Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21747 del 27/10/2016


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Cassazione civile sez. I, 27/10/2016, (ud. 14/07/2016, dep. 27/10/2016), n.21747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28151-2010 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.A., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE CARSO 63, presso l’avvocato FRANCESCO BURIGANA, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

R.D., R.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4563/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato B. che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A., in proprio, e D. e R.R., quali eredi di R.S., convennero in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze, chiedendo che fosse determinato l’indennizzo dovuto per la confisca di un’azienda detenuta in Etiopia, a seguito di nazionalizzazione della società Tipografia commerciale costituita, in parti eguali, dal B., dal R. e da D.L.F..

Secondo la tesi degli attori, l’indennizzo avrebbe dovuto essere liquidato in ragione delle quote dei soli soci B. e R., atteso che il terzo socio ( D.L.) aveva loro ceduto la propria.

Nella resistenza del ministero, il tribunale di Roma accoglieva la domanda nei limiti della quota sociale originaria (1/3 per ciascun socio), non riconoscendo rilevanza alla asserita cessione.

La sentenza veniva appellata in via principale dal ministero e in via incidentale dagli attori.

La corte d’appello di Roma, con sentenza in data 8-112010, accoglieva entrambi gli appelli per quanto di rispettiva ragione e condannava il ministero al pagamento di una maggior somma ragguagliata al valore delle quote di 1/2 come rivendicate.

Riteneva difatti errata la decisione di primo grado sia in ordine alla stima del valore di avviamento rapportato all’anno (OMISSIS), epoca della confisca, atteso che a tale epoca quel valore era inesistente, sia in ordine all’indiscriminata applicazione del tasso di conversione dell’anno (OMISSIS).

A dire della corte d’appello la stima e la conversione dovevano essere diversificate a seconda della data di perdita dei beni, rilevando i primi provvedimenti del governo etiopico, limitativi o impeditivi della proprietà, soltanto ai fini dell’avviamento, e rilevando invece la confisca per i restanti.

Accogliendo la tesi degli attori, la corte territoriale inoltre affermava che B. in proprio e i R. iure hereditatis avevano il diritto di riscuotere l’intero indennizzo, per 1/2 ciascuno, ravvisando la prova della cessione della quota del terzo socio negli atti di notorietà provenienti dagli eredi di questo, aventi data certa in ragione delle firme autenticate.

Il ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi.

Si è costituito con controricorso il solo B., il quale ha depositato anche una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 16 del 1980, art. 5, commi 4 e 5, come modificati dalla L. n. 135 del 1985, il ministero censura la sentenza per aver ritenuto che il tasso di conversione, ai fini della corresponsione del dovuto indennizzo, fosse da diversificare a seconda della data della perdita dei singoli beni e in ragione del momento di effettivo spossessamento.

Sostiene che l’art. 5, comma 4, facendo riferimento all’evento causativo del danno coincidente col momento di adozione dei primi provvedimenti espropriativi, e comunque col momento di effettivo spossessamento, non ha introdotto criteri alternativi, come invece dalla corte d’appello ritenuto; per cui il secondo criterio poteva trovare applicazione solo in caso di impossibilità di applicare il primo, per non avere l’autorità straniera formalizzato la privazione della proprietà.

Nel caso specifico i primi provvedimenti erano stati adottati dal governo etiope nel gennaio dell’anno 1975, con immediata privazione di qualsiasi diritto degli italiani e conseguente loro necessario rimpatrio in condizione di profughi, donde erronea era da ritenere l’applicazione di un tasso di cambio parametrato a un momento successivo.

– Il primo motivo è fondato.

Ai sensi della L. 5 aprile 1985, n. 135, art. 4 modificativo della L. n. 16 del 1980, art. 5 per le perdite di beni, diritti e interessi a seguito di confisca o, comunque, di sottoposizione a misure limitative della proprietà adottate dalle autorità straniere, le valutazioni degli indennizzi dovuti per tali perdite vanno fatte in sede di riliquidazione sulla base dei prezzi di comune commercio, correnti sul mercato nel momento in cui furono adottati da quelle autorità straniere i primi provvedimenti limitativi o impeditivi della proprietà o, comunque, nel momento in cui di fatto si verificò lo spossessamento, moltiplicate per un coefficiente di rivalutazione pari a 1,90.

La norma è chiaramente finalizzata a dare certezza alla valutazione, avendo preso come riferimento temporale, in via strettamente subordinata, innanzi tutto “i primi provvedimenti limitativi o impeditivi della proprietà” e, poi, in caso di loro mancanza o di non conoscenza, il momento dell’effettivo spossessamento.

E’ errato affermare che la norma debba essere intesa nel senso dell’esistenza di alternativi criteri di indennizzo, a seconda che il danno sia causato dai primi provvedimenti o dallo spossessamento.

Il punto è solo se si abbia contezza dell’esistenza o meno di quei provvedimenti.

La corte d’appello di Roma ha riferito che i primi provvedimenti erano stati in effetti emanati dal governo etiopico nel 1975, al punto da determinare la perdita già a quella data del valore di avviamento.

Consegue che solo in nome di una errata esegesi essa ha correlato il tasso di conversione all’anno (OMISSIS), sul presupposto che in tale anno fosse avvenuta la confisca (e il conseguente effettivo spossessamento) dei beni.

In tal modo la corte distrettuale ha violato la norma, giacchè ha finito per parcellizzare l’entità del tasso di conversione non considerando che, noti essendo i primi provvedimenti ablatori, la sua determinazione avrebbe dovuto esser riferita all’evento come dalla legge considerato.

D’altronde l’argomentazione assunta dall’impugnata sentenza è anche intimamente contraddittoria, dovendo osservarsi che l’avviamento è indennizzabile in quanto espressivo della redditività dell’azienda, non in quanto bene in sè.

Sicchè esso non può considerarsi ablato in una data diversa da quella che rileva per i beni aziendali.

3. – Col secondo motivo di ricorso, il ministero denunzia la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 in ordine alla questione concernente la cessione della quota sociale.

Sostiene che la cessione vantata dagli attori con riguardo all’originaria posizione del terzo socio avrebbe dovuto essere ritenuta inefficace verso la p.a., in difetto di notifica.

Il secondo motivo è infondato.

Il R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 prevede, per quanto in questa sede rileva, che “le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento”. Prevede inoltre che “le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio” e che “i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni hanno efficacia soltanto se fatti nei modi e nei casi espressamente stabiliti dalla legge”.

In disparte i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni, la norma attiene alle cessioni dei crediti e richiede, affinchè la cessione di un credito di un privato verso una p.a. sia efficace nei confronti di quest’ultima, che la stessa risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio, e che il relativo atto sia notificato nei modi di legge.

Ciò è tanto vero che questa corte ha affermato che, ove una tale cessione sia realizzata in forme diverse da quelle prescritte dalla citata norma, essa, pur valida nei rapporti tra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti della p.a., salva la facoltà di accettazione (v. Sez. 5″ n. 5493-13).

Sennonchè, proprio per come formulata, la norma è altresì annoverabile tra quelle eccezionali, e proprio in quanto eccezionale la si è reputata, per esempio, inapplicabile ai crediti diversi da quelli vantati verso le amministrazioni statali (v. Sez. 1″ n. 23273-14, 2073915).

Poichè essa riguarda, come ben si evince dal testo, le cessioni di crediti – testualmente “le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato” – non può ritenersi di per sè estensibile anche ad atti diversi e non contemplati, come quello che nella specie rileva e che è costituito dalla cessione della quota sociale da uno dei tre soci agli altri due.

Avendo la corte d’appello ritenuto una tale cessione provata per documenti, è sufficiente ribattere alla tesi della ricorrente che un simile accertamento non trova alcun limite nell’eccezionale disposto dell’art. 69 R.D. citato.

4. – Col terzo motivo, il ministero denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 16 del 1980, art. 5 come modificato dalla L. n. 135 del 1985, in ordine alla decorrenza degli interessi moratori, stabilita dal 12-1-1996, data di rigetto parziale dell’istanza amministrativa di liquidazione dell’indennizzo.

Sostiene che la fattispecie costituiva del credito non poteva essere configurata prima dell’emanazione dei decreti ministeriali di liquidazione. Essendo stato intrapreso un giudizio per ottenere il maggiore indennizzo rispetto a quello liquidato con decreto ministeriale, gli interessi sulle somme aggiuntive potevano decorrere solo dalla domanda giudiziale.

5. – Il motivo è fondato nel senso che segue.

La corte d’appello, confermando la tesi del tribunale, ha ritenuto che alla data del 12-1-1996, di liquidazione dell’indennizzo in sede amministrativa, il ministero aveva acquisito tutti gli elementi necessari per procedere a una esatta liquidazione, avendo gli istanti di volta in volta aggiornato e corretto, durante l’iter amministrativo, il quantum delle loro richieste.

In sostanza, ha ritenuto in mora l’amministrazione in ragione di quanto emerso durante il procedimento amministrativo volto alla liquidazione dell’indennizzo, a far data dai decreti ministeriali di liquidazione e anteriormente alla notifica della citazione avvenuta nell’anno 2004.

La soluzione è dissonante dai principi di diritto più volte da questa corte affermati, atteso che, in tema di indennizzo per la perdita di beni situati all’estero, gli interessi moratori (e il maggior danno sulla somma già rivalutata mediante l’applicazione del coefficiente unico previsto dalla L. 5 aprile 1985, n. 135, a decorrere dal 4 maggio 1985, data di entrata in vigore della medesima legge) sono dovuti dall’atto di costituzione in mora.

In questi termini la legge citata non ha determinato automaticamente il sorgere della relativa obbligazione, fatta salva la prova, il cui onere grava sull’amministrazione, che il ritardo o l’inesattezza della prestazione siano dipesi da causa a essa non imputabile, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. (v. Sez. 1^ n. 5212-13, n. 19167-15).

Può osservarsi che a tale principio è conforme anche Sez. 1″ n. 19687-09, richiamata dalla corte d’appello.

6. La domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo a sua volta possiede valenza di mero impulso del procedimento amministrativo di liquidazione, e dunque non rileva mai, in sè e per sè, come equipollente della costituzione in mora.

Difatti, per l’indennizzo dovuto per i beni perduti da cittadini e imprese italiane in territori già soggetti alla sovranità italiana, il coefficiente di rivalutazione 1,90, previsto dalla L. 5 aprile 1985, n. 135, art. 4 per le richieste presentate dopo il 1950, comprende anche gli interessi moratori spettanti ai danneggiati fino alla liquidazione amministrativa, sicchè gli ulteriori interessi legali devono farsi decorrere sulla sola somma determinata nel provvedimento giudiziale di assegnazione definitiva di tale indennizzo, comprensiva anche dell’indicato coefficiente e degli interessi stessi come già conteggiati, con decorrenza dalla corrispondente domanda giudiziale (cfr. Sez. 1^ n. 23895-13) ovvero da un atto che, sebbene anteriore alla domanda, abbia comunque tutte le caratteristiche proprie della costituzione in mora.

7. – Pertanto l’impugnata sentenza deve essere cassata in relazione al primo e al terzo motivo di ricorso, con rinvio alla medesima corte d’appello di Roma, diversa sezione, per nuovo esame.

In particolare la corte d’appello provvederà a computare, da un lato, il tasso di conversione in modo unitario, a far data dai primi provvedimenti limitativi o impeditivi della proprietà dell’azienda, e si uniformerà, dall’altro, circa gli interessi, al seguente principio: “In tema di indennizzo per i beni perduti all’estero, gli interessi legali dovuti sulla somma determinata nel provvedimento giudiziale di assegnazione definitiva, già comprensiva degli interessi moratori spettanti ai danneggiati fino alla liquidazione amministrativa in quanto inclusi nel coefficiente all’uopo previsto dalla L. n. 135 del 1985, art. 4 per le richieste presentate dopo il 1950, possono essere riconosciuti solo con decorrenza dalla costituzione in mora dell’amministrazione, ai cui fini è necessaria una specifica richiesta che, pur potendo essere avanzata anche prima dell’emanazione dei decreti ministeriali conclusivi del procedimento di liquidazione, deve essere ricondotta, in mancanza, alla proposizione della domanda giudiziale, non essendo idonea invece la domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo, alla quale può attribuirsi valenza di atto di semplice impulso del procedimento amministrativo di liquidazione”.

Infine provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera d consiglio della sezione prima civile, il 14 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2016

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