Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21749 del 27/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 27/08/2019), n.21749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9153-2017 proposto da:

LAR SILTAL SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei

Commissari Straordinari in carica, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE PORTINARO;

– ricorrente –

contro

P.G., titolare dell’omonima ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUCREZIA MARTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1750/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata l’08/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – L’Amministrazione straordinaria di Iar Siltal s.p.a. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Casale Monferrato P.G. per ottenere la revocatoria fallimentare di alcuni pagamenti relativi a servizi di autotrasporto: una parte di detti pagamenti era stata eseguita in esecuzione di un accordo di rateizzazione del debito concluso il 12 novembre 2004, mentre un’altra parte dei versamenti esulava dal detto accordo e si identificava in atti solutori che avevano avuto luogo tra il 15 novembre 2004 e il 13 maggio 2005: tutti i detti pagamenti, nella prospettazione attorea, si collocavano all’interno del periodo “sospetto”, ricompreso tra il 14 ottobre 2004 e il 14 aprile 2005.

Nella resistenza del convenuto, il Tribunale accoglieva la domanda e condannava P.G. alla restituzione della complessiva somma di Euro 102.894,34.

2. – Il proposto gravame era accolto dalla Corte di appello di Torino la quale, in sintesi, riteneva che i pagamenti per Euro 57.413,02, operati al di fuori del c.d. piano di rientro del 12 novembre 2004, erano non soggetti alla revocatoria fallimentare, in quanto attuati nei termini d’uso di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, mentre per quelli contemplati nell’accordo di rateizzazione doveva ritenersi esclusa la scientia decoctionis.

3. – La sentenza della Corte piemontese, pubblicata l’8 ottobre 2016, è impugnata per cassazione dalla società in amministrazione straordinaria con un ricorso basato su due motivi. P. resiste con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 67 L. Fall.. Assume l’istante che plurimi indici rendevano “assolutamente inverosimile l’affermazione per cui P. non potesse credere che Iar Siltal fosse insolvente”. La sottoscrizione dell’accordo comproverebbe, infatti, il convincimento, in capo alla controparte, dell’insolvenza della società e fornirebbe “da prova del collegamento tra l’odierno resistente ed i manifesti sintomi della decozione in capo a Iar Siltal”; si spiega, in proposito, che la sottoscrizione dell’accordo avente ad oggetto la dilazione di pagamento attestava la chiara incapacità della società debitrice di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Aggiunge l’istante che le informazioni riferite a Iar Siltal attinenti al promovimento di procedure monitorie ed esecutive, ai bilanci di esercizio, alle relazioni degli amministratori, ai protesti, nonchè le notizie giornalistiche riguardanti la detta società costituirebbero indizi rivelatori della consapevolezza, in capo a P., della decozione di quest’ultima.

Il motivo è nel complesso infondato.

Occorre premettere che la scientia decoctionis in capo al terzo, come effettiva conoscenza dello stato di insolvenza, è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Cass. 8 febbraio 2018, n. 3081; Cass. 18 aprile 2011, n. 8827): naturalmente, poichè nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, sarà denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054): profilo, questo, che in questa sede non rileva, non essendo stato dedotto che la sentenza sia affetta da un tale radicale difetto motivazionale.

Il convincimento del giudice del merito può poi formarsi anche attraverso il ricorso alle presunzioni, alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, ma attribuendo rilevanza peculiare alla condizione professionale dell’accipiens e al contesto nel quale gli atti solutori si sono realizzati (cfr. le citt. Cass. 8 febbraio 2018, n. 3081 e Cass. 18 aprile 2011, n. 8827). La certezza logica dell’esistenza dello stato soggettivo può dunque legittimamente dirsi acquisita quando la probabilità della scientia decoctionis trovi il suo fondamento nei presupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia concretamente trovato ad operare, nella specie, il creditore del fallito (Cass. 3 maggio 2012, n. 6686); in altri termini, ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis occorre conferire rilevanza peculiare della condizione professionale dell’accipiens, onde la misura della diligenza esigibile da quel soggetto va riferita alla categoria di appartenenza dello stesso e all’onere di informazione tipico del relativo settore di operatività (Cass. 4 febbraio 2008, n. 2557).

La Corte di merito si è attenuta a detti principi, osservando come da un creditore “ordinario” come l’appellante non potesse pretendersi il costante monitoraggio mediante l’esame dei bilanci di esercizio della società poi posta in amministrazione straordinaria (tanto più in presenza di bilanci consolidati di una grande impresa e di indici di insolvenza che non potevano essere di immediata percezione da parte di un operatore non qualificato, non aduso a valutazioni di natura economica e finanziaria).

Parimenti corretto è il rilievo, svolto dalla Corte piemontese, secondo cui le procedure fallimentari, esecutive individuali e monitorie non sono soggette a forme pubblicitarie e le cancellerie non sono autorizzate a fornire informazioni in ordine al deposito degli atti relativi (cfr. in tema: Cass. 22 marzo 2013, n. 7281, Cass. 4 marzo 2010, n. 5256): d’altro canto, è da considerarsi come il giudizio circa la possibilità di avere puntuale e tempestivo riscontro dell’assoggettamento del debitore a procedure giudiziarie recuperatorie va modulato avendo riguardo alla valorizzazione della qualità del soggetto verso cui si dirige l’azione revocatoria e della conseguente disponibilità, in capo allo stesso, di operatori professionali qualificati e di peculiari strumenti conoscitivi (cfr. Cass. 13 ottobre 2005, n. 19894, che ha conferito rilievo alla circostanza per cui il creditore era, nella vicenda sottoposta al suo esame, una banca).

Sfuggono, poi, al giudizio di legittimità, in quanto si risolvono in apprezzamenti di fatto, i rilievi svolti dal giudice distrettuale con riferimento alla negata possibilità di correlare la conoscenza dello stato di insolvenza della società Iar Siltal alla stipula, tra gli odierni contendenti, del piano di rateizzazione di cui si è più volte detto. Sul punto vengono infatti in questione valutazioni rimesse al giudice del merito: quelle in concreto svolte, e basate sulle convenute modalità di estinzione del debito, sulla previsione per cui “le successive fatture del P. sarebbero state pagate alla debita scadenza e cioè a 90 giorni dalla emissione della fattura”, alla circostanza per cui il concordato piano di dilazione nei pagamenti venne per la maggior parte onorato, alla qualità dell’appellante (imprenditore individuale privo di dipendenti) e alla sostanziale regolarità con cui si era svolto, fino ad allora, e per circa vent’anni, il rapporto commerciale tra le parti.

Altrettanto è a dirsi, poi, con riferimento alle notizie di stampa, che la Corte di merito ha riferito essere presenti su edizioni locali dei quotidiani, non diffuse nell’ambito territoriale in cui aveva sede l’impresa di P., e con riguardo ad alcuni ordini del giorno della Regione Piemonte, visibili su di un sito internet che non poteva esigersi fosse oggetto di accessi quotidiani da parte del controricorrente.

2. Col secondo mezzo è lamentata la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 3. La censura avversa l’assunto della conformità di alcuni dei pagamenti oggetto di causa – quelli non contemplati nel c.d. piano di rientro – ai termini d’uso. La ricorrente si sofferma sul rilievo per cui i detti pagamenti presenterebbero vistose anomalie: essi, infatti “subivano variazioni come evidenziato dal giudice di primo grado, “con pagamento a mezzo bonifico bancario e non più a Ri.Ba. a 90 gg.””.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha spiegato che i detti pagamenti furono “pretesi con tempistica identica” a quella fino ad allora osservata, ossia con scadenza a 90 giorni, e vennero posti in atto nel rispetto di tale termine, oltre che con le stesse modalità (accreditamento tramite bonifico bancario). Si tratta, come è evidente, di un’affermazione in diritto pienamente congruente con la previsione normativa di cui all’art. 67 c.p.c., comma 3, che, nell’escludere siano soggetti a revocatoria “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”, fa riferimento alle modalità di pagamento proprie del rapporto tra le parti (così Cass. 7 dicembre 2016, n. 25162).

Ciò posto, la censura investe l’accertamento di fatto del giudice del merito, e non ha pertanto nulla a che vedere con la denunciata violazione o falsa applicazione di legge. Infatti, la fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha ad oggetto un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr.: Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195).

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ Sezione Civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2019

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