Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21754 del 20/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 28/02/2017, dep.20/09/2017),  n. 21754

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16872/2012 R.G. proposto da:

C.L., rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Rabiolo, con

domicilio eletto in Roma, piazza Martiri di Belfiore 2, presso lo

studio dell’avv. Gaetano Ales;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione distaccata di Caltanissetta, n. 18/21/12,

depositata il 16 gennaio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 febbraio 2017

dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

uditi gli avv. Rabiolo Pietro e Garofoli Pietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale della Sicilia (Ctr) ha rigettato l’appello proposto da C.L. contro la sentenza di quella provinciale, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro avviso di accertamento di maggiori ricavi fondati sull’applicazione di studio di settore.

Contro la sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui l’Agenzia delle Entrate reagisce con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente non nega che l’Amministrazione finanziaria possa procedere a una ricostruzione presuntiva del reddito pure in presenza contabilità regolarmente tenuta, ma nega che la rideterminazione possa avvenire solo sulla base degli studi di settore, in assenza di altri elementi che ne confermino l’attendibilità.

Il motivo è infondato. Emerge dalla sentenza che il contribuente, seppure invitato, aveva omesso di partecipare al contraddittorio preventivo con l’Ufficio. Secondo l’orientamento della Suprema corte “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass. n. 17646/2014”; conf. 10047/2016).

Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, per assenza dei presupposti legittimanti l’applicazione della normativa sugli studi di settore, costituiti dalla grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e le risultanze degli studi di settore.

Anche tale motivo è infondato. Nella sentenza non ci sono affermazioni che contrastino con il contenuto della norma, per cui la valutazione giudiziale dello scostamento riscontrato dal Fisco nel caso di specie (e riproposto in sentenza attraverso la puntuale indicazione numerica del dichiarato e del parametro), andava semmai censurata per vizio di motivazione.

Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi.

Il motivo contiene due censure: oggetto della prima è l’affermazione della Commissione tributaria regionale secondo cui gli studi di settore costituiscono presunzione grave precisa e concordante; la seconda riguarda la mancata considerazione delle giustificazioni che furono addotte per giustificare lo scostamento del dichiarato dallo studio.

La prima censura ripropone la tesi già esaminata e disattesa con il primo motivo. In ogni caso essa è inammissibile, perchè il vizio di motivazione può riguardare solo la motivazione del giudizio di fatto, laddove è di assoluta evidenza che la valutazione della Ctr oggetto di censura esprime un giudizio di diritto. Secondo il costante pacifico insegnamento di questa Corte i relativi vizi o costituiscono errori in iudicando censurabili ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oppure, se attengono propriamente e soltanto alla motivazione, non danno luogo a cassazione della sentenza, ma a correzione della motivazione in diritto ex art. 384 c.p.c., u.c. (Cass. n. n. 19618/2003; n. 6328/2008; n. 7050/1997).

E’ invece infondata la seconda delle censure articolate con il motivo in esame. Il contribuente si duole che la Ctr aveva omesso di considerare le ragioni addotte a giustificazione dello scostamento, costituite da motivi di salute; tuttavia non illustra in alcun modo la decisività del fatto in rapporto ai requisiti richiesti perchè le condizioni di salute possano assurgere a fatto giustificativo della inapplicabilità dello studio. E’ stato infatti chiarito che “ai fini di stabilire l’incidenza di un tale evento sulla capacità produttiva di reddito, non rileva il fatto in sè ma la durata della (eventuale) derivatane inabilità allo svolgimento della normale attività lavorativa” (Cass. n. 17954/2010), mentre il contribuente non ha neanche indicato i giorni di effettivo ricovero, ritenendoli “di per sè irrilevanti”.

Al ricorrente non giova richiamare Cass. n. 9642 del 2912. In quella occasione la Corte ritenne non illogica la valutazione della Ctr, che aveva recepito le giustificazioni del contribuente, il quale, al fine di giustificare lo scostamento rispetto alle presunzioni di cui ai predetti parametri, aveva evidenziato difficoltà attinenti alla sfera personale (separazione dalla moglie e conseguente sindrome ansioso-depressiva, comprovata da certificazione medica) che hanno comportato la necessità di assumere un secondo autista, con conseguente incremento del costo lavoro dipendente, solo in parte compensato dall’aumento dei ricavi, dovuto esclusivamente al miglioramento del parco veicoli che, a sua volta aveva determinato maggiori costi per beni strumentali.

E’ chiaro che da tale pronuncia non si può trarre argomento per riconoscere che, in questo ambito, la malattia rileva a prescindere dalla dimostrazione della concreta incidenza sullo svolgimento della normale attività lavorativa.

In conclusione il ricorso va rigettato.

PQM

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017

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