è applicabile in assenza di giudicato. Osserva ancora il ricorrente “risulta allora ulteriormente violato anche l’art. 875 c.c. nel quale il principio di prevenzione – più volte invocato – trova la propria base normativa”.

B. Il ricorso incidentale.

1. Con l’unico motivo di ricorso il P. lamenta il rigetto della sua domanda di risarcimento dei danni e deduce: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente motivazione”.

Rileva di aver censurato in appello la decisione del Tribunale che aveva negato il risarcimento del danno, “il quanto il pregiudizio che l’attore subisce nel non poter edificare sul lotto di sua proprietà discende dalla predetta limitatezza dell’area edificabile, situazione casualmente non imputabile al convenuto”. Osserva che risultava invece dalla espletata CTC: che l’amministrazione si era negativamente espressa sia perchè “l’area si cui edificale è estesa per mq. 710 circa, mentre il P.d.F. impone per il composto A43 un lotto minimo pari a 800 mq.” e sia perchè “il progetto non rispetta le distanze dai fabbricati esistenti sui lotti finitimi”. Secondo il ricorrente, “il Tribunale non poteva ritenere priva di rilievo la circostanza accertata dal C.T.U. con la relazione integrativa 20/3/2007 relativa alla esistenza di progetti assentiti dal Comune su lotti in deroga alla superficie minima e non facenti parte di quelli per i quali il P.d.L. ha previsto una esplicita possibilità di deroga”, posto che “l’esistenza di tali progetti, infatti, escludeva che l’impossibilità di edificare da parte del sig. P. sul lotto di sua proprietà risiedesse esclusivamente nella insufficiente della superficie del lotto rispetto a quello minimo previsto”.

Aggiunge che era stato evidenziato in appello che “il nuovo PUG, approvato con Delib. CC 23 marzo 2010, n. 9 per le zone in cui ricadono i lotti di proprietà P. e F., non condiziona più l’edificabilità all’esistenza di un lotto minimo,- mentre nello stesso è sempre previsto il rispetto della distanza di mt. 5,00 dei fabbricati dal confine”. Aggiunge ancora che “la statuizione con la quale la Corte di merito ha rigettato l’appello incidentale proposto dal sig P. è censurabile per difetto di motivazione, non avendo il Giudice dell’appello specificato perchè le complesse circostanze e argomentazioni dall’appellante incidentale siano stati ritenute irrilevanti o meglio siano state del tutto ignorate”.

C. Le motivazioni della sentenza impugnata quanto alle questioni oggetto dei ricorsi.

1. Questioni ricorso F..

“Premesso che il Piano di lottizzazione altro non è che un accordo (cd. convenzione di lottizzazione) con il quale l’ente comunale ed il privato conferiscono attuazione alle regole urbanistiche definite dal Programma di Fabbricazione in relazione all’area interessata prevedendone la suddivisione in lotti edificabili e la realizzazione delle opere necessarie di urbanizzazione rilevato che tra i due stgrumenti, quello generale e quello attuativo, sussiste un rapporto di necessaria compatibilità avendo il secondo natura subordinata rispetto al primo non potendo introdurre prescrizioni difformi (cfr. Tar Piemonte 9.4.2010 n.1752; Consiglio di Stato 2.3.2001 n. 1181, TAR Lazio Latina 3.8.1982 n.253), correttamente il primo giudice ha ritenuto di riconoscere prevalenza all’applicazione delle disposizioni contenute nel P.d. F. di (OMISSIS) in materia di distanze tra costruzioni invece che a quelle (difformi, peraltro minori e pertanto incompatibili con il P.D.F.) contenute nello strumento attuativo sul rilievo che quest’ultimo non potesse mutare, gli indici di quello generale stante la mancanza della necessaria approvazione da parte dell’autorità regionale, giusta la previsione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 25, comma 1 richiesta nell’ipotesi in cui (come quella in rassegna) lo strumento attuativo contenga prescrizioni in variante agli strumenti urbanistici generali. Dall’esame della Tabella di Annessione al P.d.F vigente nel Comune di (OMISSIS) (approvato nel 1972 ed integrato nel 1975) risulta il fatto pacificamente che la disatanza assoluta delle costruzioni dai confini è stabilita in mt. 5, ed è stabilita in mt 10 la distanza tra le costruzioni stesse. Così stando le cose, prevedendo cioè lo strumento urbanistico generale in esame in modo esplicito la distanza minima tra edifici e confine e non contemplando la possibilità di costruire in aderenza, deve escludersi nell’ipotesi in rassegna (e sul punto il motivo di appello incidentale risulta fondato sicchè la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi integrata dalla presente pronuncia) la possibilità di applicazione del principio della prevenzione (costante la giurisprudenza nomofilattica sul punto, cfr. Cass: 5.10.2001 12291, Cass. 2.10.2000 n. 1307, Cass. 24.6.92 n. 7754). Ne deriva in conseguenza l’impossibilità del ricorso all’applicazione delle opzioni edificatorie stabilite dall’art. 875 c.c. tanto più ove con riferimento ad esse difettava una specifica domanda di parte attrice, la quale si era limitata ad invocare quale unica forma di tutela della sua proprieà l’arretramento della costruzione del confinante fino alla distanza minima prevista dal PdF. La decisione impugnata deve quindi sul capo in rassegna essere confermata, con le integrazioni testè esposte”.

2 – Con riguardo all’appello incidentale proposto da P., la Corte locale così ha motivato. “Come correttamente evidenziato dal primo giudice, la vicenda era stata oggetto di giudizio dinanzi al TAR di Lecce che con la sentenza n. 2202 del 19.6.2002 respingendo il ricorso di P. aveva già evidenziato la legittimità del diniego espresso dall’amministrazione comunale sull’assorbente rilievo della minore estensione del lotto edificabile (mq. 710) rispetto a quella prescritta dal PdF (mq. 800). Ne deriva che, quand’anche la costruzione del F. fosse stata realizzata nel totale rispetto delle prescrizioni urbanistiche fissate dal PdF, l’estensione del lotto cui si riferiva il progetto si sarebbe comunque posta come un dato oggettivo insuperabile ostativo all’accoglimento della richiesta di concessione edilizia, rispetto al quale difettava ogni apporto causale del convenuto cui quindi non poteva essere chiesto alcun risarcimento”.

D. Il ricorso principale è infondato.

1. Il primo motivo è infondato.

Si sostiene che la Corte d’appello non poteva disapplicare il piano di lottizzazione che non ha natura subordinata al piano di fabbricazione ed era stato emanato in conformità al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e della L. n. 47 del 1985, art. 25. La prima norma, infatti, prevede la possibilità di definire distanze inferiori nel caso di “gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate” come nel caso in questione, ove era stato lo stesso Comune, per un evidente interesse pubblico, a prevedere tali minori distanze. Inoltre il piano di lottizzazione era conforme anche alla L. n. 47 del 1985, art. 25 perchè, malgrado la apodittica affermazione del giudice d’appello, vi era stata l’approvazione regionale. A tal fine il ricorrente descrive l’iter seguito e concluso.

1.1 – Il motivo è infondato. Occorre premettere che questa Corte, quanto alla qualificazione giuridica del programma di fabbricazione, ha già avuto occasione di affermare che: a) “in virtù dell’assimilabilità al piano regolatore generale operata dalla Corte costituionale con la sentenza n. 23 del 20 marzo 1978 il programma di fabbricazione, avendo natura di atto normativo regolatore a carattere generale e, quindi, cogente, anche nei confronti della P.A., integrativo del regolamento edilizio” (Cass. 2006 n. 6058); b) “Superato il divario tra programma di fabbricazione e piano regolatore generale per effetto della sentenza della corte costituzionale del 20 marzo 1978, n. 23, al primo, finquando non è approvato il secondo dall’organo di controllo dell’ente territoriale che lo ha adottato, va riconosciuta la finzione di strumento di sistemazione urbanistica tipico e normale del territorio comunale, anche per le eventuali varianti apportate – com’è desumibile dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 25 che prevede l’approvazione degli strumenti attuativi in variante degli strumenti urbanistici generali – con conseguente legittimità dei vincoli con esso imposti alla proprietà privata anche in tema di distanze tra costruzioni, costituendo detto programma, a decorrere dalla sua pubblicazione – o da quella della variante ad esso – mediante affissione nell’albo pretorio, parte integrante dei regolamenti locali, mentre, fino a tale data, i rapporti di vicinato sono disciplinati dalle precedenti norme locali, o dall’art. 873 c.c., o dalle leggi speciali, non rilevando l’obbligatoria applicazione delle misure di salvaguardia di cui alla L. 3 novembre 1952, n. 1902, art. 1 e della L. 6 agosto 1967, n. 675, art. 3 integrativa della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 10 perchè la normativa in contenuta è destinata a Sindaci e Pr fatti per fini di interesse pubblico e non interferisce sulla disciplina dei rapporti privati” (Sez. 2, Sentenza n. 12127 del 02/07/2004, Rv. 574046).

Tanto premesso occorre osservare che il piano di lottizzazione è necessariamente subordinato al piano di fabbricazione, dovendosi esso perimetrare negli stessi confini del piano di fabbricazione, risultando altrimenti il provvedimento di lottizzazione adottato in deroga al piano di fabbricazione, senza il rispetto delle modalità di approvazione cui soggiace detto piano. Sul punto la Corte locale ha escluso che fosse intervenuta l’approvazione regionale.

Il motivo poi è infondato perchè il D.M. invocato, art. 9) con riguardo alla deroga per gruppi di edifici è applicabile soltanto alle distanze tra edifici e non anche alle distanze dai confini, non previste nel citato decreto ministeriale. Si tratta di aree di operatività di limiti del tutto diverse e non tra loro intercambiabili. Il richiamo a tale norma – nei limiti in cui è effettuato dal ricorrente – è quindi inconferente. Quanto alle deduzioni svolte con riguardo all’intervenuta approvazione del piano di lottizzazione da parte della Regione secondo l’iter indicato nel ricorso, si tratta di questione nuova, sviluppata, come è pacifico, in sede di comparsa conclusionale d’appello e che non è equiparabile ad una mera argomentazione difensiva in assenza totale di contraddittorio sul punto, anche quanto all’iter applicabile e seguito in concreto.

2 – Anche il secondo motivo è infondato. Si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè nessuno aveva contestato che non fosse intervenuta l’approvazione della Regione sul piano di lottizzazione. Si aggiunge che vi era inoltre un giudicato amministrativo sul punto.

A parte la considerazione che il motivo – nei termini in cui è articolato – sembra prospettare un vizio revocatorio, occorre rilevare che non sussiste un giudicato del giudice amministrativo, posto che quello dedotto in causa si limita a statuire sulla legittimità o meno del diniego da parte della pubblica amministrazione sul progetto di costruzione, con una decisione fondata esclusivamente sull’assenza della necessaria estensione del terreno.

3 – infondato anche il terzo motivo. Si assume che la Corte locale non avrebbe considerato che dalla “tabella di annessione degli indici al programma di fabbricazione” risulta la possibilità di costruire a confine. Tale tabella riporta, infatti, come limite della distanza l’espressione matematica contenente il segno di maggiore o uguale a 5. Ciò, secondo il ricorrente è sufficiente, per consentire di costruire in aderenza. nulla rileverebbe la successiva nota esplicativa dell’ufficio urbanistico) regionale, perchè mai citata e non presente gli atti e, comunque, perchè il simbolo matematico) utilizzato ha un significato evidente.

Il motivo è infondato perchè va interpretato l’intero contesto della normativa urbanistica, non potendosi far riferimento soltanto a un simbolo matematico, riportato in una tabella. Specie se sul punto vi è stato un intervento del competente ufficio regionale che ha chiarito che si tratta di un mero errore di stampa.

4 – infondato anche il quarto motivo, che deduce vizio di motivazione per non aver la corte d’appello giustificato adeguatamente la impossibilità di costruire sul confine. Non sussiste il dedotto vizio di motivazione alla luce della complessiva argomentazione (riportata per esteso al punto C della motivazione) svolta dalla Corte, che ha affrontato analiticamente la problematica indicata con argomentazione logica e coerente, esente dal vizio denunciato.

5 – infondato il quinto motivo, che lamenta la violazione norme sulle distanze. Secondo il ricorrente non è possibile disporre l’arretramento se è prevista la possibilità di costruire a confine. Il motivo parte dall’assunto, infondato, che si possa costruire sul confine sulla base degli strumenti urbanistici vigenti, circostanza questa esclusa per quanto affermato dalla Corte locale e confermato in questa sede.

In ogni caso, la prospettazione è infondata perchè, anche se fosse possibile costruire sul confine, ciò non renderebbe automaticamente legittima la costruzione posta non già sul confine ma a distanza da questo inferiore a quella prevista dallo strumento urbanistico vigente (come nel caso in questione). Al preveniente, infatti, è consentito di scegliere se costruire sul confine, oppure tenersi arretrato da questo, collocando la costruzione alla distanza prevista dallo strumento urbanistico, ma non già collocarsi nella zona intermedia, perchè, tra l’altro, così facendo, non consentirebbe la successiva costruzione in aderenza sul fondo confinante, ma anzi costringerebbe il proprietario di quest’ultimo ad arretrare la propria costruzione fino a raggiungere la più ampia distanza prevista tra gli edifici.

Al riguardo, appare opportuno richiamare il recente condiviso arresto di questa sezione, secondo cui secondo cui In tema di distanze nell’ipotesi in cui il proprietario preveniente abbia realizzato la sua costruzione ad una distanza dal confine inferiore a quella prescritta dai regolamenti locali e lo strumento urbanistico consenta al confinante che costruisce per primo di spingere il proprio fabbricato sino al confine del fondo contiguo non edificato, la situazione di illegittimità può essere rimossa, in via alternativa, mediante arretramento della costruzione fino alla distanza regolamentare ovvero con il suo avanzamento fino al confine” (Sez. 2, Sentenza n. 21455 del 21/10/2015, Rv. 636830).

1.6 – infine infondato anche il sesto ed ultimo motivo quanto alla mancata applicazione dello ius superveniens. Secondo il ricorrente nel 2010 è stata approvata una modifica al piano urbanistico generale che prevede la “legittimità delle costruzioni in aderenza”. La modifica sarebbe intervenuta nel corso di giudizio e ne è stata invocata l’applicazione nelle note conclusionali. La modifica è contenuta nelle n.t.a. depositate con il ricorso. La conclusione secondo il ricorrente è che tale modifica gli consentirebbe adesso di edificare sul confine.

Il motivo è infondato per le argomentazione già svolte nell’ambito del quinto motivo. Anche a voler ritenere intervenuta la prospettata modifica, al ricorrente sarebbe consentito di avanzare la propria costruzione fino al confine o di arretrarla fino ai 5 metri, non già mantenerla dove si trova.

E. Il ricorso incidentale è infondato.

Il ricorso incidentale è infondato. Riguarda il problema del risarcimento) del danno e appare corretta la decisione impugnata che ha stabilito che comunque il rigetto della domanda di costruzione era legato alla carente estensione del terreno.

F. Spese compensate in relazione alla reciproca soccombenza.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016

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