Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21742 del 20/09/2017
Cassazione civile, sez. trib., 20/09/2017, (ud. 15/02/2017, dep.20/09/2017), n. 21742
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27423/2012 R.G. proposto da:
A.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Salvatore Rijli,
con domicilio eletto in Roma, Borgo Pio 160, presso lo studio
dell’avv. Bruno Chiarantano;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura
Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Calabria n. 62/7/11. depositata il 14 ottobre 2011.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 febbraio 2017
dal Consigliere Giuseppe Tedesco;
udito l’avv. Barbara Tidore;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Fuzio Riccardo, che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità e in subordine il rigetto del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine da un avviso di accertamento relativo all’annualità 2003, con cui fu recuperato a tassazione, fra l’altro, la somma di Euro 178.000,00, quale componente positiva di reddito non dichiarato, derivante da versamenti effettuati nel corso dell’anno 2003 da parte del titolare. In particolare attraverso l’esame comparato del conto “apporti del titolare” e del conto cassa, l’Amministrazione Finanziaria aveva rilevato che i versamenti avvenivano sistematicamente nel medesimo giorno e nel giorno immediatamente antecedente a quello di effettuazione di pagamenti.
L’avviso fu impugnato dall’amministrazione giudiziaria
dell’impresa del contribuente, nel frattempo colpito da provvedimento di sequestro, che dedusse che i finanziamenti furono fatti per ripianare una perdita dell’anno 2002 e che le somme utilizzate per il finanziamento provenivano di donazioni ricevute in occasione del matrimonio del titolare.
La Commissione tributaria provinciale accolse il ricorso relativamente a una diversa ragione di recupero e lo rigettò in ordine alla pretesa impositiva di cui sopra, con sentenza poi confermata dalla Commissione tributaria regionale della Calabria (Ctr).
Contro la sentenza il contribuente in persona, assolto dal reato che aveva giustificato il sequestro, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste con,,contro ricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il collegio ha autorizzato la redazione della sentenza in forma semplificata.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, il quale deduce la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, è inammissibile. Ed invero, sotto la veste del vizio processuale, ciò che viene denunciato è in realtà la valutazione dei fatti di causa compiuta dal giudice di merito, cui si rimprovera di avere condiviso l’ipotesi ricostruttiva proposta dall’ufficio. Mutatis mutandis identico rilievo deve farsi per il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce violazione del principio fra chiesto e pronunciato. Egli sostiene di avere denunciato l’inidoneità degli elementi addotti dall’Ufficio a sorreggere l’accertamento compiuto, senza ottenere dal giudice una specifica risposta: da qui la violazione della norma processuale di cui al motivo, violazione che ovviamente non sussiste per la stessa ragione riscontrata per il primo motivo. E’ oggetto di censura non l’omissione di pronuncia, ma il fatto che i giudici sono stati di contrario avviso rispetto a quanto richiesto dal contribuente, ritenendo fondato l’accertamento.
Il punto controverso è oggetto del terzo motivo, con il quale, sotto il profilo della violazione di legge, si deduce che l’accertamento analitico induttivo operato dall’ufficio non trovava il supporto in presunzione gravi, precise e concordanti, con il corollario che nessun onere probatorio gravava sul contribuente.
Il motivo è infondato. Invero il fatto storico adotto dall’ufficio, e cioè l’esistenza degli apporti del titolare, non va considerato isolatamente, ma in rapporto al collegamento fra il conto “apporti del titolare” e “conto cassa.”
Siffatto collegamento, il quale ha del resto una sua tipicità ben nota nella pratica degli accertamenti (la cassa contabile è progressivamente svuotata, magari da pagamenti in contanti delle forniture “regolari” ma non è ovviamente alimentata dai ricavi non dichiarati) costituisce, di per sè, presunzione grave, precisa e concordante sufficiente a sorreggere la ricostruzione induttiva del volume d’affari, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, come correttamente ritenuto dalla Ctr, la cui decisione è immune pertanto da censure.
In conclusione i primi due motivi del ricorso vanno dichiarati inammissibili; il terzo motivo va invece rigettato.
PQM
dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso; rigetta il terzo motivo; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017