Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21750 del 27/10/2016
Cassazione civile sez. I, 27/10/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 27/10/2016), n.21750
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4880-2011 proposto da:
P.O., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE DEI PARIOLI 76, presso l’avvocato CHIARA ACNELLO,
rappresentata e difesa dagli avvocati PASQUALE DARIO GIANNATELLI,
RENATO RICCI, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
INTESA SANPAOLO S.P.A., derivante dalla fusione di BANCA INTESA
S.P.A. con SANPAOLO IMI S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 2,
presso l’avvocato DANIELA CARLETTI, rappresentata e difesa
dall’avvocato ENRICO QUINZIO, giusta procura speciale per Notaio
dott. B.C. di (OMISSIS) – Rep.n. (OMISSIS) del (OMISSIS);
P.C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
DELLE MILIZIE 106, presso l’avvocato PAOLO TRANCASSINI, che la
rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso
notificato;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 686/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 06/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/09/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato P.D. GIANNATELLI che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente SANPAOLO, l’Avvocato D. CARLETTI, con
delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – P.G. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Chieti l’allora Banco di Napoli S.p.A. e ne ha chiesto condanna al risarcimento dei danni quantificati in 200 milioni di Lire.
A fondamento della domanda l’attore ha sostenuto che P.C.M., da lui delegata soltanto a ritirare la posta concernente i rapporti in essere con la banca convenuta, aveva viceversa prelevato dai suoi depositi, in successive occasioni, la complessiva somma di circa 160 milioni di Lire, avvalendosi anche di due scritture recanti la sua firma palesemente falsificata.
2. – Il Banco di Napoli S.p.A. ha resistito alla domanda e chiesto e ottenuto autorizzazione a chiamare in causa P.C.M. per esserne eventualmente garantita.
Quest’ultima si è costituita resistendo alla domanda contro di lei proposta.
3. – Interrotto il giudizio a seguito della fusione per incorporazione del Banco di Napoli S.p.A. in San Paolo IMI S.p.A., esso, essendo nel frattempo deceduto il P.G., è stato riassunto dai suoi eredi P.O., P.C.A. e G.J..
4. – Con sentenza del 22 dicembre 2005 il Tribunale di Chieti ha rigettato la domanda con compensazione di spese.
5. – Contro la sentenza la sola P.O. ha proposto appello al quale San Paolo IMI S.p.A. e P.C.M. hanno resistito e che la Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza del 6 ottobre 2010, ha respinto, condannando l’appellante alle spese sostenute dalla banca appellata.
Nel rispondere ai motivi di impugnazione spiegati dalla P.O. la Corte di merito ha in breve ritenuto:
-) che il P.G. avesse conferito alla P.C.M. un mandato avente ad oggetto la cura complessiva dei rapporti bancari facenti capo al conferente, sia pure con il limite dell’ordinaria amministrazione;
-) che non poteva addebitarsi alla banca di non essersi avveduta della falsità delle sottoscrizioni apparentemente apposte dal P.G. in calce alle scritture impiegate dalla P.C.M. per i fini della costituzione in pegno di un buono fruttifero di 65 milioni di Lire e dell’autorizzazione all’estinzione di un buono fruttifero di 73 milioni di Lire nonchè di un libretto di deposito a risparmio;
-) che nessuna norma imponeva la contemporanea presenza del correntista e del funzionario di banca per i fini della stipula di un contratto bancario, trovando applicazione la disciplina generale che consente la conclusione del negozio inter absentes allorchè il proponente abbia avuto notizia dell’accettazione dell’altra parte, ed essendo inoltre pacifico che tanto la proposta quanto l’accettazione possono essere comunicate a mezzo di un nuncius.
6. – Per la cassazione della sentenza P.O. ha proposto ricorso affidato ad un solo articolato motivo.
Intesa Sanpaolo S.p.A., già San Paolo IMI S.p.A., e P.C.M., hanno resistito con distinti controricorsi.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
p. 7. – Il ricorso contiene un solo articolato motivo così rubricato: “Violazione e falsa applicazione delle norme di legge in tema di conto corrente e segnatamente di adempimento dell’obbligazione di pagamento ed imputazione di pagamento a seguito di legittimo ordine impartito dal correntista a mezzo di delega, art. 1269 c.c.; sotto tale ultimo profilo violazione della legge sul mandato, art. 1856 c.c., nella parte in cui erroneamente applicando i principi di legge innanzi richiamati ha ritenuto la Corte di L’Aquila la definitività e non invece la provvisorietà del “versamento” effettuati in favore di P.C., sulla scorta del documento/delega con firma contraffatta, quest’ultimo potendo essere definito mero “versamento” e non “pagamento” proprio in virtù dell’inesistenza della delega e quindi dell’ordine di pagamento, ex art. 360 c.p.c., comma 3 Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione della Corte di L’Aquila relativamente alle motivazioni vergate in sentenza di infondatezza dei tre ordini dei motivi di impugnazione della P.C., come richiamati dalla medesima Corte di appello in sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 5″.
Si sostiene:
-) che la P.C. era stata incaricata dallo zio P.G. del solo controllo della regolarità del rapporto intrattenuto con il Banco di Napoli S.p.A., controllo da esercitare unicamente attraverso la lettura degli estratti conto inviati per posta al correntista;
-) che gli atti compiuti dalla P.C. erano senza ombra di dubbio operazioni di straordinaria amministrazione;
-) che la Corte d’appello aveva errato a ritenere che i funzionari dell’istituto di credito non avessero motivo di dubitare dell’autenticità della sottoscrizione apposta sul foglio di autorizzazione alle operazioni di estinzione;
-) che la Corte d’appello aveva del tutto omesso ogni pur minimo accenno/motivazione sulla mancanza di diligenza della banca nel consentire la stipulazione di un contratto di pegno sui titoli del P.G. in favore di P.C. con la presenza solo di quest’ultima, tanto più che ella aveva interesse alla conclusione dell’affare.
-) che la Corte d’appello aveva errato nel non disporre, in ossequio ai principi formulati da Cass. 29 settembre 2004, n. 19565, la restituzione alla P.O., da parte della banca, di tutte le somme risultate indebitamente percepite dalla P.C. dopo l’accertata falsità delle sottoscrizioni apposte sulle due scritture menzionate.
8. – Il ricorso è inammissibile.
Esso è costituito da pagina 1 a pag. 67 (a fronte di successive sette pagine di motivi) dalla integrale trascrizione dell’atto d’appello il quale a propria volta si compone:
-) della integrale trascrizione di un atto di citazione in riassunzione (quello notificato dalla P.O. unitamente alla P.C.A. e alla G.J.);
-) della integrale trascrizione di un ricorso ex art. 700 c.p.c. inizialmente proposto dal P.G. al fine di ottenere dalla banca di copia della documentazione concernente i rapporti con essa intrattenuti;
-) della integrale trascrizione della memoria difensiva del Banco di Napoli;
-) della integrale trascrizione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado;
-) della integrale trascrizione della comparsa di risposta del Banco di Napoli;
-) della integrale trascrizione della comparsa di costituzione della chiamata in causa P.C.M.;
-) dell’integrale trascrizione delle note autorizzate ex art. 183 c.p.c., comma 5, per P.G.;
-) dell’integrale trascrizione della memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c., pel P.G.;
-) dell’integrale trascrizione dei capi d’imputazione e del dispositivo di una sentenza penale pronunciata nei confronti della P.C.M.;
-) dei motivi di impugnazione in appello anch’essi trascritti per intero.
Non è senza ragione aggiungere che lo svolgimento del processo è inframezzato da innumerevoli notazioni – tante da non poter essere interamente menzionate – concernenti le attività svolte nelle singole udienze prive di qualunque rilievo per i fini dello svolgimento dei motivi di ricorso per cassazione.
Ciò premesso in fatto, vale osservare che l’art. 366 c.p.c. richiede tra i requisiti previsti a pena di inammissibilità del ricorso l’esposizione sommaria dei fatti della causa.
Si tratta, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dei fatti della controversia, sia sostanziali sia processuali, i quali vanno esposti, peraltro, solo in quanto rilevanti per la decisione di legittimità e, in ogni caso,in modo sommario, ossiariassuntivo. Vanno narrate, cioè, ma con adeguata sintesi, le domande introduttive, le vicende del primo grado e della decisione d’appello: il tutto, quale premessa per l’esposizione dei motivi del ricorso.
Il citato art. 366 c.p.c. è difatti posto a tutela dell’imprescindibile esigenza ricorso, che deve contenere quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame. La S.C. ha puntualizzato tale ratio, consistente nell’obiettivo di attribuire rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione al cd. fondo delle questioni, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa della parte (artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU), nonchè di evitare di gravare sia lo Stato, sia le parti di oneri processuali superflui, donde, per il difensore l’adempimento del preciso dovere processuale, il cui mancato rispetto espone il ricorrente alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. n. 17698/2014; Cass. n. 19100/2006).
Se manca l’esposizione sommaria dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato, il ricorso è inammissibile (Cass. S.U., n. 11308/2014; Cass. n. 18421/2009; Cass. n. 15808/2008; Cass. n. 2097/2007).
Sui caratteri che l’esposizione sommaria dei fatti di causa, a pena di inammissibilità, deve possedere, questa Corte ha inoltre più volte ribadito che il precetto dettato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non può ritenersi osservata quando il ricorrente si limiti a trascrivere il testo Integrale di tutti gli atti di causa, rendendo così particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo allo scopo della disposizione, preordinata, come si è detto, ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass., Sez. Un., 17 luglio 2009, n. 16628; Cass. 23 giugno 2010, n. 15180 Cass. 16 marzo 2011, n. 6279; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 24 luglio 2013, n. 18020; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2527).
Tale modalità di confezionamento del ricorso per cassazione si pone infatti in evidente violazione del menzionato precetto, dovendo essere l’esposizione dei fatti “sommaria”, il che comporta che l’espositiva debba contenere il necessario e non il superfluo: e, pur volendo interpretare in una prospettiva massimamente elastica la formula contenuta nell’art. 366 citato, il requisito dell’esposizione sommaria non può certo dirsi soddisfatto laddove il ricorso, sia pur congegnato attraverso la giustapposizione di atti successivi, non sia almeno accompagnato da una comprensibile sintesi riassuntiva, rispondente alla previsione normativa, tale da indurre a considerare la silloge degli atti come un “di più”che non noccia alla validità del ricorso.
Sintesi riassuntiva della quale, nel caso di specie, non v’è traccia, mentre è palese la difformità del ricorso proposto dalla previsione normativa, sia per la pletorica trascrizione per intero di atti nient’affatto rilevanti, come tali, per i fini della comprensione della vicenda processuale, sia per la inusitata menzione di minime circostanze processuali del tutto insignificanti ai fini della decisione.
9. – Le spese seguono la soccombenza.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese sostenute per questo giudizio, liquidate, quanto ad ognuno di essi, in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016