Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21749 del 27/10/2016


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Cassazione civile sez. I, 27/10/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 27/10/2016), n.21749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7213-2011 proposto da:

VIAGGI GULLI’ S.R.L., (P.I. (OMISSIS)), già VIAGGI GULLI S.A.S., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso l’avvocato

ROBERTO DE SANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato GREGORIO

TINO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FERROVIE DELLA CALABRIA S.R.L., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO URSO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 781/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza in data 219-2010, rigettava l’appello della Viaggi Gullì s.a.s., già Viaggi Gulli s.n.c., avvero la sentenza con la quale questa era stata condannata al risarcimento deì danni per atti di concorrenza sleale in pregiudizio della Ferrovie della Calabria s.r.l..

In sintesi riteneva che la società Gullì avesse dolosamente violato le prescrizioni limitative all’esercizio di un’autolinea relativa al tratto (OMISSIS), di cui alla concessione in essere con la Regione Calabria, e che avesse effettuato distinte fermate non incluse nel provvedimento concessorio, intercettando illegittimamente clientela che avrebbe potuto fruire solo dei servizi delle Ferrovie della Calabria.

Reputava integrato l’illecito concorrenziale ex art. 2598 c.c., n. 3, e confermava la quantificazione equitativa del danno da lucro cessante, certo ma di difficile determinazione, in euro 1.500,00 annuali; ciò fino al (OMISSIS), data in cui la condotta illecita dovevasi considerare cessata a seguito della revoca della concessione.

Avverso la sentenza, non notificata, la società Gullì ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi.

L’intimata ha replicato con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. in quanto il riferimento alla data del 31-12-2004, quale momento terminale della condotta illecita, era stato fatto dall’appellata solo in secondo grado; donde la relativa domanda avrebbe dovuto essere considerata inammissibile per novità.

Il motivo è manifestamente infondato.

In disparte quanto si dirà a proposito del regime processuale applicabile alla controversia, che è stata introdotta prima della riforma del codice di procedura civile di cui alla L. n. 353 del 1990, è essenziale osservare che dalla sentenza si evince che il giudice di primo grado, in coerenza con la domanda in quella sede proposta, aveva liquidato il danno in somma equitativamente determinata in Euro 1.500,00 annuali, “a far data dal 1 marzo 1983 e fino alla data di cessazione della condotta illecita”.

In appello era stato semplicemente indicato – e provato – quale fosse codesta data.

Nessuna domanda nuova poteva dunque ravvisarsi, giacchè in appello non era mutata la situazione sostanziale dedotta nell’oggetto.

La domanda è nuova in quanto investa il giudice d’appello di una situazione sostanziale estranea all’oggetto del processo.

– Col secondo motivo la società deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in riferimento all’art. 2697 cod. civ. e agli artt. 2595 e 2598 cod. civ., addebitando al giudice d’appello di non aver preso in considerazione la mancanza di prova dell’attività illecita dalla data dell’8-4-1987 (indicata in citazione) alla data del 31-12-2004 (indicata in sentenza).

Il motivo è inammissibile.

La doglianza sull’esito della prova che già genericamente in sè riflette un sindacato di fatto – stata dedotta come violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. Il che però non è conferente, in quanto una tal violazione attiene al rapporto tra la domanda e la pronuncia, non alla valutazione della prova.

3. – Col terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. in rapporto alla produzione di nuovi documenti in appello, con conseguente violazione dell’art. 87 att. cod. proc. civ. e dell’art. 356 cod. proc. civ..

Si addebita al giudice del gravame di aver considerato la fine dell’illecito al 31-12-2004 in base a documenti prodotti solo in appello, senza previa statuizione di ammissibilità dei documenti medesimi.

Il motivo è infondato sotto tutti i profili.

La causa risulta introdotta, in primo grado, con citazione notificata il 24-11-1987.

Essa, come dianzi accennato, era dunque soggetta alle norme processuali anteriori alla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, e nel rispetto di tali norme doveva essere definita in base alla disciplina transitoria di cui all’art. 90 della legge citata.

Nel cessato regime processuale, era pacificamente consentita la produzione in appello di nuovi documenti. E, trattandosi di prove precostituite, non era necessaria una previa formale dichiarazione di ammissibilità.

4. – Col quarto mezzo la ricorrente infine denunzia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo e violazione dell’art. 2967 cod. civ. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non essendo stata fornita motivazione in ordine all’ammissibilità della nuova produzione documentale e in ogni caso in ordine alla prova dell’effettivo svolgimento dell’attività illecita.

Il motivo è nella prima parte assorbito dalle considerazioni appena svolte.

Nella seconda parte esso è inammissibile perchè risolto in censura di fatto a proposito della valutazione della prova, che la corte d’appello ha considerato giustappunto derivante dai documenti indicati in sentenza.

Spese alla soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016

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