Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21746 del 08/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 08/10/2020), n.21746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10659-2014 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla

VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

A.E., S.E., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO

LUBERTO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA

CONTE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1054/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/10/2013 R.G.N. 1175/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 16/07/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Firenze, adita dall’Università degli Studi di Siena, ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Siena che aveva integralmente accolto il ricorso proposto da A.E. e S.E. e, dichiarata la nullità dei termini finali apposti ai contratti di lavoro subordinato intercorsi fra le parti, aveva condannato l’Università a riammettere in servizio le dipendenti ed a corrispondere alle stesse, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni maturate dalla data di scadenza del termine illegittimo sino a quella dell’effettiva riammissione in servizio;

2. la Corte territoriale ha osservato che le ragioni giustificatrici delle assunzioni, sebbene enunciate nell’intestazione dei contratti, non legittimavano il ricorso al rapporto a termine, sostanziandosi in un’ordinaria esigenza di efficienza del settore al quale le lavoratrici sarebbero state assegnate;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che non era stata provata la sussistenza della causale specificata nei contratti, smentita dall’effettivo svolgimento dei rapporti, atteso che entrambe le dipendenti erano state utilizzate in uffici diversi da quello la cui attività doveva essere potenziata;

4. sulla base di dette considerazioni la Corte ha confermato la dichiarazione di nullità delle clausole di durata ed ha accolto l’impugnazione del Ministero solo limitatamente alla conversione, esclusa perchè impedita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ed al risarcimento del danno, riconosciuto pur in assenza di prova ma limitato a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università degli Studi di Siena sulla base di un unico motivo, al quale A.E. e S.E. hanno resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 nonchè dell’art. 19 del c.c.n.l. 4.8.2000, come modificato dall’art. 6 del c.c.n.l. 27.1.2005 ed assume che i rapporti a termine erano stati instaurati, previa procedura selettiva, nel rispetto della disciplina dettata dalle parti collettive, le quali avevano espressamente previsto che si potesse ricorrere alle assunzioni a tempo determinato per la “realizzazione di specifici progetti di miglioramento di servizi offerti”;

1.1. l’Università ricorrente evidenzia che il CISFA era stato istituito nel 2003 al fine di organizzare corsi di formazione e corsi master ed il regolamento dei Centri di Servizio dell’Ateneo aveva espressamente previsto che lo stesso fosse suscettibile di disattivazione, in effetti disposta nell’anno 2008 per esigenze finanziarie;

1.2. facendo leva su dette circostanze di fatto addebita alla Corte territoriale di avere errato nel ritenere che l’assunzione fosse stata disposta per far fronte ad ordinarie esigenze di funzionamento dell’ufficio, perchè l’assunto era smentito dalla natura del Centro e dal fatto che l’assegnazione a mansioni diverse fosse avvenuta solo a seguito della soppressione dello stesso;

2. è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa delle controricorrenti perchè il motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in un’inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone la revisione, non consentita in sede di legittimità;

2.1. è ius receptum il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo (fra le più recenti, tra le tante, Cass. n. 24298/2016; Cass. 17921/2016; Cass. 195/2016; Cass. n. 26110/2015);

2.2. è egualmente consolidato l’orientamento alla stregua del quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298/2016);

2.3. la ricorrente, pur denunciando la violazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001 e dal CCNL 27.1.2005 per il personale del comparto Università, in realtà non censura l’interpretazione data dalla Corte territoriale alle disposizioni richiamate in rubrica, bensì contesta l’affermazione, che si legge nella sentenza impugnata e che è espressione di un giudizio di fatto non di diritto, secondo cui l’ente avrebbe fatto ricorso al rapporto a tempo determinato per far fronte alle ordinarie esigenze di funzionamento dell’ufficio ed avrebbe, poi, utilizzato la prestazione in modo difforme dalla causale dichiarata, assegnando le dipendenti ad un settore diverso da quello di originaria assegnazione;

3. si deve, poi, aggiungere che il motivo, tutto incentrato su documenti che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valorizzato (bando di selezione, contratti, regolamento dei Centri di Servizi dell’Ateneo), è formulato senza il necessario rispetto dell’onere di “specifica indicazione” imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, in relazione al quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente ribadito l’inammissibilità delle censure “fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469/2019);

4. il ricorso è carente anche nell’esposizione sommaria dei fatti di causa, perchè non indica la data di stipulazione dei contratti della cui legittimità si discute (data che non è desumibile neppure dallo svolgimento del processo sintetizzato nella sentenza gravata) e ciò impedisce al Collegio di individuare la disciplina delle condizioni in presenza delle quali è consentito alle pubbliche amministrazioni il ricorso all’assunzione a tempo determinato, applicabile ratione temporis alla fattispecie;

4.1. è opportuno rammentare, infatti, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 è stato più volte modificato ed integrato dal legislatore il quale, a partire dal D.L. n. 4 del 2006, convertito dalla L. n. 80 del 2006, ha ridotto gli spazi di intervento della contrattazione collettiva, invocata dall’Università ricorrente, consentendo l’instaurazione del rapporto a tempo determinato solo in presenza di “esigenze temporanee ed eccezionali”;

4.2. questa Corte ha già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3 è finalizzato a porre il giudice di legittimità in condizione di avere la completa cognizione della controversia, indispensabile per la valutazione sulla correttezza giuridica della sentenza impugnata, sicchè l’onere formale non si può dire assolto ogniqualvolta la carenza dell’esposizione dei fatti renda impossibile alla Corte individuare le disposizioni rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 31082/2017);

5. il ricorso non censura il capo della sentenza relativo al risarcimento sicchè l’acquiescenza prestata dalla parte alla decisione, in tutti i profili riguardanti il danno e la sua monetizzazione, preclude il riesame delle statuizioni non impugnate e le rende intangibili, seppure erronee quanto al criterio adottato (cfr. Cass. S.U. n. 5072/2016) ed al riconosciuto cumulo di interessi e rivalutazione monetaria (sul carattere assoluto del divieto di cumulo quando sia parte in giudizio una pubblica amministrazione si rimanda, fra le più recenti, a Cass. n. 12877/2020 punti da 9 a 9.3);

6. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dell’Università ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

7. deve darsi atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, perchè l’esenzione prevista in via generale dal richiamato D.P.R. opera per le Amministrazioni dello Stato e non per gli enti pubblici autonomi, seppure autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (sulla natura delle Università e sulla disciplina del patrocinio cfr. Cass. S.U. n. 24876/2017).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

 

 

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